martedì 9 maggio 2017

Obama a Milano, turista non per caso

Barack Obama come turista di superlusso a Milano. Ho sempre avuto stima, e molta simpatia, per Barack Obama presidente degli Stati Uniti; un po' meno se, come ex presidente, intende seguire le orme di altri suoi illustri colleghi (vedi Bill Clinton, Tony Blair eccetera) che, spogliatisi delle vesti istituzionali del loro ruolo, vanno in tour per promuovere con conferenze strapagate il loro libro di memorie (magari già pagato a suon di milioni dalla casa editrice che se lo è aggiudicato).
Obama non ha ancora scritto il suo libro (ne sta comunque scrivendo uno "milionario" sua moglie Michelle sugli anni alla Casa Bianca); però da ieri è a Milano e, in un centro blindato, tra una visita alla Biblioteca Ambrosiana, una passeggiata tra le guglie del Duomo (foto La Presse), bagni di folla e una cena a Palazzo Clerici, sede dell'Ispi, oggi ha potuto ammirare il Cenacolo e ha fatto visita alla fiera internazionale Seeds & Chips per promuovere l'innovazione in campo alimentare con un discorso sul cambiamento climatico, la scarsità di cibo, la lotta agli sprechi alimentari.
Tutto bene, lui si porterà a casa circa 400 mila euro di ingaggio e le 3500 persone che hanno voluto ascoltarlo hanno pagato 850 euro di biglietto.
Naturalmente gli obamiani a prescindere sottolineano che questa visita (la prima all'estero da ex presidente) avrà anche un ritorno d'immagine per Milano. Sarà, ma non penso che Milano abbia un deficit di immagine da colmare, lanciata com'è per tutte le rassegne produttive di beni e idee, iniziative dai contenuti culturali e sociali, che infittiscono la sua agenda, oltre che naturalmente per il suo patrimonio artistico e architettonico. Viceversa mi sembra che la visita di Obama a Milano, al di là del giusto omaggio dell'amministrazione cittadina a una personalità che è stata il primo presidente di colore degli Stati Uniti, possa costituire soprattutto un'occasione per sé, per dire "guardate che ci sono ancora", in attesa di capire che cos'altro vorrà fare in futuro.




Lavoro flessibile col Jobs Act? No, più rigido

Volevano un mercato del lavoro flessibile e non si sono accorti della possibilità concreta, col Jobs Act, di irrigidirlo. E' solo la mia opinione, ma faccio un semplice ragionamento. Il Jobs Act ha spaccato in due la platea dei lavoratori: da un lato i protetti, quelli con contratto a tempo indeterminato ante Jobs Act, quindi con art. 18; dall'altro i non protetti, quelli con contratto "a tutele crescenti" (dove si sa - ma non tutti lo sanno - che a crescere è solo l'indennizzo in caso di licenziamento non la tutela del posto di lavoro) che, dopo l'entrata in vigore del Jobs Act, non hanno la garanzia dell'art. 18.
A causa di questa spaccatura è molto facile che chi ha la protezione dell'art. 18 resti buono buono nel suo posto di lavoro e non si metta mai a cercare un altro posto anche più remunerativo perché, se decidesse di andare a lavorare presso un'altra azienda, gli verrebbe applicata la nuova normativa senza art. 18.

venerdì 5 maggio 2017

Dialogo di un venditore di "mugnag" e di un passeggero

Scambio di battute colto al volo sabato scorso al mercato di via Tabacchi, a Milano. Un ambulante magrebino che vende frutta e verdura, per attirare clienti alla sua bancarella grida i nomi dei suoi prodotti: "Zucchine belle, nespole, mugnag"! Si avvicina un milanese anziano; con garbo compiaciuto gli dice: "Ui tì, te parlet milanés.....?" L'ambulante si schermisce e sorride indicando le cassette di albicocche (Ndr  mugnag è una parola dialettale ormai in disuso e significa albicocca). Incalza il vecchietto: "Alura te set anca se voer dì la parola magiuster....." (tradotto: allora sai anche che cosa vuol dire la parola magiuster). L'ambulante esita... Non sa rispondere, allarga e braccia e sorride. In un soprassalto di orgoglio meneghino, l'anziano esclama: "Fragole!".
Chiedo scusa a Giacomo Leopardi per essermi ispirata nel titolo a quello di una delle sue celebri Operette morali ma non ho resistito alla tentazione.

