mercoledì 14 dicembre 2016

Art. 18, una discriminazione inaccettabile, quindi...

La Cassazione ha esaminato i quesiti in materia di lavoro (abolizione dei voucher, abrogazione del licenziamento illegittimo con la reintroduzione dell'art. 18 e abrogazione delle limitazioni di responsabilità in materia di appalti) che la Cgil vorrebbe sottoporre a referendum e ha dato loro il via libera. Ora queste richieste andranno al vaglio della Consulta.
Al momento non si può sapere quale sarà il percorso di queste richieste di referendum ma si può immaginare che siano destinati a rendere incandescente il dibattito politico nella prossima primavera.
Vorrei fare solo un'osservazione: non sono una costituzionalista ma, nella Repubblica fondata sul lavoro e sulla parità di diritti, mi sembra evidente una discriminazione colossale tra lavoratori di serie A (quelli tutelati dal vecchio art. 18) e lavoratori di serie B (quelli post Jobs Act che anche in caso di licenziamento illegittimo non hanno diritto al reintegro nel posto di lavoro ma solo a un'indennità sostitutiva)
Ma l'apartheid tra i lavoratori protetti e non protetti, ristabilendo il dettato costituzionale in materia di uguaglianza dei diritti, non era un impegno che Matteo Renzi volle fortemente assumere quando esordì alla guida del governo? Chissà come mai dopo ha cambiato idea. Quante bugie! E da un governo sedicente di centrosinistra!
Comunque per quanto riguarda l'art. 18 mi sembra impossibile tornare indietro, neppure con un referendum. Chissà quanti cavilli verranno trovati per aggirare questo "pericolo".
E allora come ristabilire equità di trattamento tra i lavoratori? Non certo aspettando che la categoria dei tutelati dall'art. 18 si estingua nel giro di un paio di decenni per cause naturali. Un governo "rottamatore" e coraggioso, con un provvedimento certamente impopolare, avrebbe saputo introdurre la flessibilità (non la precarietà) in ogni contratto di lavoro e quindi far valere il Jobs Act col nuovo art. 18 per tutti i lavoratori, potenziando gli ammortizzatori sociali e indennità economiche in caso di licenziamento e soprattutto offrendo al lavoratore licenziato un'altra opportunità in breve tempo (le politiche attive del lavoro, le misure che dovrebbero aiutare chi ha perso il posto di lavoro a trovarne un altro, non sono ancora state attuate mentre avrebbero dovuto essere il primo passo di una riforma seria). Fermo restando il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento discriminatorio.

lunedì 5 dicembre 2016

Referendum: Renzi è stato sconfitto da Renzi

Il governo di Matteo Renzi è stato spazzato via da una sonora sconfitta nel referendum sulla riforma costituzionale trasformato in un voto politico. La maggioranza degli italiani ha punito il presidente del Consiglio Renzi per la sua incapacità di lottare contro il disagio sociale e disuguaglianze sempre più marcate. Ha fatto tutto da solo allontanando dal tavolo chiunque, tra le parti politiche e sociali, avesse idee diverse dalle sue senza neppure il beneficio di ammetterli a una discussione sui problemi più gravi del Paese. Tutto anche in nome della velocità, ma la velocità non è garanzia di buon governo. Eppure tre anni fa la maggioranza degli italiani (me compresa) si era innamorata di lui quando si è presentato come l'Uomo della Provvidenza capace di rottamare senza se e senza ma certi arnesi della vecchia politica e promettendo una riforma al mese.
Non ci è voluto molto però per capire che Renzi stava buttando via il bambino con l'acqua sporca. Tra il suo governo e gran parte degli italiani, anche del suo partito, cominciò ad aprirsi una crepa via via diventata un crepaccio. Anche le sue caratteristiche caratteriali (arroganza, presunzione, attitudine a mentire) hanno cominciato
a scalfire la sua immagine facendo emergere un comportamento che, nella politica interna, dettava politiche sempre più lontane da un'idea di sinistra (certe sue riforme non erano riuscite neppure alle destre) e vicine a mai dimenticate politiche democristiane nel senso deteriore del termine (vedi alla voce Vincenzo De Luca, governatore della Campania).
Ora si è aperta la crisi di governo.

