domenica 30 novembre 2014

Lavoratori italiani, eroi normali

Gli eroi siamo noi. Sono eroi tutti i lavoratori italiani che vivono la normalità, che continuano a fare il proprio dovere benché truffati ogni giorno da uno Stato inadempiente, uno Stato che si comporta da imbroglione da fiera di provincia che ti fa il gioco delle tre carte sotto il naso e tu sei già bell'e fritto. Qualcuno ricorda gli esodati della Fornero? Non se ne sente più parlare. E i precari della pubblica amministrazione?, della pubblica amministrazione sottolineo (lo Stato non dovrebbe avere la coscienza pulita?).
E in questi giorni, come una ciliegina sulla torta, ci è toccato leggere notizie come la nomina del nuovo vertice Alitalia in cui hanno posti di primo piano Luca Cordero di Montezemolo come presidente non esecutivo e Roberto Colaninno presidente onorario. Era proprio necessario destinare cariche e laute remunerazioni a chi come lavoro fa il prestanome? Brunetta dove sei?

lunedì 24 novembre 2014

Gli slogan della politica. Che noia!

C'era una volta "Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani". Poi è venuto il momento di "Non accettiamo lezioni da parte di.... (l'avversario di turno), "Non ci facciamo dettare l'agenda da.... (di nuovo l'avversario) e "Così non si va da nessuna parte".
Altro che nuovo, "cambia il suonatore ma la musica è sempre la stessa".

sabato 25 ottobre 2014

Né con la Leopolda né con la Cgil

Due eventi hanno monopolizzato la giornata di oggi: la Leopolda a Firenze e la manifestazione della Cgil a Roma. Tra quel "nuovo" e quel "solito" sto con nessuno dei due. 
Sto con tutti gli altri italiani, e siamo in tanti, che non ne possono più d'essere sempre gli unici a pagare gli alti costi sociali di una situazione politica ed economica da troppo tempo insostenibile. 
Sto con esodati e precari, categorie di lavoratori dai diritti violati nonostante "la Costituzione più bella del mondo", categorie di lavoratori addirittura create con leggi votate da un Parlamento che non ha  provato alcuna vergogna nel crearle e ignorate (precari) o difese debolmente (esodati) da un sindacato fermo agli anni '70. 
L'Italia non è un Paese "scalabile", come ha detto l'arrampicatore Renzi, è un Paese che merita una classe politica migliore, capace di esprimere un governo  che risolva i suoi problemi con competenza, equità e giustizia.

venerdì 10 ottobre 2014

Chi ha paura del "Jobs Act"?

Il governo decide di riformare le regole del mercato del lavoro e una parte della sinistra insorge: in difesa di quel che resta dell'art. 18 (già depotenziato dalla Fornero) si schierano la minoranza Pd, la Fiom e la Cgil; e inoltre Bersani dichiara che la priorità non sono nuove regole del lavoro ma la lotta all'evasione fiscale (come dire mettiamo in stand by per adesso l'emergenza lavoro).
Evidentemente nelle famiglie di questa sinistra non ci sono figli o nipoti precari o "stabilmente precari" che da anni aspettano giustizia. Per intenderci, quelli della "generazione perduta".
Perché arroccarsi su tutto e non contestare invece solo quel che non si condivide del Jobs Act?
Qualcuno della sinistra si è accorto o no che le nuove regole dovrebbero (nonostante le buone intenzioni dichiarate il condizionale è d'obbligo) far cadere finalmente la legge vigente (Fornero-ex Biagi)?
La legge Fornero-ex Biagi, che aveva frantumato il sistema lavoro in nome della flessibilità con una quarantina di contratti diversi, ha molte responsabilità per la situazione attuale. Non ha fatto emergere il lavoro nero e, favorendo in modo evidente gli imprenditori con una miriade di contratti low cost utilizzati indiscriminatamente e spesso in modo illecito, ha creato precarietà su precarietà. Non si può sempre e solo imputare alla grave crisi economica che ci ha travolto la responsabilità del degrado del sistema lavoro. Ecco quindi l'urgenza di avere nuove regole.
Sappiamo tutti che per creare nuovi posti di lavoro occorre crescere ed essere più produttivi. Ma, quanto alla produttività, come si fa anche solo a stimolarla quando ci sono lavoratori con contratti di uno o pochi mesi oppure di un giorno?









giovedì 9 ottobre 2014

Il "puzzle" della riforma del lavoro

C'è molta confusione attorno alla nuova riforma del lavoro (Jobs act). Quel che non capisco è perché, in barba alla sbandierata voglia di semplificazione, la si stia facendo (parola grossa, meglio disegnando), come uno spezzatino: prima il decreto Poletti (con l'apprendistato e la contestatissima norma sul contratto a tempo determinato), poi il maxiemendamento (dove non si parla di art. 18), sottoposto alla fiducia dopo una accesa bagarre in aula; altri temi infine (tra cui l'art. 18) dovranno trovare collocazione all'interno della legge di stabilità.
Il dottor Azzaccagarbugli non avrebbe potuto fare di meglio.



mercoledì 1 ottobre 2014

Renzi, D'Alema e le opinioni di Sacconi

Tre personaggi sulla scena del Jobs Act. Premetto che su Matteo Renzi condivido molto del recente editoriale del direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli. Non mi piace, tra le altre cose, il tono muscolare con cui liquida gli interlocutori che non la pensano come lui prima ancora che aprano bocca né certe sue recenti frequentazioni. A proposito di Jobs Act sanno qualcosa della sua arroganza i sindacati che vorrebbero arginare la sua furia iconoclasta sull'art. 18 e, in ritardo di vent'anni, vorrebbero discutere di precarietà del lavoro. Però mi piace la sua voglia di cambiamento e di rilancio di un Paese asfittico, sempre guidato da una classe politica meritevole neppure della sufficienza quando non della bocciatura.
L'intervento polemico (accettabile) e sprezzante (inaccettabile) di D'Alema alla riunione della direzione del PD  l'altro ieri sulla riforma del lavoro ha mostrato un ex leader protagonista che non si rassegna a una piccola parte. Lo dico con dispiacere perché D'Alema, fama da politico acuto e intelligente e gran teorico, tuttavia non ha mai portato il Paese a risultati positivi e concreti né quando è stato al governo né quando ha guidato l'opposizione.
Dio ci guardi infine da Sacconi. Dopo l'annuncio di alcuni emendamenti che la maggioranza renziana vorrebbe ora introdurre nella legge delega, Sacconi ha dichiarato che se ci saranno emendamenti  questi non potranno rappresentare quanto deciso dalla Direzione del Pd perché "tutte le modifiche devono essere concordate con il relatore, che sono io, e che come è noto ho le mie opinioni". Reazione isterica di uno che una volta era socialista, e poi è diventato berlusconiano; uno che, da ministro del Lavoro e del Welfare, è diventato ministro della Disoccupazione e della Precarietà. Sacconi dell'Ncd, un partito che se va bene rappresenta il 5% ma che governa col Pd; uno che ha dato un forte impulso alla precarietà che ora Renzi vorrebbe cancellare.
Presidente Renzi, ma non ha niente da dire a Sacconi?

mercoledì 24 settembre 2014

Il lavoro è da riformare anche secondo giustizia

"Dove eravate in questi anni? Dove eravate quando nel mondo del lavoro si è prodotta la più grande ingiustizia tra chi il lavoro ce l'ha e chi no, tra chi ce l'ha a tempo indeterminato e chi precario?", ha tuonato qualche giorno fa Matteo Renzi rivolto ai sindacati, ancora una volta scesi sul terreno della difesa dell'art 18, articolo dello Statuto dei lavoratori (1970) della cui tutela godono un terzo dei lavoratori italiani (circa 7 milioni contro 22 milioni di lavoratori che non ne hanno diritto).
Certo, lo schiaffo brucia e comunque uno scossone andava dato. Tardivamente solo Landini (Fiom-Cgil) e Bonanni (Cisl) avevano ammesso di non aver fatto abbastanza per i precari (avrebbero potuto tranquillamente dire di aver fatto mai nulla!).
Nulla ha fatto però anche la politica di sinistra che, in tema di lavoro, sembra essersi svegliata ora improvvisamente da un sonno durato vent'anni: dopo la breccia aperta nel 1997 dal "pacchetto Treu" (centrosinistra) con il riconoscimento del lavoro interinale, il centrodestra ha avuto un'autostrada a disposizione per le sue leggi di riforma del mercato del lavoro, passate senza trovare opposizione, con effetti devastanti sul futuro di alcune generazioni.
Adesso che si è tolto questo sasso dalla scarpa, Renzi dovrebbe smetterla di menare fendenti e passare a una fase costruttiva. Con chi? Renzi non è persona che accetti suggerimenti (e stranamente - o no - sembra più in sintonia con i Sacconi e i Brunetta che con i suoi compagni di partito) e ha tutta l'aria di voler procedere "muro non muro tre passi avanti". Ecco, faccia attenzione il nostro premier; la linea dell'uomo solo al comando ha portato sempre ad andare a sbattere.

