giovedì 15 ottobre 2015

L'Expo del dott. Sala e quella dei comuni mortali

"Chissà che non abbiamo insegnato agli italiani a fare la coda!" . Con questa battuta infelice Giuseppe Sala, commissario unico e amministratore delegato di Expo 2015,  ha commentato i numeri record degli ingressi al sito espositivo, e non solo nei weekend.
Una battuta molto fastidiosa perché pronunciata sul disagio di tutti i visitatori che, senza alcun controllo da parte dell'organizzazione, si sono accalcati tutti i giorni per ore, salvo poche eccezioni, nella piazza antistante i tornelli per poter entrare.
Giustamente, dottor Sala, le code si fanno nei Paesi civili. Ma quando sono come quelle che si sono addensate nel piazzale dell'ingresso Triulza, dove confluiscono i visitatori provenienti dalla stazione ferroviaria, non sono il segnale del successo della manifestazione, ma della completa e totale incapacità di chi avrebbe dovuto regolare in modo accettabile la grande affluenza prevista e non l'ha fatto (poco conta, purtroppo, che una volta gli addetti abbiano fatto defluire il pubblico verso un altro ingresso). Provi lei, dottor Sala, a mettersi in coda in queste condizioni.
Ma il numero degli ingressi non doveva essere contingentato? A parte il fatto che nessuno sa (salvo forse gli organizzatori) quale doveva essere il numero massimo di visitatori consentito, c'è stata la farsa dei biglietti a data aperta, i biglietti più costosi (39 euro per un adulto fino a 64 anni) per i quali nei primi tre mesi è stato obbligatorio scegliere una data e confermarla attraverso il sito; conferma che però, da agosto, è diventata solo "fortemente consigliata" col risultato che, confermata la data o no, gli organizzatori hanno perso il controllo degli ingressi. Alè, dentro tutti come bestie!
E vogliamo parlare delle scolaresche? Una moltitudine di studenti di ogni età organizzati con le loro classi e insegnanti, che puntualmente sorpassavano i disgraziati in coda da ore.
Ci voleva molto a pensare a giornate dedicate alle scuole? Che so, una giornata alla settimana nei mesi di apertura delle scuole, giornata in cui anche eventuali altri visitatori avrebbero potuto comunque entrare, ma consapevoli che le classi avevano la precedenza.
La mia giornata a Expo da comune mortale e non da giornalista, lunedì 12 ottobre, è stata un incubo. Già all'uscita dalla stazione ferroviaria, alle 10, mi sono trovata in una bolgia dantesca. Senza le barriere che incanalassero fin dall'inizio i visitatori verso un tornello, ci siamo trovati tutti pigiati come sardine, avanzando pochi centimetri alla volta gomito a gomito, piedi a piedi facendo attenzione a non calpestarci, senza vedere dove eravamo diretti. Una marmellata di persone. E la sicurezza?
Finalmente, a pochi metri dai tornelli e dai metaldetector, riesco ad avvistare, dopo due ore due, le transenne che delimitano le code. Dopo un frettoloso controllo eccomi dentro, finalmente!
Noto subito che il tentativo di visitare qualche padiglione, stimola la "creatività" di molte persone che vogliono accorciare la coda: falsi invalidi in carrozzina o col bastone, falsi over 75 improvvisamente invecchiati, di tutto, di più.
Fino alle 17, ora in cui ho gettato la spugna, ho potuto visitare solo due padiglioni (Indonesia e Oman). Per il terzo (Qatar), dopo due ore di coda ho mollato.
Uscendo, mi sono fermata alla prima postazione Informazioni incontrata sul Decumano. Sapendo che c'era la possibilità di saltare la lunghissima coda all'ingresso se avessi formato un gruppo di 30 persone (visite personalizzate a 366  euro a gruppo), ho chiesto chiarimenti al riguardo. Una gentile hostess ha gelato le mie aspettative dicendomi che queste visite, per mancanza di personale (?), sono state abolite. "Ma è scritto nel sito.....", ho cercato timidamente di replicare. "Si vede che non è stato aggiornato". Certo.
Conclusione: ho pagato il biglietto, non ho visto niente, ho perso gran parte della giornata in coda. Mal di schiena, mal di gambe, mal di piedi assicurati per qualche giorno. In coda anche per un caffè, la toilette, uno spuntino..... E' normale? No.
A prescindere dagli inevitabili discorsi trionfalistici che abbiamo sentito ogni volta che un'autorità è venuta a visitare Expo, e che sentiremo nella cerimonia di chiusura a fine mese, mi dispiace soprattutto per chi (quanti commenti negativi sull'organizzazione!), italiano o straniero, è tornato a casa con una cattiva impressione della mia città.
Spero solo che il messaggio di Expo Milano 2015, "Nutrire il pianeta", sia riuscito a oltrepassare tutte le code e tutte le barriere e, a dispetto di quelli che sanno fare solo il conto dei biglietti venduti, colga davvero nel segno e faccia partire iniziative concrete per il futuro del nostro pianeta.