mercoledì 3 maggio 2017

Primarie PD: Renzi "il rottamatore" salvato dall'establishment

E così "il rottamatore", che era stato disarcionato dalla clamorosa sconfitta nel referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, è risalito in sella grazie ai voti di quel largo establishment politico e sociale, che secondo lui paralizzava il Paese impedendogli di crescere, e che per questo era il suo nemico dichiarato. Dall'analisi del voto delle primarie realizzato da Candidate & Leader Selection (Società Italiana di Scienza Politica) e pubblicato su Repubblica di oggi, è emerso chiaramente che a votare per Matteo Renzi sono stati soprattutto gli over 55 mentre i giovani gli hanno preferito Andrea Orlando e Michele Emiliano.
Un dato che qualcosa vorrà pur dire. I giovani non hanno votato Renzi perché, al di là dei suoi slogan, Renzi ha continuato a ignorare i loro problemi: il lavoro innanzi tutto, e la conseguente mancanza di prospettive per il futuro.
Gli over 55 invece, almeno i tanti con la pancia piena, hanno visto in Matteo Renzi l'uomo della stabilità, il leader forte che, prendendo le distanze da parti sociali che avrebbero voluto politiche più eque e un rafforzamento del welfare, può permettere loro di mantenere le sicurezze conquistate.
Questa, secondo me, è anche la ragione per cui molti elettori (anche intellettuali incantati dal suono del "pifferaio magico"), un tempo elettori o militanti di sinistra o addirittura della sinistra radicale, che per ragioni anagrafiche non sono stati colpiti duramente dalla crisi e sono riusciti ad avere negli anni carriere lavorative regolari o carriere professionali che li hanno traghettati anche ai vertici di aziende e multinazionali (che prima combattevano a prescindere, aggiungo senza tono polemico ma come dato di fatto), da adulti si sono buttati alle spalle anni di onorato servizio a sinistra in difesa dei più deboli (do you remember Pci, Pds, Ds?). Certo, gli scenari sono molto cambiati, le ideologie sono tramontate, non siamo più sulle barricate ma i deboli, i poveri, i disoccupati ci sono ancora, anzi con la precarietà del lavoro sono aumentati e chiedono risposte strutturali ai loro bisogni, non bonus a pioggia solo per alcune categorie. Naturalmente Renzi, che aveva ereditato una situazione già pesante, non è il responsabile di tutto: le responsabilità vanno condivise (vero governi precedenti?, vero sindacato?, vero "poteri forti"?). Però Renzi è l'uomo che aveva promesso di cambiare verso al Paese con riforme che, signora mia......
Sorprende un po' anche la tenacia con cui, anche in presenza di un sensibile aumento delle disuguaglianze, Renzi e i suoi elettori continuano a rivendicare la loro appartenenza alla sinistra, anzi al centrosinistra. Ma quale sinistra o centrosinistra? Di fatto, in nome di un Pd nato già un po' malaticcio dall'unione tra Ds e Dc, molti elettori sono andati a ingrossare le fila del renzismo, teoria politica dell'uomo che vuole essere solo al comando, che ha già avuto un paio di gravi incidenti di percorso con la sconfitta referendaria e con la scissione nel partito e nel corpo elettorale, un uomo che nei fatti va a sinistra solo quando deve svoltare a sinistra a un incrocio.

