mercoledì 19 maggio 2010

Il mio ritorno a Berlino

Sono appena tornata da Berlino. La prima volta che l'ho visitata è stato nel lontano 1972, quando la città era grigia, con una lunga ferita che la attraversava in superficie, il "muro", e una ferita più profonda che la lacerava nel tessuto sociale; allora Berlino si era guadagnata anche la fama di città europea con il più alto tasso di suicidi. Lo credo bene, non c'era da scherzare.
Oggi, quasi ventun anni dopo la caduta del muro, è una città viva, che non si ferma mai. Ma non è una città frenetica, stressante. Ho trovato una metropoli a misura d'uomo; sembra un paradosso, ma è così: tantissimo verde, servizi pubblici efficienti, costo della vita inferiore a quello di Milano. Nuovissima nelle moderne architetture (per esempio, il Sony Center - nella prima foto dall'alto - alcune costruzioni di Renzo Piano nell'area di Potsdamerplatz, dove ho provato un po' di sano orgoglio nazionale per colpa del meno italiano - per presenza di opere nel suo e nostro Paese - degli architetti), ma ancora orientale in quartieri come Prenzlauerberg, dove l'occidentalizzazione per il momento non ha completamente allontanato gli anziani, gli artisti e gli intellettuali, allora anche i dissidenti, che l'abitavano; ancora orientale negli enormi edifici testimonianza dello stile del socialismo reale lungo la Karl Marx Allee.
Berlino continua a portare i segni di un passato molto doloroso che ha toccato i vertici del male con l'Olocausto. Oltre al grande memoriale per le vittime dell'Olocausto (seconda foto, 400 blocchi di calcestruzzo, di altezze diverse, rivestiti di una patina antigraffiti, opera dell'architetto Peter Eisenman e dello scultore Richard Serra) costruito non lontano dalla porta di Brandenburgo e del Reichstag, girando per la città ci si può facilmente imbattere in una targa, una stele, un monito: difficile fare i conti con un tale peso, ci vuole altro tempo. Così come altre croci, targhe, fotografie, ricordano le vittime di un'altra barbarie, il muro.
Sono tante le cose che mi hanno colpito nei giorni che ho passato a Berlino. Ne cito alcune. Innanzi tutto la sobrietà dello stile di vita. Sarà l'etica protestante, sarà la contaminazione con i Paesi dell'Est..... L'avverti ovunque: per la strada, nel modo di vestire, nelle case, nei locali pubblici, nei teatri. Rispetto a noi, pochi cellulari incollati all'orecchio, pochi negozi che vendono cellulari; forse, in proporzione, ci sono anche meno auto in circolazione (oppure è un'impressione data dall'ampiezza delle strade?).
Poi, il "Lunch Konzert", il concerto gratuito settimanale nella grande hall della Filarmonica, dove è stato bello mescolarsi al pubblico eterogeneo di berlinesi che dedicano la pausa pranzo alla musica (molti giovani, tanti seduti per terra, sulle scale, appoggiati ai parapetti, ma anche adulti, nonni con nipotini che attraversavano la sala in punta di piedi per non disturbare).
Infine, a Prenzlauerberg, i déhors dei caffè, dove vengono messe a disposizione dei giovani clienti, che sostano ai tavolini per chiacchierare o per studiare, delle coperte (terza foto) per proteggersi dalla fredda primavera berlinese (danno una sensazione di comunità, della vita che scorre lentamente e questo è bellissimo); oppure, sempre nel quartiere, il balcone dei nanetti (quarta foto). Chi avrà addobbato in questo modo il suo davanzale?, mi sono chiesta. Forse un patito di nanetti che, non avendo un giardino, si è accontentato di esporre così i suoi trofei (da segnalare subito al "Comitato per la liberazione del nani da giardino", nato tempo fa in Francia, perché si occupi anche dei confratelli da balcone), un bambino appassionato di fiabe, oppure qualcuno che si diverte a sollevare la curiosità dei passanti? Nella città un tempo caratterizzata dal forte segno cupo del realsocialismo, tenuto sotto controllo grazie soprattutto alla Stasi e al terrore che seminava tra la popolazione, mi piace pensare che la fantasia, anche popolata da nanetti, paperette, pulcini e ghirlande di fiori di stampo disneyano, abbia ottenuto cittadinanza.
Tornerò appena possibile a Berlino. Vi ho lasciato troppe cose in sospeso.

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