giovedì 15 marzo 2012

Un ricordo personale di Giorgio Bocca

L'altro ieri Milano ha ricordato Giorgio Bocca, partigiano, giornalista e storico scomparso da due mesi, nato montanaro e milanese d'adozione. Anch'io ho un ricordo personale di Bocca. Verso la fine degli anni '60 lavoravo in una azienda commerciale, studiavo economia all'università Cattolica, la occupavo in nome del diritto allo studio e sognavo di fare la giornalista da grande.
Un giorno, forse un po' ingenuamente, scrissi una lettera ad alcuni colleghi importanti che stimavo, tra cui Giorgio Bocca, per chiedere loro che cosa dovessi fare per diventare giornalista. Domanda frequente, non essendoci allora scuole di giornalismo, e alla quale di solito gli interpellati non rispondevano. Invece Bocca mi rispose e mi invitò ad andarlo a trovare. Non ci credevo.
Fu molto disponibile e, direi, paterno. Mi disse che non dovevo smettere di bussare a tutte le porte finché una non si fosse aperta (allora poteva anche accadere), e poi di cercare sempre la verità con cocciutaggine. Messaggio importante certo, ma per me, in quel momento, a vent'anni, fu altrettanto importante che mi avesse ricevuto personalmente e non mi avesse liquidato con parole di circostanza. Quel suo comportamento mi aiutò molto psicologicamente e fu la molla che mi spinse a non rinunciare alla mia idea neppure davanti a difficoltà che mi sembravano insormontabili.
Grande Bocca. Quanti sono oggi i giovani che vengono ascoltati, non dico dai maestri, ma almeno da un caporedattore?

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