mercoledì 17 settembre 2014

Contratto di lavoro a tutele crescenti? Ni

Ieri alla Camera, presentando il programma "Mille giorni" sulle riforme da attuare entro fine legislatura, Matteo Renzi, che aveva sentito alle sue spalle la voce grossa fatta dall'Europa, ha battuto i pugni per la prima volta sul lavoro, parlando esplicitamente di una riforma che faccia superare l'"apartheid" tra lavoratori di serie A e lavoratori di serie B entro quest'anno: riforma da fare, se necessario, anche con un decreto.
Però, quanta improvvisa determinazione!
Su come il governo intenda superare questa discriminazione le idee sembrano ancora molto confuse. Comunque, senza perdere ulteriore tempo, il governo ha presentato, all'interno della riforma chiamata Jobs Act un emendamento che introduce il contratto a tutele crescenti (Ichino), della durata di tre anni, durante i quali il lavoratore gradualmente conquista delle tutele e al termine del quale verrebbe stabilizzato. A prima vista l'impressione è quella di un altro contratto che andrebbe ad arricchire la già foltissima categoria dei contratti esistenti; infatti, dettaglio preoccupante, l'emendamento, che introduce anche il mansionario flessibile e i controlli a distanza prima vietati, mira sì al superamento dell'art.18 (peraltro già depotenziato dalla riforma Fornero) ma per il momento non scalfisce minimamente la giungla di contratti precari che doveva essere sfoltita.
Per la giungla di contratti (46 tipologie contrattuali) creata ad arte, e fortemente mantenuta, dalle leggi sul lavoro varate dai governi precedenti (centrosinistra, centrodestra e, boh, governo Monti) sarebbe previsto una sorta di censimento per verificarne "la coerenza con il contesto produttivo e col tessuto occupazionale". Cioè gran parte di questi contratti resteranno.
Ma come si fa a crescere se gran parte della forza lavoro, soprattutto quella dei 25-40enni, che potrebbe consumare e spendere per comprar casa, cambiare l'auto, comprare un frigo nuovo..... non lo fa perché non ha certezza per il proprio futuro?
Ma come si fa a rilanciare il lavoro senza cancellare prima le leggi sbagliate, e ingiuste, che l'hanno regolato?
E' vero che il lavoro non si crea per legge o per decreto. Il lavoro si crea con gli investimenti e la crescita; ma con leggi e decreti è stato massacrato e si sono create le premesse per una precarietà diffusa. Riscrivere e semplificare le regole può aiutare. Purché il Jobs Act non diventi l'ennesima riforma che invece di incentivare l'occupazione toglie dignità ai lavoratori.

venerdì 6 giugno 2014

Anch'io, col cuore, sono sbarcata in Normandia

Una distesa di 70 ettari di prato verde punteggiata da 9238 croci bianche e da 149 stelle di Davide in memoria di quasi 10 mila giovani americani caduti. Dalla collina di Colleville-sur-mer (Normandia) lo sguardo spazia sull'oceano, piove, fa freddo, il mare è grigiastro, la spiaggia lunghissima (Omaha beach, teatro dello sbarco degli americani) e deserta.
La settimana scorsa ho visitato alcuni luoghi che sono stati scenario della più grande e più complessa operazione militare del XX secolo, di cui oggi si celebra il 70° anniversario.
Guardavo l'orizzonte dalla collina e mi sembrava di vederli avanzare come il 6 giugno 1944: erano poco più che ragazzi e venivano da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Canada per liberare l'Europa dalla follia nazifascista. Bersagli troppo facili per il nemico arroccato sulla collina.
Quanto sangue per darci la libertà. Quanti eroi, nessuno con la voglia di diventarlo: persone normali, per questo eroi ancora più grandi.

giovedì 22 maggio 2014

Expo 2015: lavorare gratis, lavorare tutti

Expo Milano 2015 cerca 10 mila volontari. Chiunque lo desideri, giovani ma anche pensionati, è invitato a lavorare gratuitamente (salvo mini rimborso spese per trasporto e pranzo) per l'accoglienza e il supporto ai partecipanti e ai visitatori "dando un chiaro ed evidente messaggio e immagine di integrazione, universalità e solidarietà", come recita il sito volunteer.expo2015.org
Ma Expo 2015 non doveva rappresentare anche un'importante occasione di rilancio dell'occupazione?
Certo, tutti i grandi eventi nazionali e internazionali si sono sempre serviti della collaborazione di giovani volontari per ricevere, orientare e gestire la moltitudine di visitatori, ma allora aveva più senso fare una simile esperienza come volontario (vuoi per ampliare le proprie esperienze, crearsi nuove relazioni eccetera) perché comunque il mercato del lavoro era ancora vivo. Ma oggi?



lunedì 12 maggio 2014

I costi della corruzione e non solo....

"Capitale corrotta, nazione infetta". Questo celebre titolo de L'Espresso (inchiesta di Manlio Cancogni sulla speculazione edilizia a Roma, 1956) calza a pennello purtroppo ormai a tutto il nostro Paese.
Tangentopoli non è mai finita: gli arresti "eccellenti" di questi giorni lo testimoniano. Che schifo. E le conseguenze di questi comportamenti criminali le paghiamo tutti, soprattutto pesano sul costo economico e sociale del lavoro.
Da anni, per esempio, la colpa del mercato del lavoro bloccato, troppo rigido, viene attribuita alla crisi economica e questa responsabilità è individuata soprattutto nella rete di protezione dei lavoratori, nei loro diritti che sarebbero sempre troppi e impediscono agli imprenditori di fare gli imprenditori. Balle.
Troppa burocrazia, lentezza biblica della giustizia, i crediti che le aziende fornitrici dello Stato non riescono a riscuotere e l'alto tasso di corruzione (vedi la cronaca recente) sono invece tra i maggiori fattori responsabili della rigidità del mercato del lavoro.
Chi ha orecchie per intendere, intenda e la smetta di raccontare frottole.

giovedì 8 maggio 2014

La mia proposta per il lavoro

Il lavoro non c'è perché l'economia non cresce. Il primo assaggio del Jobs Act (nuove regole per apprendistato e contratto a tempo determinato) è molto indigesto: che produca qualche posto di lavoro è tutto da vedere.
Neppure le precedenti riforme hanno fatto crescere l'occupazione o, meglio: il pacchetto Treu (1997) ha introdotto la flessibilità e aperto la strada alla precarietà; la legge Biagi (2003) ha inventato i contratti atipici e ha consolidato la precarietà; la legge Fornero (2012) ha compiuto un maldestro tentativo di contrastare la precarietà e ha rafforzato invece l'equazione flessibilità uguale precarietà.
Il lavoro non c'è e, dicono quelli che sanno, non si può creare per legge. Certo, ma allora perché per legge si è creata la precarietà?
Da diversi anni mi interesso di questo problema. Penso che, con le categorie dell'apprendistato, del contratto a tempo determinato, del contratto a tempo indeterminato e del contratto stagionale, si possano coprire tutte le esigenze del mercato del lavoro. Che bisogno c'è di inventarsi contratti fantasiosi forieri solo di precarietà?
Detto questo, secondo me la soluzione potrebbe essere come l'uovo di Colombo. Il contesto sociale negli ultimi dieci anni è profondamente mutato e lo Statuto dei lavoratori, che risale addirittura al 1970, non corrisponde più alla situazione reale; si potrebbe allora abolire anche quel che resta dell'ormai anacronistico art. 18 (esclusi i casi di discriminazione) e contestualmente abolire tutti, dico tutti, i contratti atipici. Una riforma coraggiosa. Troppo; anche per un governo spregiudicato, come quello di Renzi, che non perde occasione per dire che ascolta tutti ma poi decide per proprio conto.

martedì 6 maggio 2014

Lavoro: una multa che fa ridere (amaramente)

Dell'indignazione di qualche milione di lavoratori precari e delle loro famiglie per le nuove misure del governo che precarizzano ulteriormente il mercato del lavoro, non si è accorto nessuno. Forse ormai la rassegnazione ha lasciato il posto all'indignazione, non so; il fatto è che questo governo, che tante aspettative aveva sollevato con ripetute dichiarazioni di lotta alla precarietà, mi ha completamente delusa.
La nuova, ennesima, riforma del lavoro è stato messa nelle mani di: Giorgio Poletti, ex Pci, già presidente dell'Alleanza delle Cooperative, un imprenditore; Maurizio Sacconi, già ministro del Lavoro del governo Berlusconi, ex Psi, ex Forza Italia, ora col Ncd di Alfano, a suo tempo chiamato "ministro della disoccupazione", acceso sostenitore della flessibilità selvaggia, cioè della precarietà selvaggia, l'uomo che, quando era in carica come ministro, a colpi di decreti ha neutralizzato le residue speranze di quei precari che volevano un riconoscimento formale del lavoro pregresso che avevano svolto con falsi  contratti attraverso un'azione legale da intraprendere una volta scaduti i rispettivi contratti; Sacconi mise delle scadenze così ravvicinate per la presentazione dei ricorsi ai giudice del lavoro da rendere impossibile l'azione legale. Infine, Cesare Damiano, altro ex Pci, lunga carriera nella Fiom-Cgil prima di approdare al Parlamento, dove oggi è presidente della Commissione Lavoro della Camera.
Non ho capito perché nel gioco degli equilibri politici abbia nettamente prevalso la volontà di Sacconi e di tutto il Nuovo centro destra. Ho visto in un Tg Alfano molto soddisfatto: "Bene, ora c'è più Biagi e meno Fornero", ha detto, come se la Fornero fosse stata di sinistra!
"Ora c'è più Biagi" vuol dire di fatto che le aziende che violeranno il divieto di avere più del 20% di contratti a tempo determinato, invece della stabilizzazione obbligatoria per il surplus di quei contratti pagheranno una multa. Una multa, capito?
Adesso il decreto dovrà ripassare dalla Camera per l'approvazione definitiva. Ancora una volta un provvedimento sulla pelle dei più deboli.

mercoledì 23 aprile 2014

Lavoro: chi pagherà il prezzo dell'accordo?

