venerdì 23 marzo 2012

Riforma del lavoro: si poteva (potrebbe) fare meglio

I colloqui tra governo e parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro sono andati così così. Alla fine i professori hanno presentato una proposta "in una prospettiva di crescita" che è piaciuta solo a Confindustria. Brutto segno. Il dibattito si è svolto prevalentemente attorno all'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori che, a dire il vero, non doveva essere "il" problema. Almeno come primo passo.
Il problema vero, quello più urgente, doveva essere quello della fine della precarietà; precarietà da trasformare in stabilità, nei casi di abuso conclamato da parte delle aziende (cioè nella maggior parte dei casi), oppure in flessibilità "buona", cioè meglio pagata.
Poco è stato fatto in questo senso. La proposta del governo disincentiva timidamente il ricorso ai contratti a termine e introduce l'apprendistato come porta principale, fino a 29 anni, per entrare nel mondo del lavoro, porta attraverso la quale però a fine periodo passa solo una parte degli apprendisti che vengono assunti; gli altri dovranno cercare altrove.
L'annunciato disboscamento della giungla dei contratti (una quarantina) che causano precarietà non è avvenuto. Con due eccezioni parziali: l'abolizione delle finte partite Iva (escluse quelle dei lavoratori iscritti agli Ordini professionali) e la loro trasformazione in lavoro subordinato, e la cancellazione dei contratti di società in partecipazione (esclusi quelli sottoscritti tra famigliari).
Lo scandalo dei co.co.pro sembra destinato a continuare perché la presunzione, come dice il governo, che si tratti di lavoro subordinato va dimostrata (e non si sa da chi e con quali strumenti) e perché il previsto aumento del costo del lavoro flessibile a carico degli imprenditori verrà facilmente riassorbito diminuendo, di fatto, la retribuzione. Dov'è finita, quindi, la promessa che le retribuzioni per il lavoro flessibile sarebbero state più alte di quelle del lavoro dipendente?
Penso che il governo Monti, per equità, avrebbe dovuto prima di tutto sanare la grande quantità di abusi commessi ai danni di una moltitudine di lavoratori, ai quali con contratti finti non viene riconosciuta alcuna anzianità di servizio agli effetti del TFR e del welfare, e ai danni dell'Inps, cioè della collettività. Questi abusi sono violazioni, da parte degli imprenditori, di una legge sia pure imperfetta (non sono previsti controlli sulla conformità dei contratti) ma, come ogni violazione di legge, andrebbero puniti restituendo ai lavoratori quel che a loro è stato ingiustamente tolto.
Solo dopo aver sanato queste ingiustizie, il governo avrebbe dovuto mettere mano al complesso di regole che disciplinano il mercato del lavoro, non mettere subito nel mirino, per abbatterlo, l'articolo 18 sollevando un polverone che ha confuso le carte in tavola.

Nessun commento:

Posta un commento