Oppressi dal regime di Jean-Claude Duvalier , detto "Baby Doc" figlio del precedente dittatore-presidente François Duvalier ("Papa Doc"), al sicuro nel suo palazzo bianco da operetta, una simil-Casa Bianca stridente rispetto all'ambiente intorno, dalla miseria e dalla fame più disperata (sul mare, lontano dalla capitale Port-au-Prince, gli haitiani stavano invece un po' meglio perché pescavano e avevano da mangiare), gli abitanti di Haiti cercavano solo di sopravvivere: pochi avevano la fortuna di lavorare per il turismo, altri nella pubblica amministrazione corrotta, altri ancora facevano mercato dei loro prodotti. La sera, poi, coprifuoco: tutti in "casa" nelle bidonville per non correre il rischio di incappare disgraziatamente in qualche rastrellamento degli "squadroni della morte", i famigerati tonton macoutes, in cerca degli avversari politici del dittatore-presidente.
L'Aids sarebbe arrivato più tardi, negli anni '80 (o forse c'era già, ma non era ancora riconosciuto e, soprattutto, diffuso), ed era molto vivo in tutti i cittadini l'orgoglio di appartenere alla prima repubblica nera delle Americhe.
A quella miseria si è aggiunta incredibilmente negli anni altra miseria, sotto lo sguardo indifferente e colpevole della comunità internazionale (gli Stati Uniti hanno sempre protetto i governi dittatoriali che si sono susseguiti), e anche a causa delle catastrofi ambientali che l'hanno di continuo flagellata: così Haiti, nonostante la cornice caraibica da cartolina, i grandi resort per turisti con sontuosi buffet lungo le spiagge bianche, si è conquistata il triste primato di Paese più povero dell'emisfero occidentale. Ci è voluto purtroppo uno dei terremoti più violenti e distruttivi per diffondere questa consapevolezza.
Nel vedere alla tv le immagini della tragedia, la commozione è tanta e il dolore di più.
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