domenica 29 novembre 2009

Un lavoro al padre per far studiare il figlio

Il padre è stato licenziato e il figlio di 17 anni vuole abbandonare la scuola per cercarsi un lavoro e aiutare la famiglia. La storia del bravo studente di Rovereto, che rinuncia al diploma da geometra, ha suscitato molto interesse e partecipazione da quando è apparsa su un quotidiano locale e sul Corriere della sera.
Mariastella Gelmini, ministro dell'Istruzione, si è dichiarata disponibile a trovare una soluzione affinché il ragazzo possa continuare la scuola. Anche un imprenditore di Rovereto, consapevole dell'importanza della formazione, e per non lasciar passare il messaggio che lo studio sia un'opportunità riservata ai benestanti, con una lettera inviata al Corriere della sera, ha dichiarato la sua volontà a impegnarsi per trovare "una soluzione che soddisfi le ambizioni professionali del genitore e consenta allo studente di tornare a scuola per conseguire il meritato diploma".
Una storia che sta per avere un lieto fine. Bene, non si può che essere felici per la svolta positiva di questa vicenda. Ma quanti sono i padri disoccupati di figli che non possono continuare gli studi? E quanti saranno, visto che la perdita di posti di lavoro è un'emorragia inarrestabile? Non basta risolvere un caso, venuto alla luce grazie a un'iniziativa della preside dell'istituto: il problema dell'abbandono scolastico per cause economiche richiede interventi strutturali, non solo quando il caso appare sui giornali.

mercoledì 25 novembre 2009

Vespa, l'inquisitore

Bruno Vespa non fa più il giornalista. Le ultime due puntate di Porta a porta sono state lunghi interrogatori, non interviste, a due transessuali: "China" (la sera di lunedì 23/11) e "Natalie" (ieri). La prima perché amica di "Brenda", la trans trovata morta asfissiata in casa; la seconda, perché coinvolta, con "Brenda", nel caso Marrazzo.
L'atteggiamento di Vespa, perfino nella postura, era proprio quello di un inquisitore, di un poliziotto moralista che quasi si compiace di sguazzare in tutto quel fango: occhi come lame, ciglia aggrottate, domande che frugano nella vita e nell'intimità delle persone, insidiose, all'apparenza anche un po' morbose.
La prima sera, in studio, davanti al modellino aperto (un must del programma) della casa scenario del delitto (in questo caso, reato ancora da provare), lieve imbarazzo dell'inquisitore quando "China" gli ha detto che le misure del soppalco erano completamente sbagliate.

lunedì 23 novembre 2009

Presidente Fini, non basta dire "stronzo"

Un'altra iniziativa in nome di una legge razzista. Dopo l'operazione White Christmas, avviata dal comune di Coccaglio (Brescia), allo scopo di allontanare dal territorio comunale gli immigrati irregolari, e poter celebrare finalmente, secondo i promotori dell'iniziativa, un "Bianco" Natale, ecco un'analoga operazione decisa dall'amministrazione di San Martino Dall'Argine (Mantova), che sollecita i suoi cittadini (nati e residenti per caso in Italia, dico io) a denunciare gli irregolari (nati casualmente in un Paese povero e/o in guerra e presenti per fame, paura e condizioni di vita disumane in Italia).
Accusate di razzismo, le due amministrazioni hanno spiegato la ragione di questi inviti alla delazione con la semplice esigenza di rispettare la legge che ha istituito il reato di clandestinità (n. 94 del 15 luglio 2009). Per fare un esempio: rubare è un reato; se si coglie in flagrante un ladro corre l'obbligo morale di denunciarlo. La clandestinità è un reato; quindi, se si scopre un clandestino.... Ho paura che questi cattivi esempi di zelo facciano scuola.
Presidente Fini, non basta dare pubblicamente dello stronzo a chi ha un comportamento razzista: si dia da fare, invece, per cambiare la legge (che porta anche il suo nome) e, soprattutto, per cancellare il reato di clandestinità, un'offesa grave alla dignità e ai diritti dell'uomo.

venerdì 20 novembre 2009

"Processo breve": ne salterà uno su cento. Quale?

