venerdì 28 maggio 2010

Un'inquietante camicia nera per Berlusconi

Ieri, parlando a Parigi al summit dei Paesi dell'Ocse, il nostro premier ha detto di non avere poteri, di sentirsi un po' come Mussolini quando si lamentava d'avere meno potere dei suoi gerarchi. Questo è molto grave, ma non è la prima volta che, in un contesto internazionale, Berlusconi con le sue parole fa del male all'Italia.
Nella maggioranza pensano che sia stata una battuta (l'uomo frequenta molto il genere, con risultati sempre discutibili), altri che sia stato un modo per prendere le distanze da Tremonti (il suo "gerarca" più potente) e da certi aspetti della manovra anticrisi elettoralmente nocivi. Lasciamo le interpretazioni agli esperti. Ma proviamo a immaginare che cosa sarebbe successo se la cancelliera tedesca Angela Merkel avesse citato un pensiero di Hitler.....

giovedì 27 maggio 2010

Non volete Marcegaglia ministro? Peggio per voi

Ho appena visto in tv il premier Berlusconi, durante l'assemblea della Confindustria a Roma, invitare dal palco la presidente Emma Marcegaglia a prendere il posto di ministro per le Attività produttive lasciato nel governo dal dimissionario Scajola, e chiedere l'approvazione di questa brillante idea alla platea di imprenditori presenti.
Non c'è davvero limite al peggio. Invitare il capo degli imprenditori a governare lo sviluppo industriale del Paese può diventare l'ennesimo, arcipalese conflitto d'interessi (Emma Marcegalia, se avesse accettato, avrebbe dovuto lasciare la sua poltrona alla Confindustria, ma sarebbe sempre rimasta nell'azienda di famiglia, la Marcegaglia s.p.a., azienda leader nella trasformazione dell'acciaio). Gli imprenditori si sono astenuti. Bene, "da adesso in poi non dovrete più lamentarvi delle decisioni del governo", ha concluso, sornione, il Caimano.

martedì 25 maggio 2010

E' giusto mettere le mani nelle tasche degli italiani

"Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani" è forse l'espressione che più caratterizza il governo in carica. La pronunciano tutti: Berlusconi, Tremonti, e giù Bonaiuti, e giù giù Capezzone, eccetera. Niente (si fa per dire, perché ci sarebbe molto altro) di più volgare. Le mani nelle tasche degli italiani bisogna metterle, senza approfittare dei cittadini più deboli, ma bisogna metterle. Le tasse le dobbiamo pagare. I servizi costano: si provi a chiedere ai Comuni che, da quando per ragioni elettorali, Berlusconi ha abolito completamente l'Ici sulla prima casa, continuano a piangere....
Quindi, con la recente manovra anticrisi non si faccia finta di colpire solo i redditi medio-alti. A rimetterci sono sempre gli stessi. Un esempio per tutti: siamo l'unico Paese europeo dove le rendite finanziarie (cioè le rendite che si ottengono senza fare nulla, semplicemente grazie al capitale investito) sono tassate al 12,5%, circa un terzo di quanto paga un lavoratore dipendente.
Un governo serio mette le mani nelle tasche di tutti, e dovrebbe prendere di più a chi più ha. Semplice. Basta con la demagogia.

