giovedì 14 giugno 2012

Ciao Rachele, ci manchi

Giulia, mia figlia, guarda attraverso la finestra le nubi minacciose che si accalcano all'orizzonte. Tra poco pioverà. Anzi, come ormai è consuetudine in questa strana primavera che talvolta sembra autunno, diluvierà. Giulia sta soffrendo molto per la morte della nonna, mia madre, e mormora con un nodo alla gola: "D'ora in poi, quando piove, chi dirà: Chisà se chela tusa là l'è in gir cunt el muturin....?". Abbraccio forte mia figlia e asciugo le sue lacrime per consolarla cercando di trattenere le mie.
Giulia in scooter per le strade di Milano era un pensiero fisso per la nonna, che ogni sera telefonava per sapere se Giulia era rientrata. Così come voleva sapere, quando c'era brutto tempo, se tutti, proprio tutti, eravamo rincasati.
Mia madre, Rachele, avrebbe compiuto 96 anni il 18 agosto, era la penultima di una famiglia numerosa (sei sorelle e un fratello), come erano numerose le famiglie di una volta. Le sue sorelle e suo fratello se ne erano già andati tutti da anni lasciandole in eredità una bella schiera di nipoti e pronipoti che la coccolavano (molti dei quali, che ringrazio con tutto il cuore, le sono stati vicino con affetto e assiduità fino alla fine) e di cui palesemente si compiaceva. Amava molto raccontare storie degli anni della sua giovinezza, anche perché aveva una memoria di ferro nel ricordare nomi, date, fatti, eccetera. Talvolta la "usavamo" come agenda per non dimenticare un compleanno o un anniversario. La sua morte, l'8 giugno, ha chiuso un'epoca per la nostra famiglia.
Nata nel 1916, durante la prima guerra mondiale, a Torre del Mangano, un paesino della pianura pavese coperta da risaie (che amministrativamente non esiste più dal 1929, quando è stato incorporato nel comune di Certosa di Pavia - quante grane con il numero di codice fiscale!), mia madre ha attraversato gli anni molto difficili della seconda guerra e del dopoguerra col suo carattere forte, dinamico e coraggioso, vivendo di persona i valori in cui credeva con fermezza e che ha trasmesso a mia sorella, Franca, e a me.
Allora vivevamo in una frazione del comune di Assago, paese di neppure mille abitanti, prevalentemente agricolo, che si animava la domenica e in occasione della festa del patrono, in ottobre, con la processione e l'albero della cuccagna in piazza e, in estate, con la festa de l'Unità nei prati: pochi km da Milano ma quasi nessun collegamento con la città: solo una corriera la mattina troppo presto e il ritorno la sera, molto tardi per due scolarette. Erano i primissimi  anni '60, cominciava lo spopolamento della campagna a favore della città e delle sue nuove opportunità di lavoro create dal boom economico. Nei pressi di casa nostra nasceva il cantiere per la costruzione del tratto Milano-Serravalle dell'autostrada per Genova, ma la rete dei trasporti pubblici continuava a ignorarci.
Dopo le elementari, per permettere a mia sorella e a me di frequentare le medie (ad Assago non c'erano), la mamma, che aveva molto spirito d'iniziativa, aveva organizzato un "nostro" privato servizio di trasporto per raggiungere la scuola: la mattina, abbarbicate sui sellini rispettivamente del "Guzzino" di Ambrogio e della "Lambretta" di Aldo, due operai amici di nostro padre, Guido, che ogni mattina andavano a lavorare a Milano, mia sorella e io raggiungevamo la nostra scuola in via Arena, anche in inverno, attraverso strade di campagna, fendendo le nebbie che risalivano dal ciglio dei fossi e dal Naviglio Pavese; pomeriggio doposcuola, sera rientro con l'unica corsa affollatissima delle 19.20 in partenza dalla Darsena. Nel salire e scendere dalla corriera con le nostre cartelle gonfie di libri e quaderni eravamo l'incubo delle altre passeggere (operaie che lavoravano nelle piccole fabbriche e nei laboratori artigianali di Porta Ticinese) che temevano una scurlera (smagliatura) alle loro moderne calze di nylon quando, negli spazi stretti del veicolo sempre affollato, le loro gambe venivano a contatto incidentalmente con i nostri fardelli scolastici (non c'erano ancora gli zaini). Per le superiori abbiamo avuto più autonomia: in bici fino alla fermata dell'autobus urbano più vicino, circa 2/3  km da casa.
La mamma aveva la concretezza di chi ha sempre faticato, col lavoro e con la famiglia, condividendo col papà questa impostazione di vita senza fare una vacanza fino alla vecchiaia. Detto senza retorica: una vita di sacrifici, una vita semplice in cui erano prevalenti gli affetti e il rispetto per gli altri e per le regole, una vita normale secondo un modello per cui sembra esserci poco posto purtroppo nella vita di oggi.
Mia madre aveva una fede molto profonda che l'ha sempre accompagnata. Nei giorni peggiori della malattia, quando il dolore la faceva piangere, a fatica riusciva a pregare, ma pregava lo stesso, in italiano, e soprattutto in latino, come aveva imparato a pregare da bambina, e talvolta con parole che mai avevo sentito prima: "Voglio volare in cielo/accanto al tuo bel viso/con te in Paradiso". Così chi è in Paradiso non ha più potuto attendere.
Ciao Rachele. Avevo preso l'abitudine di chiamarla col nome, e non "mamma", quando da bambina, la mattina in cui feci dei capricci insopportabili, lei, che aveva esaurito la pazienza ed era esasperata, a un certo punto esclamò: "Basta, non chiamarmi più mamma!". Un'esclamazione su cui gli esperti di psicologia dell'età evolutiva oggi avrebbero molto da ridire; ma non ho avuto alcun trauma. Anzi, la presi in parola subito e, uscendo per andare a scuola, le lanciai un ironico "Ciao Rachele". Quanto abbiamo riso, negli anni, per quell'episodio.
Ciao Rachele, ci manchi (e certamente non solo per i tuoi eccellenti ravioli e il loro sugo inimitabile che non riusciremo più a fare).