A proposito delle conseguenze del "processo breve", l'ineffabile ministro della Giustizia, Angelino Alfano, prevede che a cadere in prescrizione sarà solo un processo su cento. Appunto. Indovinate quale.

giovedì 19 novembre 2009

A qualcuno piace l'acqua

Passata la legge, la gestione dell'acqua passa ai privati. Gli imprenditori privati che avranno gli appalti ringraziano. Ma non voglio entrare nel merito dell'importante significato politico, di segno negativo, di questa norma, e mi limito a un'osservazione che riguarda "le tasche degli italiani", per usare un'espressione cara alla demagogia di chi ci governa.
Secondo le stime delle associazioni dei consumatori, le tariffe del servizio idrico per gli utenti potrebbero aumentare mediamente del 30%.
Prima ci hanno detto di consumare tranquillamente l'acqua del rubinetto perché, a parità di qualità, costa meno di quella minerale. Adesso che questo vantaggio sembra destinato a svanire, forse diventerà più conveniente usare l'acqua in bottiglia, magari con le bollicine, pure per lavarsi i denti.
Anche i produttori di acque minerali ringraziano.

"Ambrogino d'oro": che meriti ha Marina B.?

Maria Elvira (detta Marina) Berlusconi riceverà il prossimo 7 dicembre l'"Ambrogino d'oro", uno dei massimi riconoscimenti (certamente il più mediatico) che il comune di Milano assegna ogni anno ai cittadini, alle imprese e alle istituzioni che si sono distinti nel fare crescere e nel dare prestigio alla città. La proposta è stata fatta da Letizia Moratti, sindaco di Milano.
Che meriti ha Marina Berlusconi? Il suo curriculum è molto scarso, del resto non ha mai dovuto presentarlo a nessun direttore delle risorse umane (ex direttore del personale) di nessuna azienda, ma l'ascesa, per diritto di nascita, è stata fulminea.
E' la primogenita, come tutti sanno, di Silvio Berlusconi e della sua prima moglie Carla Dall'Oglio. I suoi studi, dopo la maturità classica, si fermano. Per lei, oltre ai natali, più che l'istruzione è valsa la pratica sul campo. A trent'anni, con la benedizione del suo tutor Fedele Confalorieri, è vicepresidente di Fininvest, la holding di famiglia (presidente dal 2005). Nel 2003 diventa presidente della Mondadori. Da un anno è anche nel consiglio di amministrazione di Mediobanca. Per la rivista Forbes, Marina B., 43 anni, è la donna italiana più potente (nella classifica mondiale è al trentatreesimo posto).
Va bene, è una manager grintosa (alla sua immagine aggressiva contribuiscono anche i minitailleur strizzati in vita, le scollature generose per sottolineare il buon lavoro del chirurgo estetico, il trucco sempre pesante per fare velo a un altro buon lavoro dello stesso chirurgo e, immancabile, il tacco dodici) che guida con pugno di ferro gli interessi di famiglia nella carta stampata. Ma la casa editrice Mondadori non era già stata premiata l'anno scorso con una grande medaglia d'oro? Che bisogno c'era di reiterare in questo modo il premio? Ripeto: che meriti ha Marina Berlusconi?

mercoledì 18 novembre 2009

"Perché Berlino ha riaperto la mia ferita"

