Da quattro anni mia figlia lavora con ripetuti contratti "a progetto". Fa molta fatica a progettare il suo futuro appartenendo a una generazione con la quale la realtà è stata, ed è, avara di occasioni e ladra di sogni. Una generazione sfortunata che, per la frustrazione e l'impotenza che la pervade, ma anche per necessità (quando non si è "garantiti" è più difficile mettere il gioco il poco che si ha) non riesce neppure a reagire.
A mia figlia e ai suoi coetanei voglio dedicare una simbolica melagrana (nella foto), segno di prosperità: per sentirsi "ricchi" che cosa c'è di meglio oggi di un lavoro stabile? E poi una frase di Paul Valéry che mi ha colpito: "Il modo migliore per realizzare i propri sogni è svegliarsi". Cioè non mollare, non rassegnarsi, credere nelle proprie possibilità, fare gruppo e restare uniti, creare movimento attorno agli articoli 1 (L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro) e 4 (La repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto) della Costituzione.
Voglio raccontare adesso un'altra esperienza personale. Quando è nata mia figlia lavoravo da pochi mesi al Corriere della sera. Vi ero arrivata dopo una breve trattativa durante la quale mi ero però accorta d'essere incinta. Con qualche tormento, lo confesso (in me era sorto quasi un conflitto tra due sogni che si stavano realizzando: un figlio e il Corriere (traguardo importante per ogni giornalista), prima di firmare il contratto andai dal direttore Franco Di Bella e gli dissi in tutta sincerità che ero disposta a rinunciare al Corriere (benché la battaglia per i diritti delle donne avesse già portato dei risultati, avevo la sensazione che essere assunta in un nuovo posto di lavoro, e nel contempo essere incinta, non fosse proprio il massimo per chi ti assumeva). Di Bella mi ascoltò, si rallegrò con me e bonariamente mi disse: "Io non assumo la mamma, assumo la giornalista". Un gentiluomo (qui la sua adesione alla P2 non c'entra): peccato dover aggiungere "d'altri tempi". Come in altri tempi, sia pure solo trent'anni fa e non tre secoli fa, è potuto succedere un fatto come questo.
Perché ho raccontato questo episodio? Perché è il metro per capire che cosa e perché, come diceva Gaber, la mia generazione ha perso. E che cosa le ultime generazioni stanno perdendo.
Abbiamo perso il valore del lavoro, la sua dignità, il suo ruolo nella crescita individuale e nella società perché non siamo stati capaci di difenderlo e di difendere così il futuro dei nostri figli. Abbiamo creduto che bastasse aver acquisito certi diritti per avere la certezza che sarebbero durati all'infinito. Complice un diffuso benessere, amplificato in principio dal "riflusso" degli anni Ottanta, abbiamo un po' dormito sugli allori. Ben altre responsabilità hanno tutti i governi degli ultimi vent'anni, la classe dirigente, le parti sociali. Come se nessuno volesse mettere fine a questo scandalo perché ci sono troppi altri interessi da difendere.
Basta con l'alibi della crisi globale e dell'esigenza di flessibilità del mercato del lavoro: in molti casi sono pretesti per creare precarietà. Anche il welfare familiare, su cui peraltro solo una parte di giovani può contare, è destinato a impoverirsi. Si vive male tutti, genitori e figli.
Auguri affettuosissimi a te, figlia mia, e alla tua generazione.
5 commenti:
Dovrebbe esserne felice, di questi tempi è difficile anche solo trovarlo un lavoro. Specialmente se hai master e specializzazioni all'estero ricercate ma in questo strano paese invece poco o erroneamente considerate. C'è troppo clientelismo e nepotismo nell'industria italiana e quasi ogni ricerca di lavoro si conclude sempre a favore di qualche protetto.
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E' difficile essere ottimisti quando si leggono storie come questa; effettivamente lasciano un po' l'amaro in bocca, soprattutto a chi non ha avuto modo di assaporare concretamente gli anni del boom economico, sempre dipinti come anni di sacrifici e duro lavoro ma con una prospettiva concreta di futuro migliore per sé e per i propri figli.
Cercando di accantonare per un momento i sentimenti, cerco di fare una riflessione concreta sulla società odierna; già, sulla società o in particolare su quella porzione di società che sono i giovani, perché è difficile parlare del cosiddetto mondo del lavoro se non si ha bene in mente la società in cui viviamo.