Così c'è voluta la fiducia della Camera per il primo passo (il secondo sarà in Senato) del decreto lavoro su contratto a termine e apprendistato. Nessuno stupore, la materia lavoro è molto scottante e temo che, nonostante il laborioso e litigioso travaglio necessario per portare alla luce la riforma che verrà, alla fine verrà partorito un topolino.
Del resto, come si può riformare con efficacia, equità e giustizia, una materia così delicata se i superstiti della sinistra sono ormai minoranza (non che quand'erano maggioranza abbiano potuto fare molto; adesso cercano di fare almeno rumore) e se il governo, per restare in piedi, è finito sotto ricatto di gente come Alfano e Sacconi? Per non dire di Berlusconi.
Sul lavoro può esserci solo divisione perché gli interessi che le parti rappresentano sono diametralmente opposti. Il contratto a tempo indeterminato, nonostante l'Europa abbia dichiarato di volerlo al centro del sistema-lavoro, resta una chimera per una moltitudine di lavoratori. Chi ha fatto le leggi che hanno creato abusi contrattuali e precarietà diffusa?
Ancora una volta saranno i più deboli a pagare il prezzo di questo compromesso. Altro che riforma del lavoro!

venerdì 18 aprile 2014

Berlusconi volontario?

"Fare volontariato sarà un piacere". Questa frase è stata pronunciata ieri da Silvio Berlusconi. Per favore, qualcuno faccia sapere all'ex cavaliere che fare volontariato significa mettersi volontariamente a disposizione di chi ha bisogno. Il signor Berlusconi invece è obbligato a fare volontariato per scontare con una quarantina di mezze giornate tra gli anziani della casa di riposo Sacra Famiglia di Cesano Boscone (Mi) la pena cui è stato condannato per una cospicua evasione fiscale.
Una pena talmente mite, in relazione al reato commesso, da essere ridicola e da destare facilmente alcuni sospetti (dal momento che il pregiudicato sembra indispensabile all'attuale maggioranza per portare avanti la riforma del Senato e la nuova legge elettorale); gli è perfino stata concessa l'agibilità politica per permettergli di fare campagna elettorale.....
Che la giustizia sia uguale per tutti è sempre più difficile crederlo. Chiedere a chi ha fatto anni di galera per aver rubato qualche mela.


martedì 15 aprile 2014

"Gustolab", il pane buono due volte

Acqua, farina e lavoro di persone con disabilità. Da questa "ricetta" è nato "Gustolab", laboratorio che sforna quotidianamente pane bianco, integrale, pizze, focacce, grissini, torte, biscotti utilizzando solo farine biologiche certificate e altri ingredienti genuini: alimenti realizzati da persone con disabilità cognitiva o fisica sotto la guida di esperti fornai.
Nato dalla collaborazione tra "Via libera", cooperativa sociale finalizzata all'inserimento lavorativo di persone con disabilità cognitiva, e "L'Impronta", onlus della periferia sud di Milano (insignita dell'Ambrogino d'oro nel 2011) impegnata nel supporto educativo e assistenziale a disabili e alle loro famiglie, "Gustolab", dopo un paio di mesi di rodaggio in cui il laboratorio ha fornito aziende della ristorazione, rivendite e mense aziendali, dal 31 marzo  è diventato anche punto vendita per gli abitanti del quartiere e per chiunque desideri sostenere il suo progetto sociale.
"Siamo in via Santa Teresa 18/A, nei pressi del capolinea di piazza Abbiategrasso della linea 2 della metropolitana", dice Andrea Miotti de "L'Impronta", "una scelta determinata anche dalla volontà di fare un servizio al territorio in una periferia un po' dimenticata e da valorizzare".
Al momento, accanto al maestro fornaio e a un apprendista, a "Gustolab" lavorano due persone con disabilità fisica e due con disabilità cognitiva.
Nel laboratorio i disabili vengono avviati al lavoro come apprendisti, imparano sia tecniche artigianali che a utilizzare apparecchiature moderne; dopo questa fase di inserimento e formazione sono stabilizzati con contratto Uneba (contratto collettivo nazionale di lavoro dell'Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale). "Venite a trovarci in laboratorio e potrete vedere come lavoriamo", aggiunge Miotti. Un invito da accogliere.
L'idea di "Gustolab", vincitrice del bando comunale "Risorse in periferia" nel dicembre 2012, ha potuto svilupparsi grazie a finanziamenti agevolati della Regione e con il contributo di fondazioni private e deriva dai buoni risultati di una analoga esperienza in atto dall'ottobre 2012: il ristorante-bar "Gustop" (Milano, via Selvanesco 77, tel. 02/89309263, www.gustop.it), spazio ampio e luminoso (nella foto) con déhors riscaldato dove, delle undici persone che lavorano in cucina, al bar e in sala, sette sono disabili: vi si servono colazioni e pranzi (anche consegnati ad aziende e a comunità), si organizzano eventi e si fa servizio catering.


lunedì 7 aprile 2014

Ore 10: lezione di poesia e natura a Monterosso

Quando la scuola funziona una lezione, invece di essere svolta dall'insegnante in cattedra, può diventare una bellissima esperienza all'aperto fatta di poesia e natura. La mattina di martedì 1° aprile ero seduta su una panchina della piazzetta di Monterosso (Cinque Terre), proprio di fronte al mare, quando ho visto arrivare una classe di ragazzi, forse una prima liceo, accompagnata da due insegnanti. Il gruppo si è fermato proprio alle mie spalle e una delle insegnanti ha cominciato a parlare di Eugenio Montale, il poeta ligure (premio Nobel 1975 per la letteratura) che fin dall'infanzia era solito trascorrere le sue estati con la famiglia proprio a Monterosso.
"Ossi di seppia è la raccolta di poesie più conosciuta di Montale", ha esordito una delle insegnanti. "Il poeta amava esplorare in profondità l'anima delle cose, della natura, di chi gli era vicino; non si soffermava sull'aspetto esteriore, mirava all'essenziale. Così è nato il titolo di questa sua raccolta. Che cos'è un osso di seppia? E' lo scheletro della seppia, la sua parte interiore, che il mare ributta sulla spiaggia dopo la morte della seppia......". I ragazzi, con taccuino e penna, prendevano appunti.
A un certo punto è intervenuto il terzo accompagnatore della classe, il professor Carlo Torricelli, naturalista molto conosciuto, soprattutto nelle Cinque Terre dove è di casa e dove, durante l'estate, le sue "lezioni" sulla flora e sulla fauna di questi luoghi incantevoli tra terra e mare sono molto frequentate dai turisti.
Guardandosi attorno gli studenti potevano ammirare la piccola insenatura davanti al centro storico del paese, delimitata da due promontori coperti da una fitta vegetazione mediterranea. "Ragazzi, qui intorno potete osservare i molteplici aspetti, le forme, i colori di una flora presente anche nei versi di Montale", spiegava Torricelli indicando alcune delle specie vegetali più diffuse sul territorio..........
Poi il gruppo si è spostato per andare a percorrere il sentiero che porta al convento dei Cappuccini. Siamo in primavera e la vegetazione ha colori già forti, tra tutti primeggia il giallo.
Peccato, penso, che se ne vadano; mi piaceva molto ascoltare questa lezione speciale.
Prima che il gruppo si allontanasse mi sono avvicinata a Torricelli e gli ho mostrato una fotografia che avevo scattato a un bellissimo arbusto di un bel giallo intenso di cui non conoscevo il nome e gli ho chiesto come si chiamava. "E' l'Euphorbia arborea in piena fioritura; guardi quanta ce n'è qui intorno". A perdita d'occhio.
Intanto la classe era arrivata ai piedi della salita dei Cappuccini, un sentiero tortuoso ma ricco di esperienze per chi le sa cogliere come, credo, quei giovani studenti ormai lontani dalla mia vista perché, nascosti nel folto della vegetazione, avevano cominciato lentamente a salire.

Boeri: "Per evitare gli abusi c'è una sola strada"

Ho chiesto al prof. Tito Boeri che cosa pensa dell'annuncio (vedi post qui sotto) fatto dal ministro Poletti a proposito dei controlli che il governo intende promuovere per evitare gli abusi che spesso accompagnano contratti a progetto e partita Iva. Questa la sua risposta.
"Ho molti dubbi su questi proclami. Chi farebbe i controlli? Come? Penso che l'unica strada percorribile per evitare l'abuso di queste figure contrattuali sia quella di imporre livelli retributivi minimi come prevedeva la legge sul contratto a tutele crescenti". Livelli retributivi che, aveva detto Boeri in un recente incontro sul lavoro promosso da alcuni circoli Pd di Milano, dovrebbero però essere maggiori di quelli dei dipendenti per compensare i rischi connessi alla flessibilità.
Quanto al contratto a tutele crescenti bisogna aggiungere che, purtroppo, la legge delega di riforma del mercato del lavoro, sembra averlo accantonato, prevedendolo solo eventualmente "in forma sperimentale" accanto alle tipologie contrattuali esistenti (che dovrebbero essere semplificate).

giovedì 3 aprile 2014

Lavoro precario: ci sarebbe una grande notizia....

Il ministro Poletti ha annunciato due giorni fa che il governo, per combattere il precariato, avvierà controlli molto severi per portare alla luce i falsi contratti a progetto e le false partite Iva, le due  forme contrattuali atipiche più impiegate per mascherare rapporti di lavoro subordinato.
Ancora un annuncio (un annuncio importante che almeno ha spezzato l'omertà che avvolge questo argomento), atteso da una moltitudine di lavoratori precari.
Qualcuno ha letto questa notizia sulla grande stampa nazionale? Qualcuno l'ha sentita in qualche Tg?
No, io l'ho vista scorrere nel sottopancia delle breaking news sullo schermo dell'instant tv in una stazione della metropolitana di Milano. Poi l'ho trovata in qualche giornale on line e nei siti di informazione.
Sembra che la sorte di qualche generazione di lavoratori vittime di abusi contrattuali (per lo più persone tra i 30 e i 45 anni) non interessi a questo Paese. L'importante sembra che sia dare lavoro senza andare troppo per il sottile. E' la crisi.... dobbiamo aumentare la flessibilità..... Ma la legge conta qualcosa o no?
I contratti atipici, si disse all'epoca di Marco Biagi e lo si è ribadito con Elsa Fornero, sono stati introdotti anche per combattere il lavoro nero. Così, per lottare contro un'illegalità, si è finiti per crearne un'altra forse peggiore, perché si usa impropriamente uno strumento contrattuale che ha dei limiti per mascherare un abuso senza limiti.

mercoledì 2 aprile 2014

Lavoro: riuscirà Renzi a giocare d'anticipo?