Ho ricevuto da Glauco Maggi, amico e collega (lavora per La Stampa da New York) questa bellissima testimonianza. Sono parole forti, perché forte è stata la sofferenza di milioni di persone private del bene primario, la libertà.
"Ho un ricordo di Berlino pure io, cara Valentina. Ci andai finito il liceo, nel 1968, con la tessera della Fgci in tasca e con Popi Saracino, e mi pare che stessimo già progettando, se non lo avevamo già fatto in quei mesi, di migrare ad altri lidi più rossi e puri che offriva a quel tempo la frastagliata e ancora molto orgogliosa sinistra socialista e comunista.
Ricordo il passaggio dal Charlie Point da ovest a est, cioè dal technicolor della Kurfuerstendam al bianco e nero dell'altra metà. Curioso modo di dipingere l'avvenire, ma allora non me lo chiesi. Pagai volentieri i dieci dollari di entrata nella DDR, anche se le guardie di frontiera ci fecero mettere nudi per ispezionarci, dopo aver frugato nelle tasche e nel portafoglio, tessera e passaporto foglio per foglio. Non si capacitavano di questo turismo ideologico, i Vopos, perché loro sapevano dove erano, a differenza di noi.
Ho rivisto poi altre due volte l'est comunista prima del 1989, in Polonia e in Ungheria. Della Polonia ricordo le chiese a Cracovia straboccanti e il giornale Tribuna Ludu a Varsavia.
Ero correttore di bozze al Corriere in gita con i compagni sindacalisti e del partito. Era il 1975, e il viaggio era un pellegrinaggio ai campi di sterminio nazisti. Il compagno di avventura, allora, era Paolo Cagna, diventato poi un top sindacalista ortodosso. Al tempo eravamo entrambi della sinistra che "la sapeva giusta", quella composta dall'ala chic di Magri e della Castellina e dall'ala ex trozkista di Avanguardia Operaia.
Scrissi, da amatore non pagato, la mia prima corrispondenza estera proprio su quell'esperienza. Più grandicello, e senza tessera del Pci, potevo almeno cominciare a vedere qualcosa oltre la cortina: per esempio le desolate campagne con i buoi al posto dei trattori, mercatini semiclandestini con le carote e le patate coltivate in proprio, frotte di cambiavalute truffatori che assediavano gli stranieri. Ciò che ricordo, a dispetto della palese ostilità della gente, giovani soprattutto, al loro regime, è il negazionismo di tanti nostri compagni del gruppo. Guai a scalfire il mito, anche se era tutto lì a portata di intelligenza.
In Ungheria, per un convegno di banche a cui partecipai come giornalista, seppi altre minuzie di vita comune: a Budapest l'acqua e la corrente erano razionate, e la gente con cui si parlava disperava di poter mai uscire dai confini di Stato per andare a ovest. Solo in Russia o DDR potevano emigrare e per periodi limitati.
Più di recente, a muro crollato da sette anni, visitai per lavoro Cuba. I bambini a scuola dovevano farsi fare dalla maestra la richiesta per il paio di scarpe quando ne avevano bisogno, e chi lavorava nei villaggi turistici ci raccontò che, per visitare il fratello nella cittadina a 20 km di distanza, doveva farsi fare il visto dal commissario politico. Anche il quel viaggio, gli altri giornalisti italiani riuscirono a tenere la testa ben fasciata nei miti del Che e della sanità superiore di Fidel per non vedere il palese: povertà da terzo mondo a L'Havana e da quarto mondo nelle campagne. E un regime oppressivo dalle radici lontane e senza futuro per i suoi sudditi che non fosse la fuga in Florida.
Ho sfogliato la tua galleria di foto di Berlino, cara Valentina, e il rammarico è di non aver più le foto che scattai in Polonia. Erano in bianco e nero come le tue, che sono cariche della testimonianza personale e di una forza rievocativa notevole. Rivedere la tua Berlino mi ha riaperto una ferita. Non aver saputo vedere la realtà che era nitida, non essere stato capace di un giudizio critico serio su ciò che ci circondava, avere accettato con la leggerezza di chi faceva politica perché era di moda una ideologia fallace. Che, sventolata in Italia, era troppo bella per essere vera, come un prodotto finanziario truffaldino. Ma che fuori Italia, dalla Russia alla Cina, dalla Cambogia alla Berlino murata faceva pochissimo per camuffarsi. Eppure noi, daltonici dentro, non accettavamo che quello fosse bianco e nero, e lo coloravamo con la vernice di una passione cieca".

martedì 17 novembre 2009

Tv digitale terrestre: un diktat indigesto

E’ in pieno svolgimento, nel nostro Paese, il passaggio dalla tv analogica a quella digitale terrestre. Senza dubbio un fatto importante, un bel passo avanti nell’innovazione tecnologica. A farne le spese, proprio nel senso di spesa, sono come sempre gli utenti, che devono comprare un decoder o un televisore di ultima generazione con decoder incorporato. Certo, il governo è stato “generoso” concedendo un bonus di 50 euro a chi ha più di 65 anni e un reddito annuo inferiore ai 10 mila euro, e obbligando la quasi totalità dei cittadini a pagare, senza sconti, un altro balzello, compensato sì dalla disponibilità di diversi altri canali (quanto migliorerà la qualità dei programmi è però tutto da vedere), ma che alla fine rappresenta un business, guarda caso, soprattutto per i proprietari di reti televisive. Altre categorie di operatori contenti sono i produttori di apparecchi tv e decoder e, ovviamente, gli antennisti, chiamati a un superlavoro per risintonizzare i ricevitori o riposizionare antenne. Una bella spinta al consumo, per aiutare l’economia del Paese, in uno dei suoi momenti più difficili: come dire, i già pochi soldi delle famiglie, sottratti al risparmio, devono essere spesi per forza anche per un consumo che in questo momento non sarebbe proprio indispensabile. A questo proposito mi piace ricordare un fatto di segno opposto: il ritardo, rispetto ad altri Paesi europei, con cui la tv a colori è entrata nelle case degli italiani (1976) fu causato soprattutto dalla dura opposizione di Ugo La Malfa, segretario del Pri (allora partito di governo), preoccupato invece che le famiglie potessero indebitarsi fortemente per acquistare i primi, costosissimi tvcolor, e il tasso d’inflazione corresse quindi più veloce. Non sono contraria all'innovazione tecnologica (oltre tutto la sto usando adesso, proprio mentre scrivo), ma forse sarebbe meglio, quando si fanno certe scelte, non adottare solo criteri strettamente economici.