lunedì 1 maggio 2017

Primo Maggio, una festa non per tutti

Non c'è da festeggiare il lavoro in questo 1° Maggio. Per un senso di pudore nessuno dovrebbe celebrare la Festa del Lavoro. Il lavoro manca da anni a molti giovani e meno giovani che non sanno neppure che cosa si provi a essere assunti, ad avere diritti, contributi per la malattia e la pensione. Molte persone hanno perso il lavoro, altre rischiano di perderlo.
E' vero, la piena occupazione è un'utopia. Ma uno scenario in cui chi è rimasto indietro venga aiutato concretamente a ripartire non sarebbe cosa impossibile.
Ieri sera ho visto in tv un Matteo Renzi trionfante per la vittoria (purtroppo scontata: il conformismo, soprattutto quello dell'ex sinistra che ha perso il senso critico, è davvero una malattia incurabile) nelle primarie. Per l'ennesima volta Renzi si è appuntato sul petto la medaglia del Jobs Act con i suoi oltre 700 mila posti di lavoro creati. Si è guardato bene però, Matteo Renzi, dal ricordare che quei posti di lavoro li ha comprati a spese dei contribuenti con quasi 20 miliardi di defiscalizzazioni concessi a pioggia per tre anni a tutte le aziende che assumevano a tempo indeterminato (anche a quelle che magari per anni avevano sfruttato biecamente quei lavoratori precari nell'indifferenza del sindacato).
Si chiama "contratto a tutele crescenti" quello introdotto dal Jobs Act, ma ciò che cresce nel tempo è solo l'entità dell'indennizzo in caso di licenziamento. E la tentazione di licenziare qualcuno, trascorsi tre anni di defiscalizzazione, per qualche azienda poco seria sarà molto forte.
Infine, a Susanna Camusso segretaria nazionale della Cgil che, in occasione del 1° Maggio, ha lamentato che "per i giovani si fa troppo poco" chiederei dov'era il sindacato quando (oltre 15 anni fa) il lavoro veniva spogliato di dignità e diritti e nasceva il precariato.

martedì 28 marzo 2017

La provocazione di Francesco

C'è una domanda che mi gira per la testa dopo il saluto ai milanesi fatto da Papa Francesco affacciato alla finestra su piazza San Pietro al termine dell'Angelus di domenica scorsa.
La domanda l'ha sollevata la frase "E' vero, A Milan si riceve col cor in man", pronunciata per ringraziare la città che l'aveva accolto con tanto calore e che gli ha riservato un immenso bagno di folla esultante.
Ecco, ovunque vada Francesco viene sempre accolto con grande calore, entusiasmo, gioia e partecipazione. Questo credo sia inconfutabile. Allora, che cosa è successo di diverso a Milano? Quale misteriosa alchimia d'amore è scattata tra lui e la nostra città da farlo "sbilanciare" in modo così esplicito?
Non ho la presunzione di mettermi tra gli esegeti di Papa Francesco, faccio solo un modesto esercizio di riflessione che, anche se non fosse corretto, non fa male ad alcuno. Da quel che posso intuire, con quel saluto, al di là del sincero sentimento di riconoscenza per chi lo ha accolto così festosamente, credo che Francesco abbia voluto anche lanciare una provocazione, un incitamento a "rispondere" ancora. A che cosa? Ai grandi problemi sociali di questo tempo. Abbia voluto dire ai milanesi che, soprattutto a causa degli enormi problemi dovuti alle guerre e alla fame, devono impegnarsi e fare ancora di più per restare fedeli alla loro fama di popolo accogliente e solidale, fama che purtroppo ultimamente risente un po' della circolazione di idee discriminatorie nel confronti del diverso anche a Milano.