Matteo Renzi va di fretta, ha impostato il suo modo di far politica all'insegna della velocità. Quanto questo sarà efficace è tutto da vedere. Nel caso che riassumo qui poi, Renzi corre talmente da voler impostare le regole del gioco quando il gioco è ancora da inventare, come nel caso della legge delega che dovrebbe costituire la parte più consistente della nuova riforma del avoro. Vediamo come.
Filippo Taddei, responsabile economico del Pd è intervenuto ieri sera a Ballarò e, a proposito della legge delega sul lavoro, ha fatto questa dichiarazione.
"E' vero che c'è un processo in Parlamento per la legge delega, ma poi ci sono i decreti attuativi. Il governo non ha bisogno di aspettare l'approvazione della legge delega per discutere, riflettere sui decreti attuativi..... anzi, è un lavoro che stiamo già facendo".
Floris: "Ma non potete fare i decreti attuativi senza la legge delega. E se vi cambiano la legge delega?"
"Certo, ma possiamo discutere su ragionevoli aspettative..... Perché quella legge delega funzioni per noi, per il Pd, per il governo, ci sono due punti fondamentali: il primo è come interveniamo nell'estensione della copertura ai disoccupati del nostro Paese; il secondo, come interveniamo per offrire uno strumento contrattuale per la stabilizzazione dei lavoratori italiani, contratto a tutele crescenti. Su questi due punti noi lavoriamo già da ora e lavoravamo già da prima" (espressione tra la sorpresa e la lieve ironia del prof. Boeri in collegamento da Milano).


Come eravamo "quando c'era Berlinguer"

Uno sguardo all'Italia di ieri pensando a come è oggi. Quando c'era Berlinguer, il docufilm di Walter Veltroni, ravviva la memoria della mia generazione e rivela ai giovani più sensibili e attenti alla vita politica che nella nostra storia c'è stata una stagione di grandi speranze che purtroppo non ebbe seguito.
A metà circa degli anni '70 Enrico Berlinguer, segretario del Pci, sfidando Breznev e abbandonando l'idea di dittatura del proletariato, aveva preso le distanze dall'Urss e iniziato un dialogo con la parte più progressista della Dc (rappresentata da Aldo Moro). Il loro progetto, il "compromesso storico", che avrebbe portato il Paese sulla strada delle riforme condivise, naufragò col rapimento e l'uccisione del presidente della Dc (1978) e la morte prematura del segretario del Pci (1984).
Il film di Veltroni è una carezza alla memoria del leader scomparso, sconosciuto a quasi tutti i ragazzi d'oggi (ma qui, come fa notare nel film una giovane intervistata, la responsabilità è soprattutto dei programmi scolastici che a malapena arrivano agli anni '50) ma molto amato, e rimpianto, dai loro nonni e padri per i valori sociali che incarnava e praticava, che nel film sono raccontati attraverso le testimonianze di chi gli fu vicino, alcune molto toccanti. Un uomo mite e coraggioso, che per le sue idee è stato in prigione, ha subìto un attentato ma non ha mai smesso di lottare. Un esempio.
In una Tribuna politica di quegli anni, di cui il film mostra le immagini in bianco e nero dello studio televisivo pieno di fumo, a un giornalista che voleva metterlo in imbarazzo con l'accusa d'essere sempre un comunista vecchio stampo non esitò a rispondere che il Pci non aveva nulla contro la proprietà privata della terra e della casa; che bisognava stimolare l'impresa privata perché c'era già troppo Stato nelle imprese. Una rivoluzione.
La lunga, impressionante sequenza del male che lo ha aggredito sul palco di un comizio a Padova, in un'alternanza di cedimenti del suo fisico esile e brevissime riprese, davanti a un pubblico che lo acclamava ma lo implorava di smettere, conclude la vicenda pubblica di Berlinguer in modo davvero struggente.
Di Enrico Berlinguer e della sua "questione morale" (vedere la celebre intervista che gli fece Eugenio Scalfari - Repubblica 28 luglio 1981 - ) ci sarebbe tanto bisogno oggi.

giovedì 27 marzo 2014

Un "Alveare" operoso che produce solidarietà

Tanti api operose che producono solidarietà per far fronte all'emergenza di chi è emarginato, non trova lavoro o l'ha perso. Questo lo scopo dell'Associazione Alveare, costituita presso la parrocchia di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa (via Neera 24, tel. 0289500817), quartiere Stadera, una delle zone critiche di Milano, dove situazioni di povertà e degrado sono all'ordine del giorno.
"Siamo nati nel settembre 2012", dice Luca Maiocchi, responsabile dell'associazione, "e a oggi abbiamo aiutato circa 180 persone senza lavoro, italiani e stranieri, di cui poi una ventina ha trovato un'occupazione stabile, ma soprattutto li abbiamo aiutati a incontrarsi, a conoscersi, a sentirsi parte della comunità superando l'isolamento sociale in cui ci si viene a trovare quando non si ha un'occupazione".
Il progetto funziona così: chi ha bisogno di aiuto chiede un colloquio e, a seconda di quel che sa fare, viene messo in contatto dall'associazione con  chi ha bisogno di quelle prestazioni ma ha pochi soldi per pagare. Per esempio, una nonnina vorrebbe rinfrescare la sua casa ma non ce la fa a pagare un imbianchino, ecco che l'associazione le trova chi fa il lavoro. Il compenso sarà dato con i "buoni lavoro" (voucher) dell'Inps per il lavoro "accessorio", che il lavoratore andrà a riscuotere (a fronte di un compenso di 25 euro lorde al lavoratore ne resteranno in tasca 18,75) in un qualunque ufficio postale.
L'associazione, che si autofinanzia con donazioni (si stanno cercando mille famiglie che si impegnino a donare cinque euro al mese per sei mesi, un anno....), è anche molto attiva nel recuperare e mantenere il decoro del quartiere e vi promuove lavori socialmente utili (sempre pagati con i voucher) come la pulizia dei marciapiedi, la sistemazione di aule e giardini della scuola Cesare Battisti, l'eliminazione dei graffiti dai muri, la sistemazione di locali per le attività di volontariato.

mercoledì 26 marzo 2014

Armarsi per essere liberi. Ma era Obama o Bush?

Il presidente Obama, da Bruxelles, prima tappa del suo viaggio di domani verso Roma, ha raccomandato: "Non tagliate i fondi alla difesa. La libertà ha un prezzo".
Come a dire che per essere liberi bisogna armarsi ben bene; certo, ci sono in giro diversi focolai di guerra sempre più minacciosi, ma forse prima è il caso di rafforzare il lavoro delle diplomazie.
E poi, se la detenzione di questi costosissimi armamenti rende liberi ma sottrae risorse fondamentali per nutrire le popolazioni più bisognose e combattere miseria e povertà sempre più diffuse, che cosa ce ne facciamo? Liberi, ma morti di fame.

lunedì 24 marzo 2014

Lo stipendio di Moretti secondo Abravanel

Nel dibattito scatenato dall'improvvida prima dichiarazione di Mauro Moretti (nella seconda ha aggiustato un po' il tiro), amministratore delegato del Gruppo FS, sulla propria retribuzione, ho ascoltato quel che ha detto a Rainews 24 Roger Abravanel, manager, scrittore, ex director McKinsey, voce della meritocrazia, editorialista del Corriere della Sera.
Premesso che non bisogna punire i bravi manager, Abravanel ha affermato che un conto è tagliare i compensi nella pubblica amministrazione (da fare), altro è porre un limite alle retribuzioni dei manager nelle società a partecipazione pubblica, aziende che devono misurarsi col mercato.
Inoltre, ed è questo ciò che mi ha colpito di più nell'intervista, Abravanel ha detto che, tra gli elementi che formano le retribuzioni dei grandi manager delle aziende a partecipazione statale c'è anche una quota che compensa il rischio di perdere l'incarico quando cambia il governo che li ha nominati (spoil system). Però, ha aggiunto Abravanel, è difficile che questo accada.
Ricordo che talvolta è accaduto anche che un manager, responsabile di una gestione fallimentare (Giancarlo Cimoli nominato da Prodi alle Ferrovie dello Stato), invece di perdere il posto ben retribuito, fosse andato a far danni - e che danni - altrove (all'Alitalia, nominato da Berlusconi).
Bene, il principio è giusto: il rischio di perdere il lavoro va compensato. Anche la flessibilità del lavoro, proprio perché comporta un alto rischio di perdere il lavoro, dovrebbe costare di più alle aziende. Un principio che dovrebbe valere per tutti. Ma non è così.
Come la mettiamo infatti con tutti coloro la cui occupazione, per esempio, non ha alcuna garanzia di stabilità, come i lavoratori costretti, in violazione della legge, a fare i finti professionisti o i finti autonomi con stipendi che, se non venissero integrati dal welfare famigliare (le pensioni dei genitori o dei nonni), basterebbero loro solo per vivere con fatica alla giornata?  Non parliamo del futuro.
Nel nostro Paese c'è sempre qualcuno più uguale degli altri di fronte alla legge.

