
Conosco Monterosso da quasi trent'anni. La preferisco d'inverno, quando è schiaffeggiata dalle mareggiate e pochi turisti infreddoliti la tengono accesa. Ho un rapporto d'amore/odio con questo bellissimo paese, quasi un presepe di case irregolari rosa o gialle con le persiane verdi, addossate le une alle altre, come a sorreggersi, luogo amato da poeti, musicisti e pittori, un tempo borgo marinaro e contadino, oggi "patrimonio dell'umanità" ma meta soprattutto di un turismo "mordi e fuggi" che, a lungo andare, in assenza di regole, ne metterà in pericolo la sopravvivenza.
Ho alcuni amici a Monterosso, ai quali per ora posso solo esprimere una grande solidarietà, una partecipazione vera al loro senso di sgomento e di annichilimento. Voglio andare ad abbracciarli al più presto. So che mi troverò davanti a uno scenario di distruzione che mi auguro non si ripeta più in alcun borgo irripetibile del nostro Paese.
Vedo scorrere sul mio computer le immagini del ribollire limaccioso e minaccioso dell'acqua marrone di fango che corre impetuosa verso la spiaggia: mi ricordano l'alluvione di Firenze (novembre 1966). E penso anche a Vernazza, l'altro borgo delle Cinque Terre colpito altrettanto duramente da questa tragedia, ai paesi della val di Vara e alla Lunigiana, terra che segna il confine tra Liguria e Toscana.
Per fermare o almeno rallentare quella corsa, lo sappiamo tutti, occorre una politica del territorio più seria e rispettosa. Lo scenario delle Cinque Terre è unico e fragile, autentico dono della natura, richiede protezione e amore (scenario ben descritto nel sito del giornale on line Linkiesta: www.linkiesta.it/alluvione-cinque-terre). Lo sappiamo tutti, ma chi dovrebbe vigilare e operare non lo fa.
Degli angoli di Monterosso amo soprattutto il molo, mi piace guardarmi intorno da lì, dove non riesco mai a leggere il libro che ho tra le mani perché gli occhi si alzano dalle pagine e scrutano il mare e l'orizzonte seguendo i pensieri, senza pensare. Peccato che le barche dei pescatori siano sempre meno mentre il numero dei battelli che da aprile a novembre attraccano ogni giorno cresca sempre di più. Da ogni battello sbarcano centinaia di "giornalieri" sciabattanti che sciamano nel centro storico seguendo un ombrellino plurilingue e poi, nelle due ore di tempo libero, affollano focaccerie, pizzerie, ristoranti menù turistico, enoteche, qui compri il pesto, i limoni, là il vino e le acciughe.
Quando ripartono, le casse dei commercianti sono piene e Monterosso non ha un bell'aspetto. Certo, l'attività economica ha le sue esigenze (perfino le cantine, in molti casi, sono state trasformate in abitazioni da vendere a caro prezzo; ovunque dilaga il business dei bed & breakfast), ma trascurando l'ambiente si finisce per far male anche all'economia. Occorre assolutamente trovare un punto d'equilibrio.
Ora c'è da lavorare duro per ricostruire. Per primo, e non lo dico io ma chi si intende di queste cose, bisognerebbe ripopolare la terra, riprendere a coltivarla perché solo accudendola la terra è amica e non si trasforma in pericoloso terriccio secco e franoso che, appena piove un po' di più, si lascia scivolare l'acqua addosso e precipita sui centri abitati e li travolge e sconvolge. E poi il turismo diventi davvero ecostenibile. A Monterosso le ultime abitazioni sono degli anni '60. Recentemente però è stato costruito al limite del centro storico un silo-parcheggio e un altro è in costruzione lì a fianco. Poi, che bisogno c'era di incastonare una piscina nel parco di un albergo a picco sul mare? Non basta certo l'obbligo di lasciar fuori le auto dal paese per dire che Monterosso rispetta l'ambiente. Certo, è meglio di niente, ma quel rispetto è un'altra cosa. Si ricominci da lì.
1 commento:
si vede che hai capito bene monterosso. ci conosciamo?
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