lunedì 27 marzo 2017

Papa Francesco, Milano e la cotoletta di Khalid

Che grande idea, quella di papa Francesco, di venire a Milano. Milano di ieri. Milano delle fabbriche. Milano operosa. Milano delle osterie. Milano città ritrosa, discreta, mai sfacciata. Milano ricca di meravigliosi giardini nascosti. Milano del "Ceruttigino", di Jannacci e i suoi "barbun", Milano dei Navigli. Milano di piazza Fontana. Milano di oggi. Milano città europea. Milano della moda e del design. Milano multietnica, multiculturale, multireligiosa. Milano del "milanese imbruttito". Milano della finanza. Milano della povertà. Milano dell'accoglienza. Milano della Scala. Milano dell'happy hour. Milano dei servizi e della tecnologia. Potrei continuare all'infinito con i volti di ieri e di oggi dell'unico, grande mosaico che compone la mia città al cui centro svetta l'amatissima "Madunina" del Duomo. Tante sfaccettature che Francesco ha colto in pieno anche se, per sottolineare l'aspetto ecumenico della sua visita, con molto garbo ha precisato: "Milanesi sì, ambrosiani certo, ma parte del grande popolo di Dio". Come a dire che siamo tutti figli di un unico Padre e che non ci sono figli preferiti. Quel che è certo è che sabato 25 marzo, nella lunga "toccata e fuga" (undici ore) di papa Francesco in terra ambrosiana, Milano ha sorpreso perfino per chi la conosce.
L'entusiasmo, la gioia, la commozione, la speranza suscitate da papa Francesco in tutti coloro che l'hanno seguito in una delle sue tappe (quartiere Case Bianche, Duomo, carcere di San Vittore, parco di Monza, stadio Meazza) o l'hanno aspettato lungo le strade del suo passaggio hanno certamente lasciato un segno, non importa quanto profondo, importante è che l'abbiano lasciato.
Per raccontare ciò che mi ha più colpito non bastano poche righe. Cerco di sintetizzare con qualche nota. "Sono venuto da sacerdote", sono state le sue prime parole agli abitanti delle case del quartiere di periferia. Così, in semplicità, ha conquistato subito tutti: credenti e non credenti, cristiani, ebrei e
musulmani, persone di ogni estrazione sociale, ragazzi, giovani e anziani.
A don Gabriele, il sacerdote che in Duomo sottolineava come l'evangelizzazione difficilmente faccia "prendere pesci", Francesco ha risposto: "Voi prendete il largo, poi sarà il Signore a prendere pesci". Grande Francesco!
Ma è nel carcere di San Vittore (nella foto, il Santo Padre all'arrivo a San Vittore) che Francesco, senza parlare esplicitamente di misericordia, l'ha insegnata col suo esempio: "A nessuno posso dire che è in carcere perché se lo merita. Perché voi e non io? Il Signore ama me quanto voi, lo stesso Gesù è in voi e in me. Noi siamo fratelli peccatori".
E Khalid, giovane detenuto, trovatosi seduto di fronte a Francesco alla lunga tavolata del carcere, ha detto al Corriere della Sera d'aver provato un'emozione indescrivibile perché il Papa è una persona molto aperta e anche d'essere stato molto fortunato perché così ha potuto "scroccare" a Francesco metà della sua cotoletta. Chissà se è vero che l'ha "scroccata" o se è stato un gesto di Francesco di fronte a quel ragazzone che di cotolette ne avrebbe mangiate cento.... (più facile la seconda).
La cotoletta, icona della cucina milanese, è stata poi al centro di un divertente apologo diretto ai cresimandi raccolti nello stadio Meazza; nel racconto di Francesco la cotoletta è diventata simbolo di condivisione tra chi aveva da mangiare e chi non ne aveva. "La solidarietà è quella che costa, non quella che avanza", ha concluso il pontefice. Parole su cui riflettere a lungo e poi però agire.
Su come educare i figli nella fede, domanda posta da una coppia di genitori di cresimandi, Francesco ha ammonito che bisogna stare attenti perché "non ci sono solo parole" e "i bambini ci guardano", ha concluso citando l'omonimo film di Vittorio De Sica del 1943 (il cinema italiano di quegli anni del dopoguerra, ha detto Francesco andando indietro nella memoria, è stato anche "una perfetta catechesi per mostrare l'umanità"). Vero, come dimenticare la lezione del neorealismo con Ladri di bicicletteMiracolo a Milano  e altri titoli, l'intensa umanità di quei personaggi appartenenti a classi economicamente e anche moralmente disagiate, in lotta perenne con la sopravvivenza quando si affacciavano i primi cambiamenti nel tessuto sociale del Paese?
Nel saluto finale ai ragazzi della Cresima il Santo Padre si è detto preoccupato per la piaga del bullismo e dai ragazzi si è fatto promettere: "Bulli mai, e non permettete che avvenga attorno a voi!". Con questa promessa gridata dalle tribune di uno stadio più avvezzo a grandi partite di calcio che a raduni di fede, fatta in un tripudio di canti, coreografie e sventolio di sciarpe come bandiere, è finita la giornata milanese di Francesco.
Prima di andare allo stadio il Pontefice aveva celebrato la Messa nel parco di Monza, il momento liturgico della sua lunga giornata milanese. Qui, dell'omelia mi piace ricordare come ancora una volta il suo pensiero sia andato alle difficili condizioni di vita di molte famiglie. "Oggi tutto sembra ridursi a cifre lasciando, per altro verso, che la vita quotidiana in molte famiglie si tinga di precarietà e di insicurezza". Quante volte Francesco ha richiamato l'importanza del lavoro che dà dignità alle persone e ha condannato gli abusi verso i lavoratori precari? Tantissime."Chi toglie lavoro fa un peccato gravissimo perché toglie dignità alla persona", aveva detto pochi giorni prima. Parole chiarissime che corrispondono all'applicazione del Vangelo. E, tornando all'omelia, ha indicato quali sono "le tre chiavi della gioia e della speranza: memoria contro le discriminazioni che seminano fratture e divisioni; appartenenza al grande popolo di Dio  che non ha paura di abbracciare i confini e accogliere chi ha bisogno; non rimanere prigionieri dei nostri miopi orizzonti".
Milano ha accolto papa Francesco col cuore. E Francesco l'ha ripagata col cuore ringraziando la città nel suo buffo dialetto simil-milanese: "Vi ringrazio cari milanesi. E' vero, a Milàn si riceve col cor in man". Grazie a te, Francesco, autentico "costruttore di ponti"!
Ricordo personale. Sono stata una delle componenti del gruppetto di volontari della SAMZ, la parrocchia di S. Antonio Maria Zaccaria (Matteo, Silvia, Luigi, Valentina, Lauretta e Simona. Purtroppo mancava la capogruppo Silvana, assente per influenza). Eravamo tra i 3.700 volontari della diocesi di Milano che hanno prestato servizio nelle strade attorno al carcere di San Vittore in appoggio alle forze dell'ordine e ai volontari della Protezione civile. Condividendo questa straordinaria e indimenticabile esperienza, tra i componenti della nostra squadra è stata subito amicizia. Grazie a tutti.