venerdì 21 marzo 2014

Moretti, ad Gruppo FS, non conosce vergogna


Mauro Moretti, amministratore delegato del gruppo delle FS, non conosce la vergogna. Se verrà fissato un tetto per le retribuzioni dei grandi manager pubblici, Moretti (che guadagna solo 850 mila euro l'anno) cercherà di espatriare e così, dice lui, faranno i suoi colleghi.
Bisognerebbe che qualcuno ricordasse a Moretti che è imputato per la strage ferroviaria nella stazione di Viareggio e nella zona circostante (20 giugno 2009) in cui morirono 32 persone e molte altre decine rimasero ferite a causa del deragliamento di un treno merci che provocò l'esplosione di un carro cisterna contenente gas GPL.
Pertanto, prima di fare qualsiasi progetto di espatrio, Moretti risponda in tribunale delle accuse pesanti che gli sono state rivolte.
Quelli come lui vadano pure all'estero. In qualsiasi Paese del mondo ci sarà senz'altro la fila per assicurarsi le loro supercostose prestazioni...... Ma facciano il piacere!

giovedì 20 marzo 2014

Eataly Smeraldo: la tradizione italiana a tavola

Da due giorni Milano ha la sua.... decima meraviglia. Sono esagerata? No, sono milanese.
Dopo il Duomo, la Galleria, il Cenacolo di Leonardo, il teatro alla Scala, la pinacoteca di Brera, l'abside della chiesa di San Satiro col  geniale inganno prospettico del Bramante, il ciclo degli affreschi nella chiesa di San Maurizio al Monastero, il "Pirellone" di Gio' Ponti, la torre Unicredit (di César Pelli, architetto argentino ma di origini italiane), è stato inaugurato "Eataly Smeraldo", tempio dell'enogastronomia, un vero paradiso del mangiare e del bere italiano (con qualche escursione nei prodotti di qualità di altri Paesi) nato da un'idea di Oscar Farinetti, realizzato all'interno dell'ex teatro Smeraldo: un pianoforte e una bella galleria di ritratti degli artisti che hanno calcato il suo palcoscenico tengono vivo il ricordo dei 70 anni di vita del teatro, dal varietà degli inizi, alle commedie, ai musical, alla danza, ai concerti.

Anch'io andavo allo Smeraldo ad ascoltare i concerti di Gaber e di Jannacci, di Ray Charles, di De André, Celentano, Mina (perfino un lungo monologo di don Gallo accompagnato dalla musica e applaudito da una platea piena di giovani in un tripudio di bandiere della Pace).
Mi sono emozionata vedendo i loro bei ritratti in bianco e nero sospesi nel salone d'ingresso. Forse è un po' troppo pensare che lo spirito del teatro possa sopravvivere tra tagli pregiati di carne piemontese, tortellini fatti a mano davanti ai clienti, vini D.O.C.G., ristoranti, laboratori di cucina e di cultura del cibo per bambini e pensionati, però mi piace augurarmi che sia così per non essere sopraffatta dal forte profumo di business (è lo spirito dei nostri tempi) che aleggia tra i banconi e gli scaffali dove cibi e bevande sono "impaginati" con una grafica allettante. Del resto il pianoforte che troneggia al centro della struttura non è lì per caso, ma perché vi si continuerà a fare musica.
La cultura del cibo e del vino al posto della cultura teatrale. In fondo, diciamo così, sempre di eccellenze si tratta, ognuna a suo modo spettacolare. Un dettaglio: la segnaletica interna è tutta in italiano; per le toilette dirigetevi verso la scritta "Gabinetti".

mercoledì 19 marzo 2014

Bonanni: su false partite Iva e Cocopro c'è omertà

Com'era ampiamente prevedibile, nessun giornale importante ha riportato la dichiarazione di un paio di giorni fa del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, quando ha detto, data l'assenza nelle nuove misure sul lavoro di attenzione anche per le false partite Iva e Cocopro, che sui precari c'è omertà.
Ha detto proprio omertà.
E' significativo che questa parola sia stata pronunciata proprio da un sindacalista, quando finora il sindacato ha sempre chiuso occhi e orecchie su questo grave problema.

lunedì 17 marzo 2014

Lavoro: può la riforma essere efficace ma ingiusta?

Giuliano Poletti, neoministro del Lavoro, a proposito dei due provvedimenti sul lavoro decisi dal governo Renzi (nuove norme su apprendistato e contratto a tempo determinato), che hanno avuto la totale approvazione degli imprenditori e il totale dissenso della Cgil, contraria perché producono altra precarietà, nell'intervista di ieri a Repubblica ha detto con garbo una cosa però molto grave. Questa: "Avere norme giuste che non producono effetti o ne producono di contrari è peggio....... Io sono più interessato al futuro dei ragazzi che alla perfezione della norma".
Apparentemente un'affermazione di buon senso ma, a leggerla bene, si capisce (se ce ne fosse ancora bisogno) qual è stato il principio al quale, a partire dalla legge Biagi/Maroni fino alla Fornero/Monti, si è uniformato il legislatore: creare occupazione purché sia.
Anche gli schiavi lavoravano. Anche chi ha un contratto atipico fasullo lavora (ma non può chiedere un mutuo, non ha Tfr eccetera). Non è questo l'obiettivo da perseguire.
L'obiettivo dovrebbe essere quello di fare una vera riforma del lavoro che elimini finalmente il dualismo perverso che norme ingiuste hanno creato, sanare tutti gli abusi esistenti creati dai contratti atipici (qualcuno mi dovrebbe spiegare in modo convincente perché una persona che lavora da tanti anni con la stessa azienda avendo rinnovato con continuità un sacco di contratti fasulli non dovrebbe avere un regolare contratto di lavoro da dipendente, cioè non dovrebbe avere anche giustizia.....). E poi riservare alla flessibilità due/tre tipologie contrattuali (non le attuali decine) indispensabili per regolare davvero altre eventuali esigenze produttive. La flessibilità non deve creare precarietà.
Lo so che non è facile far ripartire la crescita e creare così nuova occupazione. Ma il governo è lì apposta per studiare come fare: se si limita a trovare strumenti di intervento efficaci e discriminatori, a beneficio cioè solo dei lavoratori dipendenti (aumento in busta paga) e degli imprenditori (riduzione Irap) e demandando a un disegno di legge che verrà (campa cavallo...) tutto il resto della complessa materia, non ci siamo.
Avallando ancora una volta il principio che, in nome degli effetti "positivi" si può far a meno della giustizia si firma il certificato di morte di qualche generazione. Altro che futuro.

domenica 16 marzo 2014

A. Olivetti: storia d'amore tra impresa e cultura

Parole come: "Io penso la fabbrica per l'uomo e non l'uomo per la fabbrica" oppure: "Educare i giovani a conoscere i valori della cultura" non sono state pronunciate da un sindacalista arrabbiato degli anni '70 o da un preside di liceo. Sono parole di Adriano Olivetti, figura centrale nello scenario italiano degli anni '40 e '50. Quale scenario? L'intero scenario. Olivetti era imprenditore, scrittore, urbanista, raffinato intellettuale, politico, visionario, creativo e pragmatico insieme. Era l'uomo della comunità non dei partiti. Era l'uomo del futuro, non del presente. Accanto a sé
in azienda volle persone di cultura: scrittori, poeti, artisti, architetti, designer per realizzare quella sperimentazione tra impresa, arte e cultura che per lui rappresentava anche il miglior investimento produttivo.
Quando Olivetti cominciò il suo lavoro in azienda (ricordò egli stesso nel discorso a tutti i dipendenti della vigilia di Natale 1955) ricevette dalle mani del padre, Camillo, questo mandato: "Ricordati che la disoccupazione è una malattia mortale della società moderna; perciò ti affido una consegna: tu devi lottare con ogni mezzo affinché gli operai di questa fabbrica non abbiano da subire il tragico peso dell'ozio forzato, della miseria avvilente che si accompagna alla perdita del lavoro". Un compito impegnativo che Adriano ha onorato quando ancora non si parlava della "responsabilità sociale dell'impresa" (principio di cui oggi si parla molto ma quanto a praticarlo....).
Ad Adriano Olivetti si devono primati prestigiosi dell'industria italiana ancor prima che nascesse il made in Italy, come il primo elaboratore elettronico al mondo, l'Elea (realizzato da una squadra di giovani ingegneri guidati da Mario Tchou, ingegnere elettronico italiano d'origine cinese; design Ettore Sottsass, vincitore del Compasso d'Oro nel 1959). Un vantaggio che sembrava incolmabile per la pur agguerrita concorrenza americana, un vantaggio che invece venne colmato con sorpasso dopo la prematura (1960) morte di Adriano Olivetti quando l'azienda cominciò a passare attraverso diverse mani, tra cui quelle dei lupi della finanza.
Oggi Olivetti non è più una realtà produttiva, è sopravvissuto solo il marchio per le esigenze del marketing globalizzato. Fine di una grande storia d'amore tra impresa e cultura.
Alla figura di Adriano Olivetti è stato dedicato l'incontro "Fare cultura è un'impresa", organizzato dall'Associazione culturale Silvia Dell'Orso il 14 marzo scorso a Milano nell'ambito di "Visioni d'Arte", rassegna di film e documentari di divulgazione di beni culturali.
Silvia dell'Orso (sopra), milanese, era una saggista e giornalista molto attiva nella divulgazione di temi legati ai beni culturali, ambientali, artistici. A lei, morta nel dicembre 2009, è stata intitolata l'associazione che ha lo scopo di continuare il suo lavoro e lo fa con iniziative tematiche sempre di grande interesse: l'argomento di quest'anno era la relazione tra Arte e Impresa (prima dell'incontro su Olivetti ci sono stati appuntamenti sui pionieri del design e dell'architettura, sulla pubblicità dal cinema alla tv, sui materiali innovativi per la produzione seriale.
Per informazioni: Associazione culturale Silvia dell'Orso, via Andrea Ponti 20, Milano, tel. 0289123122, www.associazioneculturalesilviadellorso.org; info@a-sdo.org

