lunedì 20 giugno 2011

E' morto Lamberto Sechi, il mio maestro

Stamattina è morto Lamberto Sechi, maestro di giornalismo, il mio maestro.
Diventato direttore di Panorama nel 1965, Sechi trasformò il mensile mondadoriano nel primo newsmagazine italiano nel maggio del 1967 (ricordo che il primo numero del settimanale - era il primo, ma portava sotto la testata il numero 57 perché il nome non era cambiato - aveva un grande scoop in copertina, la foto impressionante del corpo in fiamme e della Ferrari accartocciata di Lorenzo Bandini, pilota italiano di Formula 1, che bruciavano sul circuito di Montecarlo, un'immagine spietata per la sua nitidezza e drammaticità).
Su Sechi e sugli anni passati a Panorama, prima come segretaria, poi come redattrice, potrei scrivere un libro. Qui voglio soprattutto ricordare un aspetto del suo modo di fare il giornale, ciò che ha fatto di lui il maggiore innovatore del linguaggio giornalistico.
La sua fonte d'ispirazione era il giornalismo anglosassone, dal quale aveva ripreso il motto "I fatti separati dalle opinioni". Guidò Panorama con autorevolezza e rigore (per la sua severità era molto temuto da redattori e collaboratori) fino alla fine degli anni '70 coniugando spesso il suo motto con una linea editoriale di sinistra moderata e schierandosi invece apertamente a favore delle battaglie per i diritti civili (divorzio, aborto); nel suo ufficio, dietro la scrivania, campeggiava una gigantografia di John Kennedy, eroe ancora senza macchia. Naturalmente sapeva benissimo che separare i fatti dalle opinioni era utopia, però lo sforzo di cercare con puntiglio la verità, di raccontarla in modo acritico, era il primo dovere di noi redattori.
"Io ho molti amici, Panorama non ne ha", era solito dire quando riceveva qualche pressione. Portò pienamente a termine l'incarico ricevuto dal vecchio editore Arnoldo Mondadori, che una volta gli aveva detto: "Lei pensi a fare un bel giornale. A venderlo ci penso io".
Con Sechi Panorama raggiunse risultati sorprendenti tanto da costringere l'eterno concorrente, L'Espresso, ad abbandonare il formato "lenzuolo" per adottare quello del newsmagazine, più pratico e più adatto alle nuove esigenze dei lettori, soprattutto dei giovani.
Sechi diresse Panorama fino al 1979, quando una rivolta in redazione, da lui vissuta come una "congiura dei suoi figli" (nata per una nomina interna al giornale che innescò una sorta di reazione a catena di rivendicazioni sindacali e di maggior autonomia professionale) lo costrinse a dimettersi. Diresse poi il quotidiano La Nuova Venezia, il settimanale L'Europeo e i periodici del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera.
Alla sua "scuola" si sono formati molti giornalisti (tra loro anche diversi futuri direttori). Non tutti docili nell'assumere il suo imprinting, anche perché Sechi, nemico giurato della scrittura creativa, pretendeva uno stile di scrittura omogeneo, asciutto, un non-stile, che doveva rendere impossibile riconoscere, mentre si leggeva, l'autore dell'articolo. Discutibile, ma questo era lo "stile Panorama", uno stile che ha rivoluzionato il modo di scrivere nei giornali togliendo al linguaggio orpelli, verbosità e pesantezza. Per il giornalismo di quegli anni fu una terapia d'urto, ma ci voleva. "Siamo noi a dover fare fatica nell'essere chiari, non chi legge": una specie di diktat.
Nella scrittura il periodo-tipo era molto elementare: soggetto, verbo, complemento, pochi aggettivi, vietato l'abuso di avverbi. "Ogni articolo, dalla politica all'economia, dalla scienza alla cultura, deve poter essere capito anche da Antonio Brambilla, terza media, Cinisello Balsamo" (non voleva certo escludere i giovani lettori del Centro-Sud; il fatto è che Panorama allora era più diffuso nel Nord).
L'attacco di un pezzo doveva essere sorprendente, meglio se un po' spiazzante, per incuriosire il lettore e trattenerlo nella lettura fino all'ultima riga. Anche i titoli di Panorama hanno fatto scuola: calembour, giochi di parole costruiti ispirandosi a titoli di libri, film, canzoni, modi di dire, una modalità di titolazione originale, di grande impatto, divertente finché non è diventata quel che non doveva essere: scontata e inflazionata.
La lotta ai luoghi comuni era un altro pallino di Sechi. Tra i suoi bersagli preferiti le espressioni "dal canto suo" e "un'apposita commissione". "Da quale canto volete che uno parli, agisca, pensi, se non dal canto suo?", tuonava nel lungo corridoio della redazione, all'ultimo piano della storica sede della Mondadori, in via Bianca di Savoia 2o. Oppure, "quando viene nominata una commissione per....eccetera, è chiaro che la commissione sia apposita, quindi l'aggettivo è inutile" e via di questo passo. Quanta rabbia, quanti pianti per l'attacco di un pezzo che non era mai come lui voleva.
Lamberto Sechi, mitico direttore e maestro, ha fatto piangere più volte anche me. Nel corso degli anni ho capito che nella maggior parte dei casi aveva ragione. Ciao direttore.

Nessun commento:

Posta un commento