giovedì 9 febbraio 2017

Morti perché non c'è lavoro e i politici tacciono

"Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza sì. La mia generazione è perduta, mai un lavoro". Con queste parole strazianti un giovane di 30 anni, friulano, grafico, si è tolto la vita poche ore dopo che un altro giovane di 22 anni nel Mantovano con un gesto disperato si è ucciso perché disoccupato. Il primo, in chiusura della lettera alla famiglia, ha chiamato in causa il ministro Poletti. Ma chi ha buona memoria ricorderà che al processo da cui è nata la piaga sociale della precarietà lavorativa hanno concorso tutti, centrodestra (non mi meraviglia) e centrosinistra (mi ha stupito molto quando ancora credevo, illudendomi, nelle sue politiche a tutela dei lavoratori; con Renzi e il suo Jobs Act lo stupore è finito ed è stato sostituito dalla consapevolezza che questo doloroso problema interessa solo gli aspiranti lavoratori coinvolti e le loro famiglie che ne condividono il dramma in un Paese che ormai accetta passivamente che esistano cittadini di serie A e cittadini di serie B e che ha premiato con una pioggia di incentivi fiscali anche gli imprenditori disonesti che hanno applicato, abusandone, i contratti atipici).
La stampa ha dato le notizie un po' di malavoglia e per stemperarne l'orrore (sarebbe pure uno scandalo, ma chi si scandalizza più in questo Paese che ha perso anche l'abitudine a indignarsi?) qualcuno le ha accostate a quella della giovane mamma veneta 36enne che, alla  vigilia di partorire il secondo figlio, è stata assunta, senti senti, con un contratto a tempo indeterminato!
La politica ha fatto finta di niente sulle tragedie dei due giovani mentre, per bilanciare, ha enfatizzato (non avendo alcun merito) un altro episodio di segno opposto: l'assunzione di una lavoratrice incinta. Altro che Europa a due velocità: l'Italia, in salita, arranca sempre di più,


