lunedì 17 marzo 2014

Lavoro: può la riforma essere efficace ma ingiusta?

Giuliano Poletti, neoministro del Lavoro, a proposito dei due provvedimenti sul lavoro decisi dal governo Renzi (nuove norme su apprendistato e contratto a tempo determinato), che hanno avuto la totale approvazione degli imprenditori e il totale dissenso della Cgil, contraria perché producono altra precarietà, nell'intervista di ieri a Repubblica ha detto con garbo una cosa però molto grave. Questa: "Avere norme giuste che non producono effetti o ne producono di contrari è peggio....... Io sono più interessato al futuro dei ragazzi che alla perfezione della norma".
Apparentemente un'affermazione di buon senso ma, a leggerla bene, si capisce (se ce ne fosse ancora bisogno) qual è stato il principio al quale, a partire dalla legge Biagi/Maroni fino alla Fornero/Monti, si è uniformato il legislatore: creare occupazione purché sia.
Anche gli schiavi lavoravano. Anche chi ha un contratto atipico fasullo lavora (ma non può chiedere un mutuo, non ha Tfr eccetera). Non è questo l'obiettivo da perseguire.
L'obiettivo dovrebbe essere quello di fare una vera riforma del lavoro che elimini finalmente il dualismo perverso che norme ingiuste hanno creato, sanare tutti gli abusi esistenti creati dai contratti atipici (qualcuno mi dovrebbe spiegare in modo convincente perché una persona che lavora da tanti anni con la stessa azienda avendo rinnovato con continuità un sacco di contratti fasulli non dovrebbe avere un regolare contratto di lavoro da dipendente, cioè non dovrebbe avere anche giustizia.....). E poi riservare alla flessibilità due/tre tipologie contrattuali (non le attuali decine) indispensabili per regolare davvero altre eventuali esigenze produttive. La flessibilità non deve creare precarietà.
Lo so che non è facile far ripartire la crescita e creare così nuova occupazione. Ma il governo è lì apposta per studiare come fare: se si limita a trovare strumenti di intervento efficaci e discriminatori, a beneficio cioè solo dei lavoratori dipendenti (aumento in busta paga) e degli imprenditori (riduzione Irap) e demandando a un disegno di legge che verrà (campa cavallo...) tutto il resto della complessa materia, non ci siamo.
Avallando ancora una volta il principio che, in nome degli effetti "positivi" si può far a meno della giustizia si firma il certificato di morte di qualche generazione. Altro che futuro.

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