mercoledì 14 ottobre 2015

Mondadori compra aziende e taglia posti di lavoro

Mondadori comincia di nuovo a sforbiciare posti di lavoro. Dopo aver annunciato l'acquisto di RCS Libri la sera del 4 ottobre scorso (per 127,5 milioni), operazione che rafforza nettamente il dominio della casa editrice di Segrate sul mercato italiano, tanto da prevedere la possibilità di un intervento dell'Antitrust, Marina Berlusconi, presidente della Mondadori, nell'intervista al Corriere della Sera (6 ottobre 2015), ha illustrato il significato dell'operazione: "E' un atto di fiducia nel libro, ma anche nell'Italia, nella creatività, nell'intelligenza, nella voglia di conoscere e di emozionarsi degli italiani, quindi nel futuro del Paese e nella qualità di questo futuro".
Delle proteste degli autori più prestigiosi di RCS Libri (Umberto Eco per primo), preoccupati per l'identità dei diversi marchi del gruppo rizzoliano, hanno parlato in tanti ma sono rimaste sulla carta.
Invece del futuro dei dipendenti RCS Libri nessuno si è occupato finora. Però una rassicurazione è venuta dalla stessa Marina Berlusconi quando, nell'intervista, alla domanda sul timore di tagli al personale ha risposto: "Non abbiamo rilevato la RCS Libri per mortificarla, ma per valorizzarla. Per valorizzare il gruppo, i suoi marchi, i suoi autori e naturalmente le persone che vi lavorano".
Allora tutti tranquilli? Per niente!
Il 1° luglio scorso Mondadori, che già deteneva il 50% della joint venture Mondadori/Gruner+Jahr ha annunciato l'acquisizione dell'altro 50% assumendo così l'intero controllo dei periodici del mondo Focus. Due giorni dopo la conclusione di quest'ultima operazione la casa editrice di Segrate ha licenziato 23 dipendenti grafici editoriali su 26.

martedì 6 ottobre 2015

Dalli al manager Air France. La lezione di Parigi

La vista dei top manager di Air France (nella foto, Xavier Broseta, capo delle Risorse umane) con la camicia strappata o senza camicia, che ieri mattina arrancavano per fuggire oltre i cancelli della loro sede all'aeroporto di Paris CDG, all'interno dei quali per loro erano botte e calci sicuri, non è stata un bello spettacolo; diciamo pure che è stato uno spettacolo incivile. Assolutamente incivile.
Ma quanto di civile c'è nella scelta fatta a tavolino di lasciare a casa 2900 lavoratori? Soprattutto dopo che su quella stesso tavolo qualche anno o mese prima erano state fatte, non importa se dagli stessi o da altri manager, scelte strategiche completamente sbagliate che hanno messo l'azienda in condizioni di dover proporre tagli dolorosi per sopravvivere?
Quello dei manager che sbagliano, della loro responsabilità, è un tema molto spinoso che suscita alcune domande.
Come vengono scelti i dirigenti di un'azienda? Se poi risultano incapaci è proprio necessario riempirli di benefit, bonus e milioni quando se ne vanno e lasciano sul lastrico migliaia di famiglie? Si dice sempre che lo prevede il loro contratto. Ma quando si scelgono non si possono condizionare i loro lauti guadagni al buon andamento dell'azienda che viene loro affidata? Perché nessuno di loro paga mai per i danni, anche gravissimi, provocati? Quanto di civile c'è nel liquidarli a peso d'oro?
Quel che è accaduto all'aeroporto di Parigi, dove a sollevarsi sono stati soprattutto piloti, hostess e personale di terra (lavoratori "garantiti"),  induca a riflettere soprattutto il sindacato, anche da noi. Chi si ribella lo fa perché ha paura di perdere ulteriormente diritti, già in parte erosi per motivi sempre ossessivamente riconducibili alla crisi e non all'incapacità del top management. Chi non si ribella invece sono gli ultimi, i precari, quelli che non hanno diritti, non sono rappresentati da nessuno e nessuno li ascolta. Attenzione, però, la scintilla scoppiata in Francia potrebbe diventare contagiosa.