domenica 15 novembre 2009

Topolino diventa cattivo. Perché?

Basta con Topolino eroe buono. La Disney ha annunciato nei giorni scorsi che il personaggio preferito da alcune generazioni di bambini in tutto il mondo diventerà cattivo. O, meglio, potrà smettere di essere generoso, altruista, coraggioso e vestire i panni, decisamente più alla moda, del Topo astuto, furbetto, litigioso. Questa trasformazione avverrà nel videogioco Epic Mickey, che Nintendo Wii mettterà in commercio l'anno prossimo, e dipenderà ovviamente da chi giocherà nel ruolo di Topolino.

A Danilo Francescano, esperto e collezionista di fumetti, ho chiesto che cosa ne pensa. Ecco la sua opinione.

"Personalmente, amo i Paperi. Lo confesso, non sono un grande ammiratore di Topolino. Specifico: del Topolino di oggi. Perché se parliamo di quello dei primi anni Sessanta, quello di Romano Scarpa (lo ricordate? È il Topolino della Collana Chiricawa, della Fiamma eterna di Kalhoa, dell’Uomo di Altacraz) o ancor più del Mickey Mouse di Gottfredson, curioso, ottimista e, in fondo, un po’ infantile (nel senso buono del termine), la musica cambia… Non mi piace il Topolino perbenista, cittadino integerrimo, succube dei capricci di una Minnie pettegola, fatua e spesso arrivista. Non mi piace il Topolino che ha perso il senso dell’avventura per l’avventura. Non mi piace il Topolino caricatura di sé stesso.

Per questo, la notizia che Topolino diventerà più cattivo non mi sconvolge per niente.

Oddio, per arrivare a tanta iconoclastia, alla Disney devono essere proprio ridotti allo stremo… Parlando dell’Italia almeno (ma in USA il fumetto disneyano ha da tempo un valore prossimo allo zero: Mickey Mouse è Disneyland e solo Disneyland), tutta colpa di una politica editoriale dissennata e autolesionista, in cui la miopia della vendita a ogni costo, a scapito della qualità, ha determinato la crisi, forse irreversibilile, del fumetto più amato di tutti i tempi. E allora, via con i gadget e con le avventure fintamente sceneggiate dall’attore o dal campione di turno. Via con i tentativi, con le innovazioni spesso cervellotiche, con la ricerca disperata del favore di giovani cui la dimensione alterata e priva di pathos in cui sono precipitati Topolinia (e Paperopoli, purtroppo) non ha più niente da dire. E pensare che sarebbe bastato un po’ di amore per il mondo disneyano per mantenere viva la magia…

E vabbè, vediamo come sarà questo Topolino cattivo. Forse sarà pure gradevole. Forse".

giovedì 12 novembre 2009

Una "nursery" per baby Gelmini

Mariastella Gelmini, ministro dell'Istruzione, ha annunciato di aspettare un bambino. Una bellissima notizia. E subito dopo ha aggiunto: "Quanto mi fermerò? Io non starò a casa neppure un giorno". Peccato, signora mia. Non sa che cosa perde. E che cosa fa perdere a suo figlio. Del resto, in natura è così (vedi mammiferi), e poi non è per sfizio che gli esperti in psicologia infantile da sempre sostengono che la cura e la vicinanza, anche fisica, della madre nei primi mesi di vita sono molto importanti per il bambino. Non si dice che lei debba stare lontana dal ministero per i canonici tre-quattro mesi dopo il parto come una qualunque lavoratrice, ma nemmeno tutto questo zelo....
E, a proposito delle madri che lavorano, dice ancora il ministro superwoman: "Ci sono milioni di mamme che riescono a lavorare e a far bene le due cose a prezzo di qualche sacrificio e di qualche fatica", aggiungendo però che avrà bisogno di una nursery al ministero (come già fu fatto per Irene Pivetti e Stefania Prestigiacomo).
Certamente, signora ministro, e lo dico senza ironia: gli impegni del suo ruolo richiedono una nursery per lei e il suo bambino, nell'interesse della sua famiglia e dei cittadini (che ne pagano anche il costo). Felicitazioni e auguri. Ma vogliamo alleviare finalmente un po' anche il doppio lavoro delle altre madri? A quando, per tutte loro, delle comode nursery aziendali, vicine a casa o al luogo di lavoro?

