mercoledì 20 febbraio 2013

Quale rivoluzione?

"Quando la miseria si moltiplica e la speranza fugge dall'uomo, è tempo di rivoluzione", disse una volta Oscar Niemeyer, maestro di architettura e di pensiero.
Questa frase sarebbe (è) la fotografia dello scenario in cui viviamo da alcuni anni. Allora perché nessuno fa la rivoluzione? Perché i giovani non si ribellano? Perché non ci siamo ribellati noi adulti quando abbiamo capito che la situazione stava precipitando e ci avrebbe travolti tutti?
Mi capita talvolta, parlando soprattutto con giovani della "generazione perduta" (come l'ha definita il presidente Monti), di dover rispondere a certe loro curiosità sul contesto economico e sociale in cui invece è vissuta e cresciuta negli anni '70 la "generazione fortunata" (di cui faccio parte anch'io).
Lavoro, sogni, prospettive concrete di futuro erano a portata di mano, l'"ascensore sociale" funzionava per chi si impegnava nello studio e nel lavoro e distribuiva opportunità per chi sapeva coglierle. I risultati molto spesso erano gratificanti e ripagavano le famiglie per i sacrifici fatti per i figli. E anche quando i risultati erano modesti, permettevano comunque di vivere mediamente bene e di godere dei frutti guadagnati e redistribuiti dallo Stato sociale (ai giovani d'oggi tutto questo sembra un film di fantascienza, pur declinato al passato prossimo).
Verso la metà degli anni '90, qualcosa però si è inceppato e non solo quell'ascensore si è bloccato irrimediabilmente al piano terra, ma dopo qualche anno si è cominciato ad avvertire anche il rischio che politiche sbagliate lo facessero sprofondare al piano seminterrato. Inutile premere il bottone stop.
Chi avrebbe dovuto ribellarsi? La "generazione perduta" all'epoca era in terza media o in prima liceo e tutto si aspettava fuorché di diventare, dopo l'università, una generazione senza futuro perfino, paradossalmente, un po' sbertucciata (dai bamboccioni ai choosy)  da chi le aveva fatto terra bruciata intorno in nome di una flessibilità del lavoro che, per essere all'altezza dei tempi, doveva essere per forza l'unica forma di lavoro e che, nella pratica, è stata disciplinata con regole (leggi Biagi e Fornero) di facilissima elusione.
In quegli anni cominciavamo a percepire che il futuro dei nostri ragazzi sarebbe stato duro sì, ma noi continuavamo a essere fiduciosi perché sapevamo d'aver dato loro gli strumenti per prepararsi ad affrontarlo ed eravamo quasi certi che tutti i sacrifici che avevamo fatto per la loro educazione e preparazione, non potevano che essere comunque premiati, magari non subito, ma certamente premiati.
La crisi, pur conclamata nonostante la reiterata negazione di chi avrebbe dovuto cercare di affrontarla e gestirla con politiche efficaci, non aveva ancora tuttavia raggiunto le vette degli ultimi due anni.
La speranza che la situazione non potesse peggiorare più di così ci ha ingannati.
Intanto per noi, "generazione fortunata", è passato il tempo della protesta e delle piazze infuocate in cui ci agitavamo in gioventù comunque da garantiti; ora tutta la famiglia (spesso nonni compresi) è impegnata a sostenere psicologicamente ed economicamente i suoi figli senza futuro anche intaccando risparmi destinati alla vecchiaia: una rivoluzione sociale silenziosa, certamente non quella dei tumulti di piazza evocata da Niemeyer, l'unica rivoluzione che l'attuale società, impermeabile a ogni minima richiesta sociale, può concepire e di cui non possiamo neppure vantarci.



1 commento:

Anonimo ha detto...

Gentile Dottoressa Strada,

Mi permetto di sottolineare che la decadenza si intravedeva già dagli anni ' 80, non dagli anni ' 90.

Credo che la vera rivoluzione, quella più autentica, debba nascere dal profondo delle coscienza di tutti gli italiani. Molti giovani la portano già in grembo... A questa rivoluzione va aggiunta quella che gradualmente inizierà ad attuarsi dalle prossime votazioni, ovvero un lento e graduale rinnovo delle persone che hanno occupato il Parlamento Italiano sino ad ora...

A meno che...

A meno che si crolli sotto la fame e sotto la frustrazione di sentire di essere stati frodati dei sogni e della nostra vita. Una vita che, alla fine, avrebbe dovuto dipendere ancora da noi, dalle nostre scelte.

Fausto Soregaroli

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