mercoledì 18 novembre 2009

"Perché Berlino ha riaperto la mia ferita"

Ho ricevuto da Glauco Maggi, amico e collega (lavora per La Stampa da New York) questa bellissima testimonianza. Sono parole forti, perché forte è stata la sofferenza di milioni di persone private del bene primario, la libertà.
"Ho un ricordo di Berlino pure io, cara Valentina. Ci andai finito il liceo, nel 1968, con la tessera della Fgci in tasca e con Popi Saracino, e mi pare che stessimo già progettando, se non lo avevamo già fatto in quei mesi, di migrare ad altri lidi più rossi e puri che offriva a quel tempo la frastagliata e ancora molto orgogliosa sinistra socialista e comunista.
Ricordo il passaggio dal Charlie Point da ovest a est, cioè dal technicolor della Kurfuerstendam al bianco e nero dell'altra metà. Curioso modo di dipingere l'avvenire, ma allora non me lo chiesi. Pagai volentieri i dieci dollari di entrata nella DDR, anche se le guardie di frontiera ci fecero mettere nudi per ispezionarci, dopo aver frugato nelle tasche e nel portafoglio, tessera e passaporto foglio per foglio. Non si capacitavano di questo turismo ideologico, i Vopos, perché loro sapevano dove erano, a differenza di noi.
Ho rivisto poi altre due volte l'est comunista prima del 1989, in Polonia e in Ungheria. Della Polonia ricordo le chiese a Cracovia straboccanti e il giornale Tribuna Ludu a Varsavia.
Ero correttore di bozze al Corriere in gita con i compagni sindacalisti e del partito. Era il 1975, e il viaggio era un pellegrinaggio ai campi di sterminio nazisti. Il compagno di avventura, allora, era Paolo Cagna, diventato poi un top sindacalista ortodosso. Al tempo eravamo entrambi della sinistra che "la sapeva giusta", quella composta dall'ala chic di Magri e della Castellina e dall'ala ex trozkista di Avanguardia Operaia.
Scrissi, da amatore non pagato, la mia prima corrispondenza estera proprio su quell'esperienza. Più grandicello, e senza tessera del Pci, potevo almeno cominciare a vedere qualcosa oltre la cortina: per esempio le desolate campagne con i buoi al posto dei trattori, mercatini semiclandestini con le carote e le patate coltivate in proprio, frotte di cambiavalute truffatori che assediavano gli stranieri. Ciò che ricordo, a dispetto della palese ostilità della gente, giovani soprattutto, al loro regime, è il negazionismo di tanti nostri compagni del gruppo. Guai a scalfire il mito, anche se era tutto lì a portata di intelligenza.
In Ungheria, per un convegno di banche a cui partecipai come giornalista, seppi altre minuzie di vita comune: a Budapest l'acqua e la corrente erano razionate, e la gente con cui si parlava disperava di poter mai uscire dai confini di Stato per andare a ovest. Solo in Russia o DDR potevano emigrare e per periodi limitati.
Più di recente, a muro crollato da sette anni, visitai per lavoro Cuba. I bambini a scuola dovevano farsi fare dalla maestra la richiesta per il paio di scarpe quando ne avevano bisogno, e chi lavorava nei villaggi turistici ci raccontò che, per visitare il fratello nella cittadina a 20 km di distanza, doveva farsi fare il visto dal commissario politico. Anche il quel viaggio, gli altri giornalisti italiani riuscirono a tenere la testa ben fasciata nei miti del Che e della sanità superiore di Fidel per non vedere il palese: povertà da terzo mondo a L'Havana e da quarto mondo nelle campagne. E un regime oppressivo dalle radici lontane e senza futuro per i suoi sudditi che non fosse la fuga in Florida.
Ho sfogliato la tua galleria di foto di Berlino, cara Valentina, e il rammarico è di non aver più le foto che scattai in Polonia. Erano in bianco e nero come le tue, che sono cariche della testimonianza personale e di una forza rievocativa notevole. Rivedere la tua Berlino mi ha riaperto una ferita. Non aver saputo vedere la realtà che era nitida, non essere stato capace di un giudizio critico serio su ciò che ci circondava, avere accettato con la leggerezza di chi faceva politica perché era di moda una ideologia fallace. Che, sventolata in Italia, era troppo bella per essere vera, come un prodotto finanziario truffaldino. Ma che fuori Italia, dalla Russia alla Cina, dalla Cambogia alla Berlino murata faceva pochissimo per camuffarsi. Eppure noi, daltonici dentro, non accettavamo che quello fosse bianco e nero, e lo coloravamo con la vernice di una passione cieca".

1 commento:

Maddy ha detto...

che dire? forse esagero, ma mai parole più belle e profonde sono riuscita a leggere quando si parlasse di politica. la consapevolezza è la vittoria più grande, in ogni caso.

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