domenica 8 novembre 2009

Berlino Est, agosto 1972

Alcune altre immagini tratte dal mio reportage. Qui sotto, dall'alto in giù: 1) La porta di Brandeburgo vista da Berlino Est; la quadriga sulla sua sommità in origine guardava a Ovest, dopo la costruzione del muro è stata girata verso Est e così è rimasta anche dopo il 1989; 2) Il "serpentone" del muro, come appariva dall'alto del palazzo sede dell'editore Axel Springer. 3) La mitica Trabant, detta "Trabi" (le due auto bianche, al centro della foto), vettura simbolo della Germania Est. 4) Il lungo e ampio viale Unter del Linden, che conduce alla Porta di Brandeburgo. 5) Il grande monumento a Lenin, nella Leninplatz (oggi Platz der Vereinten Nationen, piazza delle Nazioni Unite), rimosso nel 1989; una riproduzione di questa statua, priva del basamento, è stata al centro di una celebre immagine del film Good bye Lenin). 6) La coda di clienti davanti a un verduraio. 7) La boa, sul fiume Sprea, che segnalava l'avvicinamento al confine.

venerdì 6 novembre 2009

La mia passione per Berlino

Sono molto legata a Berlino. Ho cominciato ad amarla da ragazza, proprio a causa del muro, di quella lunga ferita che attraversava il suo corpo. Osservare quel che accadeva attorno al muro era diventata quasi la mia ossessione. Mi era venuto forte il desiderio di raccontare, di narrare quel che da lontano riuscivo a vedere, anche l’orrore che provavo davanti alle foto dei giovani caduti sotto il fuoco dei Vopo (la Volkspolizei) mentre cercavano disperatamente di oltrepassare il muro. Nel 1961, anno della costruzione del muro, abitavo fuori Milano, in un paesino di campagna dimenticato da Dio. Guardavo alla tv tutti gli “speciali” sul muro. Ritagliavo dal Corriere della Sera (l’unico giornale che entrava allora in casa) tutti gli articoli che parlavano di Berlino, anche la celebre foto di John Kennedy che proclama “Ich bin ein berliner”. Un discorso mediatico, diremmo oggi, ma di grande impatto, davvero forte e importante allora (solo i puristi della lingua tedesca arricciarono un po' il naso per quell’”ein” di troppo). Internet era ancora molto lontana. Per documentarmi, andavo alla Deutsche Bibliothek di Milano, una vera miniera: vi trovavo di tutto (libri, giornali, fotografie, opuscoli di propaganda, eccetera). Leggevo, traducevo quel che potevo, prendevo appunti. Qualche anno dopo, alle superiori, dovetti preparare una ricerca su tema libero. Scelsi il muro di Berlino naturalmente. Oltre al materiale che già avevo, pensai di arricchire il mio lavoro con qualcosa di particolare. Era il mese di maggio. Avevo notato, lungo le sponde del Naviglio Pavese, un campeggio. Quasi tutti turisti tedeschi. Preparai, col mio tedesco scolastico, qualche domanda sul muro di Berlino e, in bicicletta, con taccuino e matita, mi fiondai con entusiasmo giovanile (avevo 14 anni) tra tende e roulottes per conoscere le opinioni di quelle persone su un problema così scottante per il loro Paese. Capii, in quel momento, che cosa avrei voluto fare da grande. Qualcuno non mi prese sul serio, altri sì. Delle loro risposte non compresi molto; alla fine, confesso, mi aiutai anche con un po’ di fantasia. Proprio come certi inviati che ammiravo molto.

