mercoledì 24 settembre 2014

Il lavoro è da riformare anche secondo giustizia

"Dove eravate in questi anni? Dove eravate quando nel mondo del lavoro si è prodotta la più grande ingiustizia tra chi il lavoro ce l'ha e chi no, tra chi ce l'ha a tempo indeterminato e chi precario?", ha tuonato qualche giorno fa Matteo Renzi rivolto ai sindacati, ancora una volta scesi sul terreno della difesa dell'art 18, articolo dello Statuto dei lavoratori (1970) della cui tutela godono un terzo dei lavoratori italiani (circa 7 milioni contro 22 milioni di lavoratori che non ne hanno diritto).
Certo, lo schiaffo brucia e comunque uno scossone andava dato. Tardivamente solo Landini (Fiom-Cgil) e Bonanni (Cisl) avevano ammesso di non aver fatto abbastanza per i precari (avrebbero potuto tranquillamente dire di aver fatto mai nulla!).
Nulla ha fatto però anche la politica di sinistra che, in tema di lavoro, sembra essersi svegliata ora improvvisamente da un sonno durato vent'anni: dopo la breccia aperta nel 1997 dal "pacchetto Treu" (centrosinistra) con il riconoscimento del lavoro interinale, il centrodestra ha avuto un'autostrada a disposizione per le sue leggi di riforma del mercato del lavoro, passate senza trovare opposizione, con effetti devastanti sul futuro di alcune generazioni.
Adesso che si è tolto questo sasso dalla scarpa, Renzi dovrebbe smetterla di menare fendenti e passare a una fase costruttiva. Con chi? Renzi non è persona che accetti suggerimenti (e stranamente - o no - sembra più in sintonia con i Sacconi e i Brunetta che con i suoi compagni di partito) e ha tutta l'aria di voler procedere "muro non muro tre passi avanti". Ecco, faccia attenzione il nostro premier; la linea dell'uomo solo al comando ha portato sempre ad andare a sbattere.

mercoledì 17 settembre 2014

Contratto di lavoro a tutele crescenti? Ni

Ieri alla Camera, presentando il programma "Mille giorni" sulle riforme da attuare entro fine legislatura, Matteo Renzi, che aveva sentito alle sue spalle la voce grossa fatta dall'Europa, ha battuto i pugni per la prima volta sul lavoro, parlando esplicitamente di una riforma che faccia superare l'"apartheid" tra lavoratori di serie A e lavoratori di serie B entro quest'anno: riforma da fare, se necessario, anche con un decreto.
Però, quanta improvvisa determinazione!
Su come il governo intenda superare questa discriminazione le idee sembrano ancora molto confuse. Comunque, senza perdere ulteriore tempo, il governo ha presentato, all'interno della riforma chiamata Jobs Act un emendamento che introduce il contratto a tutele crescenti (Ichino), della durata di tre anni, durante i quali il lavoratore gradualmente conquista delle tutele e al termine del quale verrebbe stabilizzato. A prima vista l'impressione è quella di un altro contratto che andrebbe ad arricchire la già foltissima categoria dei contratti esistenti; infatti, dettaglio preoccupante, l'emendamento, che introduce anche il mansionario flessibile e i controlli a distanza prima vietati, mira sì al superamento dell'art.18 (peraltro già depotenziato dalla riforma Fornero) ma per il momento non scalfisce minimamente la giungla di contratti precari che doveva essere sfoltita.
Per la giungla di contratti (46 tipologie contrattuali) creata ad arte, e fortemente mantenuta, dalle leggi sul lavoro varate dai governi precedenti (centrosinistra, centrodestra e, boh, governo Monti) sarebbe previsto una sorta di censimento per verificarne "la coerenza con il contesto produttivo e col tessuto occupazionale". Cioè gran parte di questi contratti resteranno.
Ma come si fa a crescere se gran parte della forza lavoro, soprattutto quella dei 25-40enni, che potrebbe consumare e spendere per comprar casa, cambiare l'auto, comprare un frigo nuovo..... non lo fa perché non ha certezza per il proprio futuro?
Ma come si fa a rilanciare il lavoro senza cancellare prima le leggi sbagliate, e ingiuste, che l'hanno regolato?
E' vero che il lavoro non si crea per legge o per decreto. Il lavoro si crea con gli investimenti e la crescita; ma con leggi e decreti è stato massacrato e si sono create le premesse per una precarietà diffusa. Riscrivere e semplificare le regole può aiutare. Purché il Jobs Act non diventi l'ennesima riforma che invece di incentivare l'occupazione toglie dignità ai lavoratori.