sabato 15 marzo 2014

Boccio senza pietà il piano lavoro di Renzi

La sinistra è finita quando ha smesso di tenere la barra dritta e salda sul lavoro. La prima uscita di rotta è ormai lontana (1997, il ministro del lavoro Treu - governo Dini - introdusse il lavoro interinale, prima falla del sistema lavoro).
Negli anni successivi si è andati solo peggiorando (leggi Biagi/Maroni e Fornero/Monti) e si è impressa un'accelerata incredibile ai contratti atipici che avrebbero dovuto favorire l'occupazione (figuriamoci!) invece l'hanno resa totalmente precaria, al servizio di imprese cui non pareva vero di potersi procurare legalmente (ma anche abusivamente) lavoro low cost, leggi che hanno creato il cosiddetto "dualismo del mercato del lavoro", la spaccatura tra protetti e non protetti.
Tutto questo è passato nella totale indifferenza, quindi inerzia, dei partiti di sinistra e del sindacato, le due parti sociali che avrebbero dovuto fare "cose di sinistra" e che invece hanno solo girato a vuoto, quando addirittura non hanno favorito Berlusconi (i partiti di sinistra), oppure hanno continuato a tutelare solo i propri iscritti (dipendenti e pensionati) trascurando le nuove generazioni, con una politica miope per la sopravvivenza stessa del sindacato.
Adesso non ci sono più sinistra e destra. C'é Renzi. E la sua prima mossa in materia del lavoro merita d'essere bocciata "a pieni voti"! Boccio senza pietà i due provvedimenti su apprendistato e contratti a termine, vantaggiosi solo per le aziende perché creano più flessibilità, cioè più precarietà. Tutto il resto della materia (ammortizzatori sociali anche per chi non ne aveva, contratto unico a tutele crescenti, salario minimo, sfoltimento della giungla dei contratti atipici) è stato demandato a leggi delega. Come a dire che, se Renzi resta al timone, ci vorrà qualche anno perché queste misure passino; forse per fine legislatura (2018). Campa cavallo.....

giovedì 13 marzo 2014

"Job Acts" e stop al lavoro precario. Chi l'ha visto?

Il tanto atteso Job Acts avrebbe dovuto contenere, secondo certe dichiarazioni di Renzi, anche provvedimenti contro il dualismo nel mercato del lavoro tra dipendenti (protetti) e precari ("sfigati", "bamboccioni", "choosy" e via straparlando) con l'introduzione del cosiddetto contratto unico a garanzie crescenti. Chi l'ha visto?
Nella manovra annunciata ieri, per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro ci sono solo nuove regole per l'apprendistato e per i contratti a termine (a esclusivo vantaggio delle aziende), non si accenna minimamente a questa misura rimandata invece a una legge delega.
Il nuovo codice del lavoro insomma è lontano. Quel che è certo ora è che il dualismo nel mercato del lavoro, alimentato da una inutile giungla di contratti atipici, resta, così come l'hanno istituito la legge Biagi/Maroni e la successiva Fornero, col silenzio-assenso del sindacato impegnato solo sul fronte lavoratori dipendenti e pensionati.
In questo Paese permane la regola del "chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto". I precari della "generazione perduta" (nati tra la fine degli anni '70 e i primi '80) non sono più giovani, non rientrano neppure nella categoria degli under 29 della Garanzia Giovani, sono rappresentati da nessuno e, anche se hanno un contratto (spesso illegale), restano semplicemente FUORI.

lunedì 10 marzo 2014

Lavoro: due casi di miopia "bipartisan"

Recentemente a Otto e mezzo l'ex ministro Mara Carfagna ha rivendicato tra le buone riforme fatte dai governi Berlusconi anche la legge Biagi perché avrebbe creato una moltitudine di posti di lavoro.
Io la penso in un altro modo, e cioè la legge Biagi (che sarebbe più corretto chiamare anche col nome del ministro del Lavoro che l'ha voluta, Roberto Maroni) è responsabile della crescita vorticosa e voluminosa della precarietà nel lavoro.
Un paio di giorni fa Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, riferendosi al Jobs Act di Matteo Renzi, ha affermato in un'intervista a Rainews che il lavoro non si crea "con uno schema di ragionamento che si ferma alle regole e non guarda invece a come creare uguaglianza e posti di lavoro".
Vero, signora Camusso; premesso però che del contenuto della nuova riforma del lavoro ancora si sa nulla, perché mai non si dovrebbero introdurre nuove regole quando quelle vigenti sono sbagliate (legge Biagi/Maroni) avendo creato e continuando a creare precarietà? Perché il sindacato continua a occuparsi solo di lavoratori dipendenti e di pensionati?

sabato 8 marzo 2014

Viva la mimosa. Purché non sia solo mimosa....

Donare un rametto di mimosa alle donne per la festa dell'8 marzo è un gesto gentile e simbolico che dobbiamo a Teresa Mattei, partigiana genovese (scomparsa un anno fa), per tutta la vita impegnata nell'affermazione dell'uguaglianza dei cittadini e dei diritti civili; fu lei, direttrice dell'Unione Donne Italiane, a dare il via a questa tradizione nel 1946, in occasione della prima festa della donna dopo la Liberazione.
Nel corso degli anni il senso vero di quel gesto si è un po' smarrito lasciando spazio anche a significati che poco o nulla hanno a che fare con l'idea originale. Per questo oggi donare le mimose non basta per celebrare la festa. Le donne vogliono di più. Le donne meritano di più.
Le donne meritano una vera tutela della maternità (troppe lavoratrici precarie vengono licenziate causa gravidanza); meritano un lavoro stabile, che permetta loro di fare progetti di vita; meritano di non essere discriminate sul lavoro e nella carriera (a parità di mansioni, guadagnano meno dei colleghi maschi e raramente hanno le stesse opportunità); meritano servizi sociali adeguati per poter far fronte alle esigenze della famiglia e del lavoro (asili nido per i figli, aiuti nell'assistenza agli anziani) eccetera eccetera.
La mimosa mi piace moltissimo. E' profumata, è festosa, è allegra. Oggi me ne hanno regalato un mazzo vero e molti mazzetti virtuali. Ma questo arbusto delicato non deve diventare protagonista per un giorno solo. Quindi: la smettiamo, per favore (e lo dico soprattutto alla politica), di scaricarci la coscienza con un mazzolino di mimose l'8marzo?

Chi ha paura delle "quote rosa" in Parlamento?

Oggi, 8 marzo, festa delle donne, la politica paradossalmente è agitata dal dibattito sulle "quote rosa". Novanta donne di diversi partiti hanno chiesto un emendamento alla nuova proposta di legge elettorale (che la sintesi giornalistica ha battezzato Italicum) affinché la "parità di genere" entri nelle liste elettorali e poi negli scranni di Montecitorio. Le donne costituiscono la metà della popolazione italiana, ha detto Laura Boldrini, presidente della Camera, quindi devono avere il diritto a essere rappresentate.
Personalmente non sarei favorevole, penso che la parità non possa essere stabilita per legge, ma penso anche che le quote siano un
passo davvero indispensabile, in un Paese culturalmente maschilista e bloccato come il nostro, per favorire quella rivoluzione culturale e sociale necessaria perché le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini anche nella politica, tradizionale feudo maschile.
Fatto salvo che competenza e meritocrazia dovrebbero essere i requisiti fondamentali perché una persona (di qualunque genere) possa occupare posti di responsabilità, di fatto poi avviene che le leve del comando siano quasi esclusivamente in mano agli uomini, anche incapaci.
Le quote al momento sono in vigore per gli organi sociali delle aziende pubbliche e di quelle quotate in Borsa (legge Golfo-Mosca del 2011). Ben vengano, quindi anche in politica. Almeno spero.

lunedì 3 marzo 2014

Jobs Act: che fine fa il contratto a progetto?

Far ripartire l'offerta di lavoro e, contestualmente, combattere la precarietà dilagante dovrebbero essere i punti qualificanti del Jobs Act del governo Renzi, riforma di cui si parla molto senza ancora conoscerne però i contenuti.
Alcuni primi segnali emersi in questi giorni sembrano tuttavia un po' contraddittori. Intendiamoci, il governo ci sta ancora ragionando sopra, ma al momento mi sembra incompatibile che si voglia disboscare la giungla dei contratti atipici (tra i maggiori portatori di precarietà ci sono contratti a progetto e le partite Iva) e nello stesso tempo, per esempio, si voglia estendere proprio ai contratti a progetto il sussidio di disoccupazione a fine progetto.
Ma allora, questi contratti a progetto verranno cancellati o sopravviveranno?

lunedì 17 febbraio 2014

#matteononstareserenomapedala

Matteo Renzi si è tuffato nella sua nuova avventura politica con uno spettacolare doppio salto mortale in avanti e libero. Pericoloso per alcuni, coraggioso per altri.
Il "metodo Renzi", moralmente discutibile, politicamente rappresenta una trasgressione dei riti del Palazzo. Il comportamento di Renzi infatti va in direzione ostinata e contraria rispetto a quel che aveva detto, ripetuto e tweettato (#enricostaisereno). E quando ha deciso di sfiduciare Enrico Letta deve essersi certamente ispirato al motto del suo concittadino Niccolò Machiavelli "il fine giustifica i mezzi".
Stamattina il sindaco di Firenze nonché segretario del Pd, Matteo Renzi, ha ricevuto da Napolitano l'incarico di formare il nuovo governo; compito che si sta rivelando più arduo di quanto egli stesso avesse previsto, ma che non lo fermerà.
Per la polverosa e stantìa politica italiana il ciclone Renzi è un vero choc. Riuscirà il nostro eroe a compiere quelle riforme indispensabili e urgenti per raddrizzare le sorti del Paese?
Nessuno può rispondere a questa domanda, a meno che abbia la palla di vetro o una fiducia  incondizionata in Renzi. Al punto in cui siamo, non ci resta che andare avanti e sperare che ci riesca. Buon lavoro Matteo e tanti auguri all'Italia.

venerdì 14 febbraio 2014

Napolitano non consulti Berlusconi!