Il secondo ricordo è del 1972. Ero una giovane giornalista praticante a Panorama, il primo newsmagazine italiano. Era l'anno delle Olimpiadi di Monaco e in redazione era arrivato un invito dell'Ente nazionale per il turismo tedesco per un breve tour promozionale di quattro giorni riservato alla stampa estera: due giorni a Monaco e due in un'altra città a scelta (naturalmente optai per Berlino). Il direttore, Lamberto Sechi, accettò l'invito e lo passò a me.

Provai un'emozione intensa e indescrivibile. Potei finalmente avvicinarmi al muro, con un accompagnatore attraversai la zona americana a bordo di una Mercedes nera cabriolet degli anni ’50: l'autista aveva l'ordine di avanzare a passo d’uomo (l’auto, per nessun motivo, avrebbe dovuto fermarsi) e io, in piedi, un po' in bilico, con la mia prima Nikon e qualche "dritta" tecnica fornita dall'amico e collega Giuseppe Pino (allora fotografo di Panorama, poi prestigioso ritrattista) scattavo a ripetizione foto in bianco e nero (due delle quali appaiono qui sopra). Altrettanto emozionanti furono il passaggio del Checkpoint Charlie per entrare a Berlino Est e l’avvicinamento su un battello al Glienicker Bruecke (foto piccola), il ponte usato per scambi di spie tra Unione Sovietica e Stati Uniti, in una vera atmosfera da spies-story; poi la visita al grande palazzo di vetro, a ridosso del muro, della Axel Springer Verlag (la casa editrice della Bild Zeitung e di Die Welt, nella foto grande ) dove, all’ultimo piano, nel salone tutto boiserie e fumo di pipa, riservato al circolo dei giornalisti, alle pareti erano appesi manifesti con le foto segnaletiche di ogni componente del gruppo anarchico Baader-Meinhof, e su qualche volto era tracciata col pennarello una grande croce, segno di un'avvenuta cattura. Anche la Germania occidentale stava vivendo i suoi anni di piombo.

giovedì 5 novembre 2009

Berlino: quel muro "doveva" crollare

Vent'anni fa, il 9 novembre, il muro di Berlino è crollato sotto i colpi sferrati con ogni mezzo dai berlinesi (picconi, martelli, qualcuno anche a mani nude).
La monumentale installazione, simbolo della Guerra Fredda tra i due grandi blocchi - occidentale e orientale - che si erano spartiti il dominio del mondo, si è sbriciolata in una notte. In una Berlino dove il clima era già da pieno inverno, la notte si fece calda, piena di promesse.
In oltre ventotto anni, ai piedi di questa odiosa barriera, eretta in un'altra lontana notte, quella del 13 agosto 1961, sono caduti 231 cittadini di Berlino (altri 409 morti lungo tutto il confine tra Germania Est e Ovest). Una barriera di cemento, filo spinato e sangue.
Il linguaggio delle cifre non lascia mai spazio ai sentimenti. Ed era stato il destino dei sentimenti, dei rapporti familiari e affettivi che quel muro avrebbe inevitabilmente frantumato a colpirmi di più (allora ero una ragazza di quattordici anni). Ma i sentimenti dei berlinesi volevano con forza sopravvivere alla tragedia. Famiglie la cui casa, sulla linea di confine, venne divisa in due da una spessa parete di mattoni: i figli di qui, i genitori di là. Finestre che, dal grande viale a Est, guardavano oltre il muro, di colpo oscurate per impedire la visione di un altro mondo, non sempre migliore, ma certamente libero. E poi gli stili di vita: gli ultimi modelli di Opel e Mercedes di qui, le Trabant di là; i rapporti sociali, i grandi magazzini, i caffè, le luci della sera sul Kurfuerstendamm, di qui, il coprifuoco sull'Unter den Linden, di là. Il cinema e il teatro liberi di qui, il cinema e il teatro di regime di là.
I sentimenti alla fine ce l'hanno fatta. Artefice e complice la politica, soprattutto la svolta voluta da Mikhail Gorbaciov, Helmut Kohl e George Bush sr. Con la benedizione di Papa Wojtyla.
Crollato il muro, le famiglie, gli affetti, le amicizie, i rapporti si sono ricomposti, Berlino Est e Ovest sono diventate Berlino e basta; la vita politica, culturale, economica ha ripreso a scorrere nelle strade trafficate della città attraversandola in un incredibile e quasi impazzito moto perpetuo da Est a Ovest, da Ovest a Est. Anche la Germania è tornata a essere una, e senza i fantasmi che il progetto della riunificazione tedesca aveva sempre portato con sé. I problemi non finirono, anzi, altri problemi nacquero proprio in quel momento.
Ma fu la fine di un incubo.

mercoledì 4 novembre 2009

Chi comprerà il nuovo libro di Vespa?

