Credo che, in prospettiva, il fenomeno migratorio sia inarrestabile. E' nell'ordine delle cose, della globalizzazione, della storia. Piaccia o no, c'è nulla che tenga. Non gli accordi con i governi provvisori dei Paesi del Nord Africa, per arginare le partenze, o la politica dei respingimenti della Lega.
I tentativi di tenere sotto controllo l'ondata dei migranti, anche quando riescono, sono un tampone, un rimedio d'emergenza; alla fine sono destinati a soccombere. E quando non partiranno più tunisini, marocchini, libici eccetera, si affacceranno sul Mediterraneo i popoli dell'Africa centrale e così via.
La vecchia Europa sta diventando terra di conquista pacifica da parte di popolazioni molto giovani e molto povere in cerca di futuro. Non che per noi il futuro sia roseo, ma difficilmente qui si muore di fame e certamente la maggior parte di noi ha anche il superfluo.
La mescolanza di etnie e di culture sembra inevitabile. Perché non diventi una bomba che può deflagrare in conflitti sociali non bisogna alzare muri o costruire, anche metaforicamente, dei ghetti e cercare di relegarvi i nuovi immigrati. Anzi, li si dovrebbe incentivare a non chiudersi, a non isolarsi una volta qui (come ha affermato recentemente la cancelliera tedesca Angela Merkel, ammettendo il fallimento della politica d'integrazione in Germania). Bisognerebbe favorire oggi con ogni mezzo l'accoglienza e l'interazione tra noi e loro, tra loro e noi. Gli scogli da superare sono soprattutto la diffidenza e la paura reciproche. Riuscirci è interesse comune. Un giorno saremo tutti sulla stessa barca, non per migrare ma per convivere.
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