Ho poco meno di 30 anni, come la figlia della mamma che scrive, ho una laurea ed ho anche io studiato all'estero; mi sono laureato qualche anno fa e da un po' di tempo sono pure io, uno dei tanti giovani che cercano di lavorare in Italia, senza scappare all'estero.
Mi rendo conto delle effettive difficoltà che ci sono nel trovare un lavoro retribuito il giusto, però mi rendo anche conto che tanti giovani come me, spesso si lasciano trasportare dagli eventi senza riflettere seriamente sul loro futuro.
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Non sono uno di quelli che sostiene che non si debba frequentare facoltà come filosofia o lettere perché poi “sarai un disoccupato”, però vorrei anche che chi scegliesse percorsi di studi molto inflazionati, sappia che avrà maggiori difficoltà a trovare i giusti riconoscimenti professionali appena fuori dall’università. E’ giusto che chi decide di continuare gli studi frequentando corsi di laurea e master, lo possa fare scegliendo il percorso che più si addice alle proprie aspirazioni e ai propri interessi, altrimenti non avrebbe senso, però bisogna anche essere consapevoli che, finito il periodo felice degli anni universitari, nessuno può garantire che si possa essere accolti dal mondo del lavoro, con i giusti riconoscimenti in termini di diritti e di retribuzione.
Qualcuno ce la farà, ma tanti altri probabilmente saranno costretti a ripiegare su altre professioni. E’ dura, ma è così e non credo sia corretto pensare che gli anni dedicati allo studio siano quindi anni sprecati; studiare permette di avere un bagaglio culturale per vivere in modo consapevole e di conseguenza, non essere sottomessi.
In molti ambiti c’è anche il problema reale della raccomandazione facile, è vero, ma va anche detto che la maggior parte del sistema produttivo italiano si basa sulla piccola e media impresa, nella quasi totalità dei casi a gestione familiare, dove il cosiddetto padrone è anch’egli costantemente in azienda, magari gomito a gomito col dipendente, col quale condivide non solo gli spazi, ma anche le incertezze su un domani non tanto remoto, anzi, con la crisi internazionale si è fatto decisamente prossimo. In questo panorama è difficile pensare che la raccomandazione, giustamente considerata nemica del bene comune, possa attecchire così facilmente come invece avviene, ahimè, negli ambiti del lavoro pubblico.
E’ difficile pensare quale possa essere la reale soluzione al problema del lavoro di oggi, però guardare al passato cercando di applicare oggi le stesse soluzioni, rischierebbe di peggiorare ulteriormente la situazione.
3/4
Noi giovani, dobbiamo smetterla di piangerci addosso dicendoci che la società non è sufficientemente meritocratica, che il sistema è corrotto, che i “vecchi vanno rottamati” o meglio, continuiamo a dircelo e a dirlo agli altri, come giustamente fa Renzi, l’attuale sindaco di Firenze, ma allo stesso tempo poggiamo la birra sul bancone del pub, teniamo per il weekend i discorsi sul come va male la società di oggi e iniziamo realmente a “fare”, svegliandoci presto la mattina e andando a dormire tardi la sera, dopo una giornata di intenso lavoro, come facevano negli anni 50 e 60 e se il posto di lavoro in cui siamo assunti non ci piace, non è sufficientemente pagato o pensiamo di valere di più, bene, licenziamoci e realizziamo i nostri sogni magari anche inventandoci il lavoro che più ci piace.
E’ un rischio certo, non è detto che vada bene a tutti anzi, solo i più bravi riusciranno davvero a fare il lavoro che più gli piace e magari anche a vivere una vita felice. Già, solo i più bravi ce la fanno! Non è meritocrazia questa?
Sia chiaro, non penso che la situazione attuale sia rosa e fiori, non mi piace l’attuale classe politica che governa e nemmeno l’opposizione, salvo pochi personaggi che vengono costantemente non votati, quindi è come se non ci fossero. Non mi piace la situazione di crisi in cui siamo e nemmeno il passeggiare costantemente sul filo del rasoio, tipico dell’Italia, ma voglio essere al contempo realista e idealista: sono in Italia, ma mi sento europeo, voglio fare il lavoro che amo e che è per me una vera passione, è difficile, ne sono consapevole, ma credo in me e nelle mie capacità e indipendentemente dalla situazione in cui mi trovo, so che ce la farò perché me lo sento e questo mi basta.
4/4
Mi scuso per il post segmentato, ma avevo scritto troppo.
Grazie per lo spazio concessomi.
Daniele aka "il Signor Bianchi"
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