Ventisette anticipazioni in pochi giorni (secondo un calcolo pubblicato oggi da Repubblica). Questo il record delle citazioni, centellinate una per una, del libro di Vespa, in uscita tra due giorni. L'abuso di questa pratica di marketing editoriale, che ha ovviamente lo scopo di suscitare interesse e curiosità dei lettori spingendoli all'acquisto del libro, rischia di trasformarsi in un boomerang.
A meno di una nuova importante rivelazione annunciata, ma non anticipata (tipo la risposta alle dieci domande rivolte al premier da Repubblica), di questo libro si sa ormai tutto. Non è un mio problema (non comprerei comunque questo libro) ma..... chi avrà ancora interesse ad acquistarlo?

Berlusconi dà uno schiaffo a "Panorama"

Ancora un'anticipazione dal libro di Vespa. Il Lodo Mondadori (la pace armata tra Berlusconi e De Benedetti sulla spartizione della Mondadori, raggiunto nel 1991 con la mediazione dei politici, che diede a Berlusconi il controllo della casa editrice di Segrate e assegnò definitivamente a De Benedetti il gruppo Repubblica-Espresso) è un rospo che il premier non ha mai digerito.
Tornando sulla vicenda nell'ennesimo e stracitato libro di Vespa, Berlusconi ha dichiarato che, suo malgrado, dovette cedere alle pressioni di Craxi e Andreotti e lasciare al suo avversario "tutto ciò che era politicamente influente ed economicamente più redditizio (Repubblica, l'Espresso e una catena di diciotto quotidiani locali) e accontentarsi dei libri (Mondadori). Si attende una forte reazione allo schiaffo da parte di Panorama e degli altri periodici di Segrate.
Nella foto, la sede della Mondadori a Segrate (Milano).

martedì 3 novembre 2009

"Quella croce è il segno del dolore umano"

La Corte europea per i diritti dell’uomo ha condannato l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche perché è una una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni, e del diritto degli alunni alla libertà di religione. Senza entrare nel merito delle motivazioni giuridiche addotte dalla Corte di Strasburgo per affrontare una questione che tocca corde profonde della spiritualità di molti o che suscita, in altri, contrarietà o indifferenza, riporto qui un ampio stralcio dell'articolo di Natalia Ginzburg, pubblicato su L’Unità il 22 marzo 1988 e intitolato: “Quella croce rappresenta tutti. E’ il segno del dolore umano”.

(.....) Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E’ l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. O vogliamo smettere di dire così?
Il crocifisso è simbolo del dolore umano. La corona di spine, i chiodi evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino.
Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo cancella l’idea di Dio, ma conserva l’idea del prossimo.
Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. E’ vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini.
Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero. Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente.
Ha detto “ama il prossimo come te stesso”. Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono diventate il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto.
Il crocifisso fa parte della storia del mondo.

lunedì 2 novembre 2009

Volete comunicare qualcosa? Ditelo a Vespa

Avete qualcosa da far sapere ai vostri amici, conoscenti, colleghi, vicini di casa, compagni di viaggio eccetera? Ditelo a Vespa. Di sicuro lo riporterà nel libro che sta scrivendo (ne sta sempre scrivendo uno). Spesso lo fa anche Berlusconi, cui i mezzi proprio non mancano. E Vespa si sente lusingato da questo privilegio.
Per esempio, a chi per primo Berlusconi ha detto che continuerà a governare anche se lo condanneranno? A Vespa. A chi ha detto che le riforme (soprattutto quella della giustizia) si faranno comunque, anche senza l'accordo con l'opposizione? A Vespa. A chi ha detto che il Lodo Mondadori fu un'imposizione che dovette subire da Andreotti e da Craxi? A chi ha detto di non essere ricattabile a causa dei suoi comportamenti? Ancora e sempre a Vespa. Il quale fa tesoro di tutte queste anticipazioni, le rilancia come fosse un'agenzia di stampa e ne trae promozione gratuita per il suo ultimo libro.
Da un paio di giorni, ogni Tg che si rispetti dà infatti notizia, e la ripete in ogni edizione, delle ultime dichiarazioni del premier; poi ricorda che sono contenute nel libro di Vespa (in uscita). Ma quanto paga Vespa per questa raffica di spot?