Quel che sta accadendo nella politica italiana è qualcosa di davvero inedito: un governo (Letta) sfiduciato non dal Parlamento ma dalla direzione dei proprio partito (il Pd di Renzi). Si era mai visto eppure lo stiamo vedendo, e non ci sorprendiamo neppure più di tanto, anestetizzati come siamo ormai di fronte a qualunque inosservanza o sfregio delle regole.
Quel che proprio non vorrei vedere tra poco, ma proprio non vorrei vedere, quando ci saranno le consultazioni del Presidente della repubblica per individuare a chi dare l'incarico (ovviamente al sindaco di Firenze e segretario del Pd) di formare il nuovo governo, è Berlusconi salire al Colle per incontrare Napolitano.
Per favore, Presidente, glielo chiedo col tono accorato di una cittadina di questo Paese che ha dovuto accettare l'inaccettabile nei vent'anni di egemonia berlusconiana, non riceva Berlusconi!
Forza Italia deleghi pure uno dei suoi falchi o falchetti nel colloquio con Napolitano, ma Berlusconi non deve mettere piede al Quirinale! Il pregiudicato (anche in attesa di altri giudizi) e senatore decaduto Berlusconi già avuto un ingiusto riconoscimento da Renzi, che lo ha convocato per trovare l'accordo sulla nuova legge elettorale.
Basta con Berlusconi! Questa sarebbe la vera svolta, caro Matteo Renzi!


mercoledì 5 febbraio 2014

Quale disfattismo, presidente? E' la realtà

"Basta con il disfattismo" è la parola d'ordine del presidente Letta. Commentando con orgoglio i risultati raggiunti con il suo pellegrinaggio negli emirati (soprattutto i 500 milioni di investimenti concessi da un fondo del Kuwait), Letta ha detto chiaro e tondo che è ora di finirla con una visione catastrofica delle condizioni generali di salute del nostro Paese.
Ha ragione, "l'ottimismo è il sale della vita", diceva il poeta in uno spot.
Grazie a Enrico Letta per il suo impegno nel portare a casa qualche risultato; 500 milioni di euro possono sembrare pochi, ma coi tempi che corrono sono comunque un risultato soddisfacente.
Per essere un po' ottimisti, però, bisognerebbe cominciare a vedere non dico il bel tempo su tutta la penisola, ma almeno che cominci timidamente a far capolino il sole al di qua delle Alpi. Invece 161 vertenze occupazionali (aziende che chiudono o delocalizzano lasciando a casa i
lavoratori) continuano a giacere sul tavolo del governo, e non è che ogni giorno il loro numero diminuisca.
Forse ci vuole più pazienza. Bisognerà dirlo soprattutto a chi non riesce più a fare la spesa per lo stretto indispensabile.

martedì 4 febbraio 2014

Rivoluzione? Magari... No, grazie

L'ingiustizia sociale, le profonde disuguaglianze, la disoccupazione e la mancanza di prospettive per una vera ripresa (altro che "la crisi è finita", presidente Letta) negli amati/detestati anni '70 avrebbero scatenato la rivolta nelle piazze. Oggi, a parte qualche sporadico sussulto di protesta che non ha mai raccolto ampi consensi, si va in piazza per uno sciopero, un comizio, un concerto, ma non più in tantissimi, e tutti uniti, per "fare la rivoluzione". Eppure i motivi non mancherebbero.
Per Romano Prodi, economista, ex presidente del Consiglio (intervistato due giorni fa da Aldo Cazzullo del Corriere della Sera), "la mancanza di una rivolta sociale si spiega col fatto che la perdita del lavoro oggi avviene goccia a goccia; infinite gocce che fanno molto più di un fiume, ma non fanno una rivoluzione".
Aggiungerei, sempre riferendomi agli anni '70, che allora c'era soprattutto il collante degli ideali, della solidarietà, che teneva unite masse di lavoratori e studenti nelle loro rivendicazioni, che inevitabilmente sfociavano nelle piazze. Oggi gli ideali sono crollati insieme all'ideologia che li sosteneva, l'unità si è persa, gli operai, disoccupati o delocalizzati, stanno scomparendo, gli studenti sono travolti (talvolta purtroppo non solo metaforicamente) dalle macerie della scuola. Chi può andare in piazza? La classe media? La classe media, bastonata, frantumata e sempre più impoverita dalla crisi, dal fisco, dalla precarietà dei suoi figli, non ha progetti se non quello di riuscire a dare una mano a figli e nipoti. Fare la rivoluzione? E con chi? Certo che ci vorrebbe, però.... No, grazie, ho già altro da fare. Si è persa la dimensione collettiva e si agisce ormai solo individualmente, ognuno per sé. Almeno fino a quando ci sarà da parte qualche risparmio.
Ricordo il titolo, ironico e pieno di aspettative, di una commedia teatrale degli anni '70, Arriva la rivoluzione ma non ho niente da mettermi (di Umberto Simonetta). Oggi sarebbe un rassegnato Ho qualcosa da mettermi ma non arriva la rivoluzione.

giovedì 30 gennaio 2014

Accusano Napolitano ma si sono isolati da soli

Luigi Di Maio, grillino e vicepresidente della Camera, a proposito della messa in stato d'accusa del presidente Napolitano promossa dal suo movimento, ha spiegato che tra le colpe di Napolitano c'è quella d'aver isolato il Movimento 5 stelle ignorando milioni di cittadini che l'avevano votato.
L'empeachment seguirà il suo corso, ha replicato tranchant il Presidente della Repubblica.
Isolamento dei grillini? Vedremo come finirà, intanto Di Maio e i suoi amici dimenticano che i primi a volersi isolare sono stati proprio loro, rifiutandosi di trattare per formare un'intesa di governo subito dopo le elezioni di un anno fa. Allora infatti i grillini raccolsero quasi nove milioni di voti di cittadini che volevano che il Movimento della ditta Grillo-Casaleggio diventasse il motore di una svolta radicale e costruttiva per il Paese. Non mi risulta che abbiano costruito qualcosa.

mercoledì 29 gennaio 2014

Flop Fornero. Ma cos'è questa crisi....?

Il bilancio del primo anno della riforma del lavoro firmata Fornero (luglio 2012-giugno 2013) è stato negativo. Lo ha detto il monitoraggio sull'applicazione della nuova legge diffuso in questi giorni dal ministero del Lavoro. Più disoccupati, meno contratti a tempo indeterminato, abuso continuo di contratti atipici, scarso successo dell'apprendistato.
La riforma del lavoro, che era nata avendo come idea di base "una prospettiva di crescita", è stata, contrariamente alle attese dei tecnici, un vero flop. Adesso, per giustificarne il fallimento c'è chi sostiene che, certo, la riforma non è stata molto fortunata perché è partita proprio nel bel mezzo di una crisi economica spaventosa.
Scusate, ma non sapevate che c'era la crisi? E da ben quattro anni!
A che cosa servono i prestigiosi uffici studi, gli osservatori economici, le costose società di consulenza e tutti gli altri possibili strumenti di analisi di una situazione socio-economica eccezionale, come quella della crisi che stiamo vivendo dal 2008, se poi si partorisce una riforma che non ne tiene conto e parte da "una prospettiva di crescita" che purtroppo resta prospettiva?
Certo, il lavoro non si crea cambiando le regole e basta, però usando sapientemente la testa e gli strumenti d'analisi i tecnici avrebbero potuto prevedere che le nuove regole, di per sé talune anche buone, sarebbero state inutili perché non accompagnate da decisioni, anche coraggiose, di politica industriale.

sabato 18 gennaio 2014

Oggi Berlusconi da Renzi: che errore!

Gravissimo (secondo me) errore politico di Matteo Renzi (attento, Matteo, all'ansia da prestazione...): ricevere un Berlusconi tronfio, che neppure una sentenza definitiva ha stroncato politicamente, nella sede del Pd; errore non tanto per il luogo, quanto per la persona.
Oggi alle 16 i due si incontreranno al fine di trovare un accordo sulla nuova legge elettorale (in pratica avrebbero già in tasca l'accordo sul modello spagnolo, preferito dai partiti grandi).
Renzi ha tutto il diritto e il dovere di consultare anche l'opposizione su un tema così importante, ma non avrebbe dovuto fissare questo incontro con Berlusconi. Sarebbe stato politicamente molto più opportuno convocare e trattare con un rappresentante di Forza Italia che non fosse il cavaliere, proprio per non riconoscere a Berlusconi il ruolo che egli stesso continua a pretendere nonostante la condanna (e che i suoi, taluni anche un po' stressati dalla sua eterna incombenza, continuano a riconoscergli).
In questo modo si sarebbero potuti forse ottenere due risultati. Primo: non riconoscere alcun ruolo politico a Berlusconi, pregiudicato per un reato molto grave e in attesa di altri giudizi. Secondo: scatenare una lotta interna a Forza Italia per designare il candidato a sostituire Berlusconi nella trattativa con Renzi, ottenendo per lo meno un ulteriore logoramento dei forzisti.
Così purtroppo non sarà.

mercoledì 15 gennaio 2014

Ma quali attenuanti per Silvio?