lunedì 24 maggio 2010

Caro presidente Moratti

Caro presidente Moratti, grazie per l'Inter e per i suoi ultimi, strepitosi successi. Ma grazie anche per tutti gli anni in cui l'Inter ha vinto poco o niente, e ci ha fatto tanto soffrire. Quanto abbiamo sofferto. E lei con noi.
Ho aspettato un paio di giorni a scriverle per far sì che il frastuono e gli evviva della festa, delle tre feste che si sono susseguite in questo magico mese di maggio, lasciassero posto alle emozioni più vicine al cuore.
Lei è il presidente che tutti gli appassionati di calcio ci invidiano, amato perfino da molti avversari per la generosità con cui spende e si spende per la squadra. Infatti, una delle critiche che spesso le fanno è quella di essere di manica larga e di non badare troppo al bilancio della società. Certo, la passione fa essere anche troppo generosi. E questo, in certi casi, è un difetto. Ma chi non ne ha?
Di lei ho sempre ammirato la passione sportiva unita all'impegno sociale (Emergency, Medici senza frontiere, Amnesty international, le scuole in diversi Paesi del Terzo Mondo, le molte iniziative per strappare alla strada i bambini in Brasile e Argentina, eccetera).
La sua squadra multietnica spesso è considerata "non italiana" perché mette in campo argentini, brasiliani, africani, olandesi; non sanno, i suoi critici, che lei è "avanti", che già diversi giovani italiani hanno la pelle nera e che le nuove generazioni saranno anche frutto dell'integrazione tra i popoli. Se poi questi ragazzi sono o diventeranno campioni, tanto meglio. L'importante è che diventino uomini.
Caro presidente Moratti, sapesse come le vogliamo bene. La prossima volta che la incontrerò (capita sempre alla messa della mezzanotte di Natale in una chiesa di Milano, dove lei è sempre presente con tutta la sua famiglia, e io con la mia) le verrò vicino e, vincendo la mia riservatezza ma, sono certa, non violando la sua abituato com'è a tante manifestazioni d'affetto, l'abbraccerò.

venerdì 21 maggio 2010

Che fine ha fatto la Fiat di Termini Imerese?

Si parla di una grande manovra anticrisi. Berlusconi, dopo tanto ostentato ottimismo, si è forse accorto che la crisi c'è. Chissà. L'argomento comunque lo infastidisce, e si vede; mai che sia andato una volta alle Camere per parlarne, manda sempre avanti i suoi scudieri. Il tema è troppo scomodo per lui.
Non so perché, ma mentre montano gli scandali, aumenta la paura per la stabilità dell'euro, mentre si cerca di mettere il bavaglio alla libertà di stampa, mentre aumentano gli evasori fiscali, mi viene in mente l'ex ministro Scajola. Non per la casa con vista sul Colosseo che la "cricca" aveva in gran parte pagato "a sua insaputa" e che gli è costata le dimissioni, ma per certe dichiarazioni fatte qualche mese fa, quando la crisi dello stabilimento Fiat di Termini Imerese occupava le prime pagine dei giornali. Già, che fine hanno fatto gli operai di quella fabbrica? Dove sono le circa dieci offerte (anche una cinese, se non ricordo male) che Scajola aveva detto d'aver ricevuto per la riconversione di quell'impianto? Forse mi è sfuggito qualcosa.

mercoledì 19 maggio 2010

Il mio ritorno a Berlino

Sono appena tornata da Berlino. La prima volta che l'ho visitata è stato nel lontano 1972, quando la città era grigia, con una lunga ferita che la attraversava in superficie, il "muro", e una ferita più profonda che la lacerava nel tessuto sociale; allora Berlino si era guadagnata anche la fama di città europea con il più alto tasso di suicidi. Lo credo bene, non c'era da scherzare.
Oggi, quasi ventun anni dopo la caduta del muro, è una città viva, che non si ferma mai. Ma non è una città frenetica, stressante. Ho trovato una metropoli a misura d'uomo; sembra un paradosso, ma è così: tantissimo verde, servizi pubblici efficienti, costo della vita inferiore a quello di Milano. Nuovissima nelle moderne architetture (per esempio, il Sony Center - nella prima foto dall'alto - alcune costruzioni di Renzo Piano nell'area di Potsdamerplatz, dove ho provato un po' di sano orgoglio nazionale per colpa del meno italiano - per presenza di opere nel suo e nostro Paese - degli architetti), ma ancora orientale in quartieri come Prenzlauerberg, dove l'occidentalizzazione per il momento non ha completamente allontanato gli anziani, gli artisti e gli intellettuali, allora anche i dissidenti, che l'abitavano; ancora orientale negli enormi edifici testimonianza dello stile del socialismo reale lungo la Karl Marx Allee.
Berlino continua a portare i segni di un passato molto doloroso che ha toccato i vertici del male con l'Olocausto. Oltre al grande memoriale per le vittime dell'Olocausto (seconda foto, 400 blocchi di calcestruzzo, di altezze diverse, rivestiti di una patina antigraffiti, opera dell'architetto Peter Eisenman e dello scultore Richard Serra) costruito non lontano dalla porta di Brandenburgo e del Reichstag, girando per la città ci si può facilmente imbattere in una targa, una stele, un monito: difficile fare i conti con un tale peso, ci vuole altro tempo. Così come altre croci, targhe, fotografie, ricordano le vittime di un'altra barbarie, il muro.
Sono tante le cose che mi hanno colpito nei giorni che ho passato a Berlino. Ne cito alcune. Innanzi tutto la sobrietà dello stile di vita. Sarà l'etica protestante, sarà la contaminazione con i Paesi dell'Est..... L'avverti ovunque: per la strada, nel modo di vestire, nelle case, nei locali pubblici, nei teatri. Rispetto a noi, pochi cellulari incollati all'orecchio, pochi negozi che vendono cellulari; forse, in proporzione, ci sono anche meno auto in circolazione (oppure è un'impressione data dall'ampiezza delle strade?).
Poi, il "Lunch Konzert", il concerto gratuito settimanale nella grande hall della Filarmonica, dove è stato bello mescolarsi al pubblico eterogeneo di berlinesi che dedicano la pausa pranzo alla musica (molti giovani, tanti seduti per terra, sulle scale, appoggiati ai parapetti, ma anche adulti, nonni con nipotini che attraversavano la sala in punta di piedi per non disturbare).
Infine, a Prenzlauerberg, i déhors dei caffè, dove vengono messe a disposizione dei giovani clienti, che sostano ai tavolini per chiacchierare o per studiare, delle coperte (terza foto) per proteggersi dalla fredda primavera berlinese (danno una sensazione di comunità, della vita che scorre lentamente e questo è bellissimo); oppure, sempre nel quartiere, il balcone dei nanetti (quarta foto). Chi avrà addobbato in questo modo il suo davanzale?, mi sono chiesta. Forse un patito di nanetti che, non avendo un giardino, si è accontentato di esporre così i suoi trofei (da segnalare subito al "Comitato per la liberazione del nani da giardino", nato tempo fa in Francia, perché si occupi anche dei confratelli da balcone), un bambino appassionato di fiabe, oppure qualcuno che si diverte a sollevare la curiosità dei passanti? Nella città un tempo caratterizzata dal forte segno cupo del realsocialismo, tenuto sotto controllo grazie soprattutto alla Stasi e al terrore che seminava tra la popolazione, mi piace pensare che la fantasia, anche popolata da nanetti, paperette, pulcini e ghirlande di fiori di stampo disneyano, abbia ottenuto cittadinanza.
Tornerò appena possibile a Berlino. Vi ho lasciato troppe cose in sospeso.

venerdì 7 maggio 2010

A Emilio Fede il "Lecchino d'Oro" dei necrologi

Se esistesse il premio "Lecchino d'Oro", non c'è dubbio che il campione assoluto della specialità sarebbe Emilio Fede, per il suo rendere onore e gloria ogni giorno e con ogni sua azione al dio Silvio, suo signore e padrone.
Qualche giorno fa è morto Salvatore Vanadia, padre di Maurizio, il compagno di Marina Berlusconi. Tra i necrologi usciti sul Corriere della Sera spiccava ieri quello del direttore del Tg4: "Emilio Fede partecipa con grande affetto al dolore di Marina Berlusconi e di Maurizio Vanadia per la morte dell'adorato papà di Maurizio".
Servile e patetica capriola verbale di Fede, indotto dalla sua adulatoria devozione a Berlusconi perfino ad anteporre Marina B. al suo compagno, figlio del defunto e persona più direttamente colpita dal lutto.

mercoledì 5 maggio 2010

Paesi dell'euro: che cosa vuol dire "Pigs"

Una delle cose che mi infastidiscono di più, quando leggo i giornali, sono le inesattezze che si possono trovare nei testi, soprattutto quelle che potrebbero essere facilmente evitate. Certo, qualcosa può facilmente sfuggire (ho lavorato per oltre 30 anni nelle redazioni e lo so bene), ma quando si scrivono sciocchezze come quella che ho trovato su Repubblica di ieri ("Così l'Italia evita la tempesta", pag. 11) mi irrito molto.
A proposito dei paesi deboli dell'area euro, leggo che per Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna è ormai in uso l'acronimo Pigs che significherebbe "paesi-maiale secondo l'ormai noto, dispregiativo, acronimo anglosassone". Niente di più sbagliato. E' vero che pig, in inglese, significa maiale, ma l'acronimo Pigs è appunto un acronimo ed è costituito dalle lettere iniziali del nome di ognuno del quattro Paesi citati. Non c'entra nulla il maiale.

lunedì 3 maggio 2010

Grecia e Louisiana: chi paga?

L'Europa ha deciso di aiutare la Grecia per evitare la bancarotta di Atene e la crisi dell'euro. Chi pagherà? I cittadini greci innanzitutto, quelli che vedranno assottigliarsi sensibilmente retribuzioni e pensioni e aumentare drasticamente la disoccupazione, quindi la povertà. Chi pagherà? Quelli che non hanno colpa. Anche Portogallo e Spagna - siamo indulgenti con l'Italia - non se la passano tanto bene. Chi rischia di pagare? Sempre quelli che non avranno colpa.
Al largo della Louisiana si sta consumando una delle maggiori e più gravi catastrofi ambientali che mai abbiano colpito il nostro pianeta. Un intero ecosistema e l'economia di tutti i Paesi che si affacciano sul golfo del Messico distrutti per l'errore della British Petroleum che, semplicemente, trivellando l'oceano per estrarre petrolio, non aveva previsto che potesse accadere un'emergenza così importante e, soprattutto, come affrontarla.
Il presidente Obama ha detto che la BP pagherà. Ammesso che la multinazionale paghi, i danni causati dall'imbecillità umana vanno ben di di là di qualsiasi valutazione economica e continueranno a far sentire le loro conseguenze per chissà quante decine (?) di anni. E adesso e in futuro, allora, chi paga e chi pagherà? La natura e i cittadini che non hanno colpe.

sabato 1 maggio 2010

1° maggio. E' urgente ridare dignità al lavoro

Oggi è la Festa del Lavoro (a destra un momento del Concertone di Roma, 2008). Quanti discorsi retorici si fanno sul lavoro! C'è chi tira in ballo l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, chi dice che l'occupazione è aumentata, chi dice che la disoccupazione è aumentata (più realistica quest'ultima), chi vuol fare festa, chi vuol tenere i negozi aperti, chi invoca una riforma del sistema lavoro, chi dice che la flessibilità è necessaria, chi (4 milioni di italiani, giovani e non) che con la precarietà non c'è futuro, chi dice che è colpa della globalizzazione, chi dei cinesi, chi piange i morti sul lavoro, chi dice che queste morti non devono più accadere, chi dice che, dopo la sbornia del terziario avanzato, bisogna ridare valore al lavoro che produce beni materiali, manufatti. Chi dice che il merito paga, chi dice che è meglio una raccomandazione. Chi lo vuole a progetto, a tempo, "somministrato", a chiamata, chi semplicemente lo vuole sicuro.
Per ridare speranza ai cittadini bisognerebbe far rispettare l'art. 1 della Costituzione là dove dice che il nostro Paese è una repubblica democratica "fondata sul lavoro". E respingere così anche i tentativi di chi (leggi il ministro Renato Brunetta) vorrebbe cancellare proprio la parte che ho citato. Certo che in tempi di crisi globale non è facile. Per ridare dignità al lavoro serve una prova di buona volontà di tutte le parti sociali. Inutile far finta di niente o parlare per proclami. Il lavoro è la prima emergenza del nostro Paese.