sabato 29 gennaio 2011

Il card. Tettamanzi: "Non rassegniamoci"

"Mi domando se viviamo in tempi in cui si possano definire 'normali' alcuni stili che riscontriamo in diversi ambiti della vita sociale. In politica, per esempio, da tempo non sono in discussione i temi che dovrebbero realizzare il bene comune adesso, in questo delicato frangente storico, dentro questa congiuntura economica segnata pesantemente dalla crisi".
E ancora. "Dai mezzi di comunicazione emerge una classe politica che tende a mettere al centro della propria azione le vicende personali dei suoi più diversi protagonisti. Certo, nessuno chiede di tacere episodi, fatti, denunce, indagini che riguardano quanti sono chiamati ad animare e a guidare il Paese e dai quali tutti attendono esemplarità, nel pubblico e nel privato. Ma, mi domando: giornali e tv contribuiscono davvero a costruire e a promuovere la pubblica opinione quando si lasciano contagiare dal clima avvelenato e violento causato da una politica che dimentica o sottovaluta i bisogni reali e concreti delle persone?".
Queste sono due tra le riflessioni proposte dal cardinale Dionigi Tettamanzi stamattina durante l'incontro con i giornalisti presso l'Istituto dei Ciechi di Milano, in occasione della festa del loro patrono, San Francesco di Sales. Tema dell'incontro: "Faremo (ancora) notizia. La verità, via per la vita, e il futuro dell'informazione". Ad animare l'incontro hanno provveduto gli interventi di alcuni relatori: Chiara Pelizzoni, dell'agenzia televisiva H24; Enrico Mentana, direttore del Tg La7 ("Abbiamo il problema di essere mediatori credibili"); Mario Calabresi, direttore de La Stampa ("Nel flusso dell'informazione la scelta delle notizie è un compito delicato") ; Marco Tarquinio, direttore di Avvenire ("Gli strumenti di comunicazione ecclesiali non sono spazi protetti destinati solo ai fedeli, ma un contributo insostituibile al processo di formazione dell'opinione pubblica"); don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana ("Per fare buona informazione bisogna ricominciare a raccontare la vita di tutti i giorni: famiglia, povertà, disoccupazione, scuola, giovani, integrazione immigrati, convivenza civile della società multietnica. Senza attitudine a raccontare con onestà intellettuale, meglio non fare i giornalisti").
Il contributo offerto dall'arcivescovo di Milano è partito dalla sua personale esperienza di cittadino utente dei media, di cristiano, di vescovo ed è stato articolato in tre punti: gli effetti che l'attuale stile della comunicazione ha sulla vita delle persone; che cosa significhi raccontare secondo verità la vita dei cittadini; infine qual è il contributo che tutti dobbiamo dare per sospingere il Paese fuori dalla situazione difficile e critica in cui si trova. Certo, è la sintesi del suo intervento, i mezzi di comunicazione non aiutano quando presentano un Paese in preda a un litigio isterico permanente oppure esasperano e drammatizzano le notizie ("Se ogni pioggia è un diluvio, tutti gli immigrati sono delinquenti, ogni politico è corrotto, ogni influenza è pandemia.....") raffigurando la realtà in modo fuorviante. C'è anche chi, davanti a ciò che viene così presentato, rimane quasi anestetizzato, assuefatto e ritiene che sia reale solo ciò che può controllare materialmente.
A causa di un'eccessiva esibizione del privato, che va anche oltre l'intimità delle persone, un privato spesso stereotipato, caricaturale, grottesco o patologico (se fosse normale non sarebbe interessante mostrarlo), si diffonde l'idea malsana del "così fan tutti" e le persone, anziché fare uno scatto in avanti e differenziarsi con sano orgoglio da quei comportamenti, sono indotte a rassegnarsi alla proprie debolezze.
Lo sviluppo dell'informazione nel momento in cui, soprattutto grazie a tecnologie sempre più avanzate e ai social network, si moltiplicano le tipologie di "giornalismi", può anche presentare rischi. Un pericolo, per esempio, può essere quello di dare una notizia, un fatto, isolandolo dal suo contesto. Nel suo intervento, l'arcivescovo ha sottolineato come compito del giornalista sia quello di "testimoniare la verità inserendo i fatti della realtà in un più ampio contesto (...) La realtà non può essere utilizzata come una cava di pietre da saccheggiare per costruire a nostro piacere un orizzonte di senso preordinato, aprioristico. Purtroppo pare proprio questo uno degli stili dominanti dell'informazione, specie in politica (...) Rispetto ai fatti della cronaca c'è un 'oltre' verso il quale dobbiamo aiutare lettori e spettatori ad alzare lo sguardo. Di questo abbiamo bisogno. Di questo ha bisogno il Paese. La politica pare che stia abdicando a questa responsabilità: non lo deve fare chi vuole essere un comunicatore veramente libero, chi vuole essere giornalista responsabile".
Allora, da dove ripartire?, si chiede il cardinale. E la sua risposta è: "Ci sono modelli alternativi di vita da raccontare. Ci sono persone e comunità che attendono di essere narrate perché hanno intuizioni, progettano, studiano, lavorano, conseguono successi. Mostriamo l'azione di quanti operano per uscire dalla crisi morale, sociale, economica, politica. Mostriamo la loro volontà, la loro passione, la forza, la generosità: atteggiamenti quotidiani ma che diventano straordinari in un momento in cui l'ordinario pare essere sempre più l'egoismo, l'avidità, le scorciatoie, la corruzione, l'immoralità.....". Continua l'arcivescovo: "Non serve creare ingenue rubriche di buone notizie, ma recuperare passione per la vita reale della gente, aiutarla a ripartire, sostenerla nel suo darsi da fare.... La passione vi sia da guida nel lavoro: sarete così immunizzati dalla tentazione di perdervi nel racconto delle banalità che altri potranno usare per distrarre il Paese dalla necessaria presa di consapevolezza dei propri mali. Siamo in una situazione di crisi: assumiamoci per primi il compito di fare qualcosa per uscirne. Aiutiamo la gente a reagire alla depressione e all'immoralità, stimoliamola a desiderare un Paese migliore, mostrando che è possibile costruirlo ed evidenziando chi già lavora per un futuro migliore. Dunque, non rassegniamoci!".
L'autorevolezza morale con cui l'arcivescovo di Milano sa dialogare, farsi ascoltare e accettare da cristiani, non cristiani e atei è un patrimonio di tutti davvero molto prezioso in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo. Una autorevolezza fortemente percepita da tutto il pubblico presente all'incontro.

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