venerdì 27 gennaio 2017

"Inciampare" nella Shoah per non dimenticare

Mano nella mano per ricordare l'Olocausto. Domani a Milano alle ore 15 si formerà una lunga catena umana da via Plinio 20 al Binario 21 del Memoriale della Shoah, per difendere le "pietre d'inciampo" incastonate nel marciapiede o nel selciato davanti al portone d'ingresso delle case dove abitavano gli ebrei milanesi deportati nei lager nazisti.
L'idea di queste pietre, opera dell'artista tedesco Gunter Demnig che le ha realizzate più di vent'anni fa, è quella di creare una sorta di "museo diffuso" che in Europa e tutti i Paesi dell'Est  ricordi coloro che hanno perso la vita nei campi di sterminio a causa della follia nazista.
Una di queste pietre deposte a Milano pochi giorni fa, quella in memoria di Dante Coen (nella foto), è stata imbrattata da vandali non ancora identificati proprio in via Plinio 20, da dove partirà la manifestazione di domani.
Le "pietre d'inciampo" sono piccole targhe di ottone con inciso il nome di chi è stato arrestato, l'anno di nascita e la data di morte in campo di concentramento; loro scopo è quello di ridare un'identità a vittime spogliate anche della loro individualità, ridotte a un numero marchiato sulla pelle, e di far riflettere chiunque vi si imbatta.
Le prime "pietre d'inciampo" che ho incontrato sul mio cammino le ho trovate in molte vie di Berlino e sono rimaste impresse nella mia memoria. Come impresse resteranno quelle collocate di recente nella mia Milano. Abbiamo tutti il dovere di non dimenticare.

giovedì 12 gennaio 2017

Referendum art. 18. Perché la Consulta ha detto no

Risultato pressoché scontato: la Corte Costituzionale ha giudicato inammissibile il referendum per abrogare il nuovo art. 18 (quello contenuto nel Jobs Act, per intenderci, che ha sostituito il vecchio art. 18 dello Statuto dei Lavoratori) mentre ha dato il via libera alla consultazione per cancellare i voucher e a quella contro le limitazioni di responsabilità in materia di appalti.
Perché? Le motivazioni della Consulta si conosceranno solo tra un mese ma c'era da aspettarsi che la formulazione del quesito referendario sul nuovo art. 18 avrebbe prodotto il giudizio di inammissibilità da parte dei giudici costituzionali. La ragione è fin troppo semplice: per la nostra Costituzione i referendum possono solo essere abrogativi o di revisione costituzionale. La Cgil invece chiedeva non solo l'abrogazione del nuovo art. 18 (quindi che fosse ripristinato il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo) ma l'estensione del reintegro a tutte le aziende con più di cinque dipendenti (contro i 15 dipendenti stabiliti dallo Statuto dei Lavoratori).
La seconda parte del quesito, e non occorre essere dei giuristi, non aveva natura abrogativa ma propositiva. Certo, la Consulta avrebbe potuto respingere solo l'ultima parte del quesito, ma ha ritenuto di non farlo (per la cronaca, l'istituzione del referendum propositivo nel nostro ordinamento era contenuta nella legge di riforma costituzionale bocciata dagli elettori lo scorso 4 dicembre).