Sono molto legata a Berlino. Ho cominciato ad amarla da ragazza, proprio a causa del muro, di quella lunga ferita che attraversava il suo corpo. Osservare quel che accadeva attorno al muro era diventata quasi la mia ossessione. Mi era venuto forte il desiderio di raccontare, di narrare quel che da lontano riuscivo a vedere, anche l’orrore che provavo davanti alle foto dei giovani caduti sotto il fuoco dei Vopo (la Volkspolizei) mentre cercavano disperatamente di oltrepassare il muro. Nel 1961, anno della costruzione del muro, abitavo fuori Milano, in un paesino di campagna dimenticato da Dio. Guardavo alla tv tutti gli “speciali” sul muro. Ritagliavo dal Corriere della Sera (l’unico giornale che entrava allora in casa) tutti gli articoli che parlavano di Berlino, anche la celebre foto di John Kennedy che proclama “Ich bin ein berliner”. Un discorso mediatico, diremmo oggi, ma di grande impatto, davvero forte e importante allora (solo i puristi della lingua tedesca arricciarono un po' il naso per quell’”ein” di troppo). Internet era ancora molto lontana. Per documentarmi, andavo alla Deutsche Bibliothek di Milano, una vera miniera: vi trovavo di tutto (libri, giornali, fotografie, opuscoli di propaganda, eccetera). Leggevo, traducevo quel che potevo, prendevo appunti. Qualche anno dopo, alle superiori, dovetti preparare una ricerca su tema libero. Scelsi il muro di Berlino naturalmente. Oltre al materiale che già avevo, pensai di arricchire il mio lavoro con qualcosa di particolare. Era il mese di maggio. Avevo notato, lungo le sponde del Naviglio Pavese, un campeggio. Quasi tutti turisti tedeschi. Preparai, col mio tedesco scolastico, qualche domanda sul muro di Berlino e, in bicicletta, con taccuino e matita, mi fiondai con entusiasmo giovanile (avevo 14 anni) tra tende e roulottes per conoscere le opinioni di quelle persone su un problema così scottante per il loro Paese. Capii, in quel momento, che cosa avrei voluto fare da grande. Qualcuno non mi prese sul serio, altri sì. Delle loro risposte non compresi molto; alla fine, confesso, mi aiutai anche con un po’ di fantasia. Proprio come certi inviati che ammiravo molto.
Il secondo ricordo è del 1972. Ero una giovane giornalista praticante a Panorama, il primo newsmagazine italiano. Era l'anno delle Olimpiadi di Monaco e in redazione era arrivato un invito dell'Ente nazionale per il turismo tedesco per un breve tour promozionale di quattro giorni riservato alla stampa estera: due giorni a Monaco e due in un'altra città a scelta (naturalmente optai per Berlino). Il direttore, Lamberto Sechi, accettò l'invito e lo passò a me.
Provai un'emozione intensa e indescrivibile. Potei finalmente avvicinarmi al muro, con un accompagnatore attraversai la zona americana a bordo di una Mercedes nera cabriolet degli anni ’50: l'autista aveva l'ordine di avanzare a passo d’uomo (l’auto, per nessun motivo, avrebbe dovuto fermarsi) e io, in piedi, un po' in bilico, con la mia prima Nikon e qualche "dritta" tecnica fornita dall'amico e collega Giuseppe Pino (allora fotografo di Panorama, poi prestigioso ritrattista) scattavo a ripetizione foto in bianco e nero (due delle quali appaiono qui sopra). Altrettanto emozionanti furono il passaggio del Checkpoint Charlie per entrare a Berlino Est e l’avvicinamento su un battello al Glienicker Bruecke (foto piccola), il ponte usato per scambi di spie tra Unione Sovietica e Stati Uniti, in una vera atmosfera da spies-story; poi la visita al grande palazzo di vetro, a ridosso del muro, della Axel Springer Verlag (la casa editrice della Bild Zeitung e di Die Welt, nella foto grande ) dove, all’ultimo piano, nel salone tutto boiserie e fumo di pipa, riservato al circolo dei giornalisti, alle pareti erano appesi manifesti con le foto segnaletiche di ogni componente del gruppo anarchico Baader-Meinhof, e su qualche volto era tracciata col pennarello una grande croce, segno di un'avvenuta cattura. Anche la Germania occidentale stava vivendo i suoi anni di piombo.
2 commenti:
Ho letto con grande emozione l'articolo. I due ricordi sono bellissimi, intensi, vivi, caldi, emozionanti.
E devo dire che ho provato un po' di invidia.
Grazie delle belle parole
Bello, bellissimo. Come sei brava. E quante riserve di entusiamo possiedi. Sei una persona "piena": E bella
Serena
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