lunedì 4 giugno 2012

Lavoro: tanto rumore (finora) per nulla

Il testo del disegno di legge della riforma del mercato del lavoro, con diversi emendamenti, è passato il 31 maggio al Senato. Ora si attende il giudizio della Camera.
La mia opinione è: "Tanto rumore per nulla". Qualcuno ha fatto solletico alla lotta al lavoro precario invece di cancellarne abusi conclamati e stabilire regole più eque. Sperare che alla Camera facciano di meglio è lecito, ma è meglio non crearsi aspettative.
Il mio pensiero è confortato da quanto ha dichiarato il giorno dopo il cardinale Dionigi Tettamanzi,  arcivescovo emerito di Milano, commentando il risultato di una ricerca dell'Istituto Toniolo secondo la quale la maggioranza dei giovani vuole farsi una famiglia. "C'è una precarietà strutturale nel lavoro che rappresenta la più pesante ipoteca sul futuro delle famiglie. Ci sono discriminazioni inaccettabili e un'ingiustizia scandalosa, che suona come un insulto alla povertà e ancor più alla dignità umana. Ci vogliono equità e regole per tutti". Sempre parole sante. Peccato che la politica continui a sollevare polveroni senza intervenire concretamente.

sabato 2 giugno 2012

Panorama: "La tua opinione è la tua opinione"

Il mitico slogan (allora si chiamava così) del settimanale Panorama fondato e diretto negli anni '70 da Lamberto Sechi era: "I fatti separati dalle opinioni".
Il nuovo claim (oggi si chiama così) del settimanale Panorama dopo il recentissimo restyling è: "La tua opinione è un fatto".
Avendo ben conosciuto il primo Panorama, anche per avervi lavorato a lungo negli anni della mia formazione professionale, mi sento di replicare: "La tua opinione è la tua opinione".

Terremoti, alluvioni? Chiamate l'assicurazione

Nel suo videomessaggio di ieri per la festa della Repubblica il presidente Napolitano, riferendosi ai danni ingenti provocati dal terremoto in Emilia, ha annunciato che "l'impegno dello Stato e la solidarietà nazionale non mancheranno per assistere le popolazioni che soffrono e per far partire la ricostruzione" e ha aggiunto la convinzione che "ce la faremo. E lo dico con fiducia innanzitutto a voi - gente emiliana - conoscendo la vostra tempra". Parole sante. Ma temo che quelle popolazioni domani debbano confidare soprattutto, e solo, nel loro carattere e nella loro concretezza.
Al presidente Napolitano, cui dobbiamo molta gratitudine per ogni decisione presa nel suo difficilissimo mandato, mi piacerebbe però con rispetto ricordare che proprio il 17 maggio (tre giorni prima della prima forte scossa) è stata approvata una legge che libera lo Stato dal dovere di ricostruire gli immobili distrutti e invita ogni cittadino a sottoscrivere una polizza assicurativa contro le calamità naturali (secondo la stima di un servizio televisivo sull'argomento pare che la spesa approssimativa possa essere di circa 75 euro all'anno per ogni 100 mila euro di valore dell'immobile). Come la mettiamo?