
La notizia della morte di don Gallo mi addolora molto. Tra poco leggeremo sui giornali aneddoti, testimonianze, ascolteremo in tivù voci che lo ricordano. Il mio ricordo personale è quello di un incontro (settembre 2008) alla festa dei suoi 80 anni in uno scantinato di Milano dove un gruppo di amici e di ragazzi della sua comunità (San Benedetto al Porto) aveva improvvisato un rinfresco con vino, focaccia genovese e salame. In un'intervista improvvisata rispose con la solita arguzia e vivacità alle domande impertinenti di Claudio Sabelli Fioretti sorprendendo talvolta perfino lo stesso Claudio, il più corrosivo degli intervistatori. Poi si mise a disposizione di chi voleva parlargli, sentirlo più vicino. Avevo un peso sul cuore, glielo ho confidato e le sue parole mi hanno fatto bene.
L'ultima volta invece l'ho ascoltato a Manarola, estate 2011, in un bellissima serata di luna d'agosto. Seduti per terra sulla calata a mare, tra barche, remi e reti di pescatori, noi che eravamo lì per lui da qualche ora (arrivò con molto ritardo, su e giù per i tornanti delle Cinque Terre, ma seppe farsi subito perdonare con una battuta; durante il viaggio in auto stava ascoltando un notiziario che veniva sempre disturbato dalle interferenze dalla potente frequenza di Radio Maria: "Belìn", disse, "non sapevo che la Madonna parlasse in una radio!"), noi, dicevo, eravamo affascinati dai suoi racconti e attratti dal suo sottolineare il primato della coscienza sulla fede, dal suo operare, instancabile, in favore degli ultimi, degli emarginati, dei "diversi", dei giovani. Proprio ai giovani ha poi dedicato uno dei suoi ultimi libri,
Non uccidete il futuro dei giovani (Dalai 2011) in cui, consapevole del dramma delle nuove generazioni allo sbando, denuncia la finanza che ha distrutto l'industria e umiliato il lavoro e non esita a esortare più volte: "Giovani, incazzatevi!".
Un prete scomodo, spesso in contrasto con le gerarchie ecclesiastiche, uno che andava solo "in direzione ostinata e contraria", un prete "da marciapiede" oppure un prete "angelicamente anarchico", come gli piaceva definirsi. La sua Chiesa non era quella dello sfarzo delle grandi liturgie, dei troni e del potere, la sua chiesa era impregnata di umanità, era quella del popolo. Un prete di cui si sente già la mancanza.
Caro don Gallo, non dimenticherò mai il tuo insegnamento: "Le mie bussole sono due. Come partigiano e come essere dotato di una coscienza civile la mia prima bussola è la Costituzione. Come cristiano, la mia bussola è il Vangelo". Memorabile quando ha cantato "Bella ciao" nella sua chiesa. Ne ho appena rivisto il video e ho provato un'emozione ancora più forte della prima volta.
Nel suo libro
Così in terra come in cielo (Mondadori 2010) don Andrea Gallo ha scritto: "Avete paura della morte? Io sì, tanta. Ma è misteriosamente la nostra strada. La morte è dura separazione ma fa parte del percorso verso il nuovo, è una trasformazione, un'esplorazione. E i defunti sono invisibili, ma non assenti.
Certo, se mi venisse concessa una proroga sarei contento......".
La proroga, caro don Gallo, non è arrivata, ma adesso che sei proprio vicino a Gesù, forse hai più possibilita' di farti ascoltare, magari riesci a essere più convincente. Chissà mai.....