giovedì 7 ottobre 2010

Alla Palombelli vorrei dire....

Barbara Palombelli ha scritto su Il foglio un articolo destinato certamente a sollevare dibattiti in qualche salotto televisivo e commenti sui giornali.

Dal manifesto degli espatriati: "L'Italia non è un paese per giovani. E' per questo che siamo dovuti andare via, o non possiamo farvi ritorno a breve. L'Italia è un paese col freno a mano tirato, nella migliore delle ipotesi. Un paese dove la classe dirigente - che si autoriproduce da decenni - ha fallito. All'estero i giovani hanno uguale diritto di cittadinanza delle generazioni che li hanno preceduti. Il percorso di carriere all'estero è chiaro, definito e prevede salari mediamente di gran lunga maggiori rispetto all'Italia, soprattutto per giovani neolaureati. All'estero non conta l'anagrafe: puoi ottenere posizioni di responsabilità a qualsiasi età, se vali. Anche a 25 anni...". Finale: "Noi giovani professionisti italiani espatriati intendiamo impegnarci, affinché l'Italia torni a essere un ‘paese per giovani', meritocratico, moderno, innovatore. Affinché esca dalla sua condizione terzomondista, conservatrice e ipocrita. E torni a essere a pieno titolo un paese europeo e occidentale. Ascoltate la nostra voce!".

Eh no, qui non ci siamo. La conclusione è sballata. Ve l'immaginate un sessantottino che avesse scritto a un Fanfani: per favore, stammi a sentire, avrei da chiederti... Cari ragazzi, noi ci siamo laureati in mezzo agli autobus in fiamme, alle università presidiate dalle polizie, in mezzo a scioperi di mesi, per comunicare avevamo il gettone e i telefoni pubblici rotti e non Twitter o Facebook, lavoravamo per comprarci le sigarette. Dunque, niente sensi di colpa. Zero. Immaginate un mondo a misura vostra, lottate e lasciateci invecchiare in pace. Perché dovremmo ascoltarvi, cari espatriati (spesso a spese di noi ipocriti terzomondisti genitori)? Noi ultracinquantenni ci siamo battuti già, molti anni fa, per i nostri lavori, le nostre pensioni, i diritti sociali e civili. Ora tocca a voi, dimenticatevi di noi e dei nostri errori (a ciascuno il suo). Impegnatevi a cambiarlo, questo paese per vecchi. Mollate i popoli viola, smettete di lanciare petardi veri o di carta, tornate qui che c'è tanto da fare. Lasciate le pigrizie catalane di Barcellona, le folli notti berlinesi, la Londra sempre swinging, i loft newyorkesi e venite - se credete, se non è troppa fatica - a battervi per i vostri diritti, le vostre leggi, il vostro futuro. Vi informo che fra qualche mese quella classe dirigente fallita si ripresenterà al voto, al giudizio degli elettori e cercherà di rinfrescare le liste delle coalizioni pescando qua e là fra i più ambiziosetti ed esibizionisti di voi. Prima che ciò accada, trasformate il giusto e severo verdetto che avete pronunciato partendo per gli Erasmus, i Leonardo, le borse di studio per cui si sono battuti i matusalemme che schifate, in un'azione collettiva e positiva. Basta denunce, basta giudizi, è l'ora di fare. Scendete in campo aperto, voi così post ideologici, così informati sulle meravigliose condizioni sociali europee: potrete dare una svolta necessaria. Smettete di astenervi, di lamentarvi, di piangere, di distaccarvi, di elogiare un altrove sempre più adeguato alle vostre meravigliose qualità. Se siete così gagliardi, qui l'agonia dei Palazzi è davvero alle scene finali, il teatrino della politica è sceso sotto il livello minimo della rissa da osteria. L'ora X è giunta. Detto in romanesco: dateve 'na mossa.

Barbara Palombelli prende di mira i giovani che hanno lasciato l'Italia. La mia opinione è che la Palombelli ha un poco ragione. Ma non del tutto. Gran parte della responsabilità infatti credo sia della mia generazione che, come diceva Giorgio Gaber, "ha perso": incaponendosi sull'ideologia prima, e non riuscendo a governare il cambiamento poi, questa generazione di "sessantottini" (quelli ormai ai posti di comando e quelli che non hanno smesso di contestare e rivendicare) ha permesso alla fine che si creassero certi "mostri" (cattiva politica e cattiva finanza, per esempio, che hanno responsabilità maggiori rispetto alla globalizzazione) che hanno mangiato gran parte delle risorse disponibili, alzato il livello di povertà dei poveri e di ricchezza dei ricchi e quasi azzerato le opportunità per i giovani. Che saranno anche un po' viziati, che saranno anche stati abituati dalle famiglie a un tenore di vita magari al di sopra delle loro possibilità, ma che non hanno la fortuna di poter programmare il loro futuro, di poter sognare, come abbiamo fatto noi che "ci siamo laureati nelle università presidiate dalla polizia, in mezzo ad autobus in fiamme, eccetera".
Parole come quelle della Palombelli sono state talvolta riferite da altri osservatori anche a tutti i giovani non espatriati, che oggi lamentano una condizione di vita di gran lunga inferiore a quella dei loro genitori. Ma questi non sono un'élite, sono una massa che, paradossalmente, fa meno rumore.

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