martedì 8 gennaio 2013

L'hamburger è stabile. Chi lo cuoce no

McDonald's ha promesso 3 mila nuovi posti di lavoro nei prossimi tre anni (e per dirlo, e vantarsene, ha utilizzato come claim della sua campagna pubblicitaria addirittura l'art. 1 della nostra Costituzione: "L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro"). E' una promessa che non mi incanta né mi scandalizza. Mi deprime molto.
E' evidente che l'azienda si riferisca ad assunzioni temporanee, flessibili, in una parola: precarie. E non è una sorpresa che ciò rientri da tempo nella politica di sviluppo della multinazionale di hamburger e patatine e anche di tutte le altre aziende che "assumono" (termine che ha perso quasi del tutto il significato di un tempo). Certo, di questi tempi, non si può essere choosy. Molti giovani laureati armeggiano già dietro ai banconi di McDonald's tra cheeseburger e chips. Della serie "non trovo un lavoro adeguato alla mia preparazione quindi meglio un uovo oggi che niente domani".
La struttura organizzativa di certe aziende, infatti, può trovare risposte adeguate alle proprie esigenze nella gamma di contratti che la legge prevede. In certi casi (quando il lavoro è stagionale, per esempio, o legato a condizioni particolari) è legittimo ricorrere a contratti diversi da quello a tempo indeterminato. Ci sono sempre stati. Il problema vero sono gli abusi.
Mi meraviglia la protesta energica della Filcams Cgil (sindacato del commercio e servizi) che ha lamentato la scarsa qualità occupazionale di McDonald's dove l'80% dei lavoratori avrebbe contratti di poche ore settimanali e l'obbligo di prestare servizio di notte e nei giorni festivi. Già, che cosa ci si aspettava?
Per chi ha memoria corta: l'applicazione dei contratti che generano precarietà è cominciata nel 1995 col cosiddetto "pacchetto Treu" (ministro del Lavoro nel governo dei tecnici guidato da Lamberto Dini), è proseguita con la "Legge Biagi" (2003, governo Berlusconi), e non è stata per nulla ostacolata dalla riforma Fornero (2012, governo Monti). E' sacrosanto protestare per ottenere il rispetto delle regole o magari migliori condizioni di lavoro, ma ci vuole uno sforzo innovativo nella strategia sindacale, finalmente fuori da certi vecchi schemi, per individuare nuovi percorsi e strumenti per contrastare il progressivo degrado dei diritti dei lavoratori e soprattutto per denunciare abusi conclamati. Addebitare sempre tutto alla crisi economica, ai mutamenti del mercato del lavoro, a Berlusconi e ai suoi sciagurati governi sono giustificazioni che non producono alcun risultato apprezzabile.

Nessun commento:

Posta un commento