Gli avvocati di Berlusconi (Nicolò Ghedini e Piero Longo), presentando il ricorso in appello del loro cliente contro la sentenza di primo grado del "processo Ruby", hanno chiesto per Berlusconi le attenuanti generiche, sottolineando il ruolo pubblico rivestito dal cavaliere per quasi un ventennio come Presidente del Consiglio in quattro governi e come personaggio politico di spicco.
Attenuanti? Aggravanti, caso mai. Chi riveste un ruolo istituzionale a maggior ragione deve tenere un comportamento trasparente e inattaccabile.

sabato 11 gennaio 2014

"Mr Casaleggio....., I presume"

Breve cronaca di uno scambio di battute improvvisato con Gianroberto Casaleggio, ideologo di Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle, che ho incontrato casualmente nella mia città; incontro che, per la scarsa visibilità del personaggio (finora ha preferito muoversi dietro le quinte), mi ha ricordato lo stupore di Henry Stanley quando incontrò nella giungla il disperso dottor David Livingstone ("Doctor Livingstone..... I presume").
Milano, 10 gennaio 2014 ore 18.50, via Santa Maria alla Porta 11. Sto aspettando la mia amica Silvia davanti alla pasticceria Marchesi, ho lo sguardo perso nelle vetrine ricche di ogni dolce ben di Dio (perfino la riproduzione in marzapane di due opere di Kandisky, celebrative della mostra dell'artista russo in questi giorni a Palazzo Reale). Mi guardo alle spalle per vedere se Silvia arriva e invece incrocio il sopraggiungere a passo svelto di un signore, bavero rialzato, chioma riccia e lunga al vento. Impossibile non riconoscerlo: è Gianroberto Casaleggio.
Casaleggio va davvero veloce, mi supera ed è già avanti a me circa 30 metri.
Da giovane ho praticato alcuni sport, sono stata anche una buona centometrista. Ma adesso l'età, gli acciacchi..... Però prendo coraggio e parto all'inseguimento. Lo raggiungo, ho il fiatone, ma riesco a pronunciare: "Signor Casaleggio!". Lui si volta verso di me e mormora sorpreso: "Si!?!". Mi sento osservata come si guarderebbe una pazza.
"Mi scusi signor Casaleggio", intanto camminiamo appaiati e l'espressione del suo viso sembra rilassarsi ma sempre un po' sulla difensiva, "da cittadina, lo fate o no finalmente un accordo sulla legge elettorale? La stiamo aspettando da anni....".
"Abbiamo fatto la nostra proposta dopo che la Consulta ha dichiarato incostituzionale il Porcellum.....".
"Già, ma voi da soli non potete farcela.....".
"Andiamo alle elezioni e si vedrà".
"Ma dovrete trovare un accordo, non potete dire sempre di no.....".
"Prima andiamo a votare.....".
"Il Pd adesso si è rinnovato; è diventato un interlocutore per voi?"
"Che il Pd sia cambiato lo dice la televisione.....".
"Ma insomma, che cosa volete?"
"Andare alle elezioni".
Intanto l'ho accompagnato lungo corso Magenta, fin davanti a Palazzo Litta. Sono in ritardo e Silvia ormai mi starà aspettando davanti alla pasticceria Marchesi. Mi piacerebbe continuare questo colloquio anche perché adesso stavo iniziando a "carburare" e avrei potuto fare domande più impertinenti (al momento di cominciare la conversazione non è stato facile cambiare improvvisamente registro e passare di colpo dalla fascinazione delle dolcezze crema e cioccolato di Marchesi alla linea politica dei "grillini"), ma devo tornare al mio appuntamento.
"Grazie, buonasera signor Casaleggio".
"Grazie, buonasera a lei".
Raggiungo Silvia. "Oddio, Silvia, non sai chi ho incontrato.....". "Chi? Il diavolo?". "Più o meno". La prendo sottobraccio a andiamo.
Nella vita professionale ho fatto la giornalista, un lavoro che ti resta addosso anche quando sei in pensione: così, automaticamente, senza accorgermi, mi sono trasformata in citizen journalist. Peccato non aver scattato un selfie (ma selfie è maschile o femminile?) insieme al guru capellone pentastellato col mio smartphone.


giovedì 9 gennaio 2014

"Jobs Act": un suggerimento

Dopo due riforme del lavoro non solo inutili ma dannose (Biagi, Fornero), il Jobs Act di Matteo Renzi (di cui ieri sera sono state comunicate le linee guida) sembra andare finalmente nella direzione giusta, di sicuro per quanto riguarda la giungla contrattuale che affligge milioni di lavoratori, che non possono dirsi disoccupati, ma che certamente non sono occupati a tutti gli effetti, con le stesse tutele e garanzie degli altri (capito Gasparri? Che martedì sera a Ballarò sosteneva che la legge Biagi aveva aumentato l'occupazione? Certo, somaro Gasparri, è cresciuta l'occupazione precaria, con buona pace dei diritti garantiti ai lavoratori dalla Costituzione). Su questo aspetto voglio fare un'osservazione.
L'abuso che l'attuale legislazione consente con l'applicazione fraudolenta da parte di certe aziende di oltre 40 contratti atipici (i più gettonati e convenienti per le imprese sono il contratto a progetto e quello a partita Iva) dovrebbe finire con l'introduzione di un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti e la drastica riduzione delle tipologie contrattuali.
Già, ma come la mettiamo con quelli della "generazione perduta"? Gente che lavora sotto ricatto e ininterrottamente da anni, magari nella stessa azienda, con questi contratti illegali? Lavoratori che hanno 35/40 anni...... Vogliamo dargli il contratto di inserimento e farli ripartire da zero..... a quarant'anni? Giustizia vorrebbe che, nei casi conclamati, fosse loro riconosciuto il periodo pregresso in cui hanno lavorato fianco a fianco con colleghi di serie A. Altrimenti, nel Paese che ha creato gli "esodati", verrebbe congelata, senza speranza di cambiamento, anche la condizione di questi lavoratori "abusati". E allora la lotta alla precarietà e al dualismo nel mercato del lavoro andrebbe a farsi benedire.

domenica 5 gennaio 2014

L'insostenibile leggerezza di Matteo

L'aria nuova che l'arrivo trionfale di Matteo Renzi alla segreteria Pd aveva sollevato soffia ormai come una forte e gelida corrente che può portare più malanni che benefici.
Renzi ha modi ha adolescente un po' bullo che vuole primeggiare tra i suoi compagni per farsi bello con le ragazze, ma ora è al comando del principale partito italiano, "azionista di maggioranza" di un fragilissimo governo di larghe intese, basta con atteggiamenti da Fonzie!
Qualcuno dei suoi consiglieri dovrebbe dirgli che ora non gioca più nella squadretta dell'oratorio di Rignano sull'Arno, il paese dove è cresciuto, ma in quella della politica che ha nelle mani le sorti del Paese.  Insomma, sarebbe ora di fare sul serio per evitare di commettere errori che potrebbero pregiudicare il programma di cambiamento di cui l'Italia ha assolutamente bisogno.
Invece gli scivoloni di Matteo, forse preso da ansia di prestazione, sembrano essere all'ordine del giorno. Per esempio, era proprio indispensabile mettere subito sul tappeto delle urgenze la Bossi-Fini e le unioni civili? Non bastavano, per cominciare, due macigni come la legge elettorale e la riforma del lavoro? Così ha scompaginato le carte e i suoi avversari (dentro e fuori il governo) hanno avuto gioco facile nel mettere subito in chiaro che non sono questi i problemi più urgenti per il Paese.
In effetti, condotte in porto le riforme della legge elettorale e del lavoro, Renzi avrebbe potuto giocare all'attacco anche sui temi sensibili. Così invece diventa forte il rischio che, in un tourbillon di veti incrociati su questo e quel provvedimento, tutto si squagli prima di cominciare e allora, di tutta quella carne al fuoco, resterà solo un acre odor di bruciato.
E poi, la battuta sarcastica "Chi?" riferita al viceministro per l'Economia Stefano Fassina era proprio necessaria in un momento così delicato? Per il bene di tutti spero che Renzi cambi atteggiamento e decida di diventare un politico affidabile: ha voluto a tutti i costi la sfida di mettersi in gioco per il rinnovamento e allora giochi le sue carte senza fare il depositario esclusivo della verità. Prima ascolti, poi decida. Diventando segretario del Pd, Renzi rappresenta tutti gli elettori del Pd e le speranze di una vera svolta democratica e modernizzatrice del Paese. Speranze che non possono più essere deluse.
Col pretesto di quella battuta, Fassina si è dimesso. "Non ci si dimette per una battuta", hanno commentato subito alcuni renziani (Debora Serracchiani, per esempio). Renzi a caldo ha spiegato che lui non sarà mai "un grigio burocrate che non può sorridere, scherzare, fare una battuta".Vero, ma le battute in politica non devono offendere qualcuno (per anni abbiamo stigmatizzato questo vezzo di Berlusconi e del desaparecido Bossi). Se Renzi vuole "rottamare" tutto ciò che in politica sa di superato, deve "rottamare" anche un certo lessico degli ultimi vent'anni che ha inquinato la comunicazione politica riducendola alla stessa stregua di quella da caserma. Un vero innovatore sa cambiare anche il linguaggio.
Dietrologia: i comportamenti di Renzi, dal sapore di campagna elettorale, sono forse segnali di guerra al governo Letta?


giovedì 2 gennaio 2014

La politica può cambiare. E il sindacato?

Il nuovo anno in politica è cominciato all'insegna dell'iperattivismo di Matteo Renzi. Il segretario del Pd ha annunciato per la nuova legge elettorale tre proposte base su cui dialogare (non troppo a lungo, anzi con sollecitudine) con gli altri partiti e una riforma del lavoro (Job act) che semplifichi la giungla di contratti e di norme che paralizzano l'occupazione.
Le intenzioni sono buone. Si aspettano i fatti. Sul lavoro è importante l'interesse che Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil, ha già manifestato dando il suo consenso al "contratto unico" di  Renzi. Quasi scontato, in proposito, l'atteggiamento conservatore di Susanna Camusso. La politica del Pd di Renzi sta cercando di imprimere una svolta nelle scelte importanti per il Paese. Riuscirà il maggior sindacato italiano a fare altrettanto al suo interno?