mercoledì 10 febbraio 2010

Foibe: per non dimenticare

Oggi, 10 febbraio, è il "Giorno del Ricordo", una ricorrenza istituita dal Parlamento italiano nel 2005 in memoria dei quasi 10 mila cittadini italiani morti nelle foibe e degli oltre 300 mila esuli provenienti dal Carso, dall'Istria, dalla Dalmazia con la sua bellissima città "veneziana" di Zara, cedute con trattato di Parigi (1947) alla Jugoslavia di Tito dopo la sconfitta dell'Italia nell'ultima guerra.
Gli eventi accaduti in quelle terre dal 1943 al 1947 sono piuttosto complessi e, per molti, scomodi. Nonostante le celebrazioni ufficiali da parte delle maggiori autorità dello Stato, primo tra tutti il presidente Giorgio Napolitano, e di tutte le associazioni di reduci e profughi, il ricordo di questa pagina dolorosa della nostra storia, purtroppo, è ancora un po' trascurato.
Una chiara sintesi di quei tragici eventi è stata fatta dal programma televisivo La storia siamo noi, di Raitre. Ne riporto qui un brano significativo.
Le foibe sono cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. E' in quelle voragini dell'Istria che, fra il 1943 e il 1947 sono gettati, vivi e morti, quasi 10 mila italiani. La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell'armistizio dell'8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano "nemici del popolo". Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945 quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l'Istria. Le truppe del maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. Lo racconta Graziano Udovisi, l'unica vittima del terrore titino che riuscì a uscire da una foiba. E' una carneficina che testimonia l'odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine tra l'Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce.
Nel febbraio del 1947 l'Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l'Istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignora: non suscita solidarietà chi sta fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell'Urss, in cui si è realizzato il sogno del socialismo reale. La vicinanza ideologica con Tito è, del resto, la ragione per cui il Pci non affronta il dramma, appena concluso, degli infoibati. Ma non è solo il Pci a lasciar cadere il problema nel disinteresse. Come ricorda lo storico Giovanni Sabbatucci, la stessa classe dirigente democristiana considera i profughi dalmati "cittadini di serie B", e non approfondisce la tragedia delle foibe. I neofascisti, d'altra parte, non si mostrano particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della seconda guerra mondiale nei territori istriani. Fra il 1943 e il 1945 quelle terre sono state sotto l'occupazione nazista, in pratica sono state annesse al Reich tedesco.
Per quasi cinquant'anni il silenzio della storiografia e della classe politica avvolge le vicende degli italiani uccisi nelle foibe istriane. E' una ferita ancora aperta perché, ricorda ancora Sabbatucci, è stata ignorata per molto tempo. Con l'istituzione della giornata in ricordo dei morti nelle foibe inizia l'elaborazione di una delle pagine più angoscianti della nostra storia.
Perché su questo crimine contro l'umanità cessino "l'oblio e le forme di rimozione diplomatica che hanno pesato nel passato e causato pesanti sofferenze agli esuli e ai loro famigliari" di cui ha parlato il presidente Napolitano, non basta però il "Giorno del Ricordo". Ci vorrebbe più coraggio. Innanzitutto quello di parlarne, di conoscere e di far conoscere la storia. Si potrebbe cominciare col portare qualche scolaresca a visitare la foiba di Basovizza, in provincia di Trieste (nella foto), diventata simbolo di queste atrocità ("Le vittime dei titini venivano condotte, dopo atroci sevizie, nei pressi della foiba; qui gli aguzzini, non paghi dei maltrattamenti già inflitti, bloccavano i polsi e i piedi tramite fil di ferro a ogni singola persona con l'ausilio di pinze e, successivamente, legavano gli uni agli altri sempre tramite fil di ferro. I massacratori si divertivano, nella maggior parte dei casi, a sparare al primo malcapitato del gruppo che ruzzolava rovinosamente nella foiba trascinando con sé gli altri", da www.lefoibe.it); e gli insegnanti non dovrebbero aver paura di approfondire con i ragazzi uno dei momenti più dolorosi e vergognosi della nostra storia.
Mi piace ricordare qui alcune parole dell'invocazione per le vittime delle foibe del vescovo di Trieste, mons. Antonio Santin (1959): "Questo calvario, col vertice sprofondato nelle viscere della terra, costituisce una grande cattedra, che indica nella giustizia e nell'amore le vie della pace".

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