Ma era proprio necessario? Il referendum sulla riforma costituzionale non era obbligatorio dopo che la riforma era stata approvata dal Parlamento. Ma la tentazione di un plebiscito sul suo operato è stata per Renzi un richiamo troppo forte. E ha commesso lo stesso errore di Cameron col referendum sulla Brexit. Le conseguenze di questo suo gesto hanno lasciato un Paese frantumato. Nessuno ha vinto, abbiamo perso tutti.

giovedì 24 novembre 2016

Referendum: annullerò la mia scheda

Il 4 dicembre prossimo andremo a votare per una riforma costituzionale scritta dal governo. Calamandrei diceva: "Quando si scrive la Costituzione i banchi del governo devono restare vuoti".
Basterebbe questo a far capire che questa riforma costituzionale è partita col piede sbagliato perché un conto è l'operato della politica, un conto sono le regole che la disciplinano.
Premesso questo, penso che questa riforma non fosse proprio prioritaria rispetto a priorità più urgenti che affliggono il Paese (tra le urgenze, anche la ricostruzione post terremoto ormai uscita dalle scalette dei tg e dalla pagine dei giornali). Il suo primo effetto è stato quello di spaccare il Paese, da una parte il compatto fronte del Sì, col governo e i suoi (anche gli impresentabili Verdini, coautore del testo della riforma, e De Luca, governatore della Campania, i cui metodi fanno assolutamente preferire i rottamati al nuovo), sostenuto con convinzione o controvoglia anche da molti artisti e intellettuali che dicono di non sopportare più la paralisi del Paese (intanto la discussione sulla riforma sta bloccando il Paese da alcuni mesi); dall'altra il variegato, e del tutto casuale nell'accostamento, fronte del No, l'"accozzaglia" per dirla con le parole di Renzi che, a diverso titolo, preferisce un diverso cambiamento e soprattutto una riforma scritta da maggioranza e opposizione, non approvata a colpi di maggioranza.
L'idea che la Costituzione, legge fondante della nostra Repubblica che scrive le regole per tutti, venga in gran parte modificata da circa il 20-25% degli elettori in un clima infuocato da tifoserie ultrà non mi rassicura.
Poiché siamo stati messi di fronte a una sorta di ultimatum "prendere o lasciare", e avendo qualche motivo per votare Sì e altri per votare No, ho deciso che annullerò la mia scheda prima di metterla nell'urna.




venerdì 11 novembre 2016

Trump, il presidente che ha sconvolto il mondo

L'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, non c'è dubbio, fa riflettere. E' la conferma che è davvero finito il mondo delle élites, delle classi dirigenti della politica che hanno retto a lungo le sorti delle democrazie occidentali essendo concentrate soprattutto sulla loro conservazione invece che sull'ascolto dei bisogni delle loro comunità.
Fino a quando l'Occidente ha potuto godere di un relativo benessere all'establishment non è stato difficile conservare il consenso. La Grande Crisi del 2008, unita all'avanzare veloce della tecnologia, ha scompaginato le carte smaterializzando il lavoro (che diventa sempre più virtuale) e aumentando le disuguaglianze sociali.
Forse più che scandalizzarci della vittoria di Trump dovremmo prendere atto di come profondamente siano mutati gli scenari politici, dovremmo cominciare a ricostruire dal basso una politica che tenga conto anche della classe media marginalizzata, dei senza voce, di tutti quei cittadini che sono stati esclusi, soprattutto per lo strapotere dei mercati finanziari, da qualsiasi strumento di protezione sociale.
Quando succedono rivolgimenti come la vittoria di Trump (come già Brexit e i movimenti antisistema) si tende a etichettarli in modo sbrigativo e spregiativo come "populismo". Sarà, ma io ci vedo anche l'arroganza di certe élites politiche, economiche, intellettuali che non vogliono mollare di un centimetro il loro potere.
Quanto al neopresidente degli Stati Uniti, Trump non è un repubblicano (nel senso stretto del termine), non ha alle spalle il partito, è Trump. E anche se, attraverso la maggioranza repubblicana, controllerà il Congresso e il Senato non è detto che poi da questa maggioranza verrà sostenuto a prescindere.
ll "terremoto" Trump potrà riservarci molte sorprese. Intanto, per quel che ci riguarda, negli ultimi due giorni le cronache sulla sua elezione hanno cancellato letteralmente da tutti i giornali e le televisioni le notizie sui terremoti che hanno devastato il Centro Italia. Quando l'informazione segue solo l'onda, benché stavolta si tratti di uno tsunami, non fa un buon servizio.


giovedì 13 ottobre 2016

Poteva mancare il Sì degli ex sessantottini?

Ecco un appello a favore del Sì alla riforma della Costituzione di cui francamente non si sentiva la mancanza. Questo manifesto è stato scritto da ex gruppettari, un tempo militanti della sinistra extraparlamentare.

"Lungo gli anni di un mai cessato impegno pubblico, abbiamo appreso che la democrazia non è un tram che si prende e dal quale si scende alla fermata improbabile di qualsiasi tipo di rivoluzione; non significa solo gridare nelle piazze, nelle assemblee, sui social-media le proprie ragioni; non è soltanto rappresentanza ma anche governo; non è solo popolo ma anche istituzioni. La Costituzione è bella ma anche perfettibile. Il tempo presente richiede decisioni tempestive, apparati leggeri, eliminazione di doppioni inutili e costosi e l'allineamento istituzionale con le democrazie più avanzate. Ecco perché noi voteremo Si e invitiamo a votare Sì nel referendum costituzionale del 4 Dicembre 2016".

Seguono le firme di 68 ex sessantottini provenienti dal Movimento Studentesco, Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Movimento Lavoratori per il Socialismo, tutti intellettuali e professionisti affermati nel campo dell'educazione, della comunicazione, della consulenza aziendale.

Tutte le opinioni sono lecite, per carità. Ma come ci mancano, caro Pasolini, le tue analisi lucide sul futuro privo di Valori che ci attendeva!
Come ci mancano, caro Dario Fo (morto stamattina a Milano) la tua risata sarcastica e il tuo sghignazzo.

mercoledì 12 ottobre 2016

Misure pro occupazione: esclusi sempre gli stessi

La Legge di Stabilità (DEF) 2017 verrà presentata quasi certamente sabato 15 ottobre. Da alcune indiscrezioni pubblicate ieri da Repubblica apprendo che nella manovra ci saranno alcune misure riguardanti l'occupazione.
Bene, è sempre positivo lottare contro la disoccupazione; vuoi vedere che magari il governo (dati Istat alla mano) si è accorto che ad agosto 2016 l'occupazione è leggermente migliorata per le fasce d'età tra 15 e 24 anni, va meglio per gli over 50, ma purtroppo è ancora di segno negativo per lavoratori tra 25 e 49 anni?
All'ultima fascia d'età che ho citato appartiene anche la "Generazione '80", quella che Mario Draghi nell'aprile scorso ha definito "la più istruita di sempre" (forse perché nata da genitori baby boomers che non hanno lesinato sulla formazione dei figli), ma che rischia di essere irrimediabilmente perduta (perché trascinata in basso dal gorgo delle ultime riforme del lavoro che l'hanno resa precaria) e per questo richiede qualche strumento normativo che le dia un po' di ossigeno (ma questo è un aspetto del problema che interessa ben pochi perché riguarda solo i lavoratori di quella generazione e le loro famiglie).
Forse il governo intende finalmente intervenire con degli investimenti pubblici (opere di manutenzione del territorio, dei trasporti, di politica turistica o culturale eccetera) per cambiare il segno di questa tendenza negativa? No, quello che c'è nel DEF riguarda ancora sgravi fiscali dai quali sarà però esclusa la fascia di lavoratori 25-49 anni.
Tra le misure che verranno presumibilmente adottate c'è infatti quella del ritorno degli sgravi fiscali del 2015, a pieno regime (8 mila euro l'anno per 3 anni) per le aziende che assumono stabilmente un loro ex stagista diplomato o laureato al massimo da sei mesi, quindi quasi certamente un giovane under 25.
Gli sgravi sia pure ridotti al 40% (quelli in vigore nel 2016) dovrebbero invece cessare completamente il prossimo 31 dicembre anche se non tutti i lavoratori precari alla data di entrata in vigore del Jobs Act (marzo 2015) sono stati "stabilizzati". Anzi molti di loro, paradossalmente grazie al Jobs Act, sono diventati disoccupati perché non hanno voluto subire il ricatto di dover rinunciare per sempre a far valere i propri diritti maturati negli anni (cioè un contratto stabile ante Jobs Act e il riconoscimento di differenze retributive e contributive) in cambio di un discutibile contratto "a tutele crescenti", e senza neppure un bonus (che ormai non si nega a nessuno) a parziale risarcimento delle spettanze mai avute. Non accetti il ricatto? Perdi il lavoro.
Altre misure del DEF riguardano sgravi per le aziende del Sud che assumono, categorie di lavoratori svantaggiati, un potenziamento della Garanzia Giovani eccetera. Tutto bene tranne che per gli esclusi, sempre gli stessi.
Intendiamoci, l'obiettivo della piena occupazione non è mai stato raggiunto neppure in lontani anni migliori, ma tendere ad avvicinarsi il più possibile senza escludere nessuno è un dovere che si compie soprattutto con una politica economica fatta di investimenti per rilanciare la domanda. E non ho parlato dei voucher.

lunedì 10 ottobre 2016

Votare è un dovere, non sempre è anche un piacere

Campagne elettorali a confronto. Negli StatiUniti la campagna elettorale per l'elezione del Presidente si è ormai trasformata in una guerra tra due clan che non si risparmiano colpi bassi (nel vero senso della parola). I due candidati, Trump e la Clinton, si menano fendenti che, in quel che singolarmente continua a essere considerato il Paese più puritano al mondo, passano tutti dalla camera da letto extraconiugale del candidato repubblicano o del coniuge della candidata democratica. Un confronto segnato anche da altri momenti discutibili. Non era mai accaduto prima d'ora che un faccia a faccia tra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti apparisse più una lite da ballatoio tra vicini litigiosi e con pochi argomenti.
Trump è Trump e non capisco lo scandalo che ha sollevato il video con le sue vanterie da sciupafemmine miliardario. Preoccupante è semmai il fatto che sia arrivato a essere il candidato repubblicano alla presidenza: tutti gli americani, soprattutto repubblicani, dovrebbero farsi un esame di coscienza. Se fossi cittadina americana voterei certo la Clinton ma molto malvolentieri perché c'è qualcosa in lei che non mi convince (e non sono le scappatelle di Bill).
In Italia la campagna referendaria si sta trasformando in una guerra tra Guelfi e Ghibellini ormai malamente ridotta a uno scontro tra le tifoserie ultrà di un derby calcistico. Ognuno accampa qualche motivo per fare una ripicca all'altro; la politica parlata sta diventando la palestra per sfottò, battute velenose, per piccoli giochi dispettosi, attorno a poltrone e poltroncine e tra sedicenti innovatori e galantuomini che hanno fatto il loro tempo, che sanno di risse infantili e che nulla hanno a che vedere con la politica vera che si deve occupare del bene del Paese. L'errore di aver personalizzato il referendum continua a fare danni nonostante l'apparente marcia indietro del personalizzatore. E i cittadini un po' smarriti, senza più certezze, stanno a guardare: in bilico tra il Sì e il No, incerti sul da farsi. Pare che saranno in molti a decidere all'ultimo momento o ad astenersi. Per la prima volta credo che andrò a votare (votare si deve, sempre) per astenermi.

martedì 4 ottobre 2016

"Venghino venghino: lavoro qualificato low cost"

Se Renzi è un grande comunicatore non è detto che lo siano anche i ministri del suo governo, anzi.
Dopo le ripetute gaffe del ministero della Salute (retto da Beatrice Lorenzin) con i volantini sul Fertility Day, adesso lo scivolone è stato del ministero dello Sviluppo economico (Carlo Calenda) che ha distribuito ai giornalisti in occasione della presentazione di Industria 4.0, piano nazionale per rilanciare investimenti e industrie italiane, una brochure in cui alla voce "Capitale umano e talento" veniva sottolineata una caratteristica del mercato del lavoro italiano attrattiva per gli stranieri ma negativa per noi: "L'Italia offre un livello di retribuzioni competitivo (che cresce meno che nei Paesi della UE)...". Il fatto che la frase si concludesse con: ".... e una forza lavoro altamente qualificata" non mitigava l'amaro in bocca.
Ma perché il nostro Paese deve "vendere" la sua qualità a basso prezzo e invece non può fare leva sull'aver finalmente sconfitto la corruzione e offrire una burocrazia semplificata?

Renzi-Zagrebelsky in un tweet di Sabelli Fioretti

Per l'ultima volta torno sul confronto Renzi-Zagrebelsy, ma ne vale la pena. Il commento più efficace e sintetico sull'evento è stato quello di Claudio Sabelli Fioretti su Twitter: "Zag è stato un vero disastro! Aveva ragione e non ha saputo dirlo. Renzi aveva torto e l'ha saputo nascondere".

domenica 2 ottobre 2016

P.S. Renzi-Zagrebelsky: il ruolo di Napolitano

Renzi ha dovuto cedere sull'Italicum e nell'incontro con Zagrebelsky ha annunciato che entro ottobre ci sarà una proposta di modifica della nuova legge elettorale (cosa non si fa per la campagna elettorale referendaria....).
Nell'aver cambiato idea su una convinzione che sembrava incrollabile ("la legge elettorale non si tocca") c'è stato lo zampino di Napolitano che ha cercato di far rientrare Renzi nei binari democratici dai quali il premier talvolta deraglia.
Peccato che Napolitano non lo abbia consigliato anche su certe riforme affrettate (vedi Jobs Act) in cui l'unica parte sociale, consultata e ascoltata da Renzi, è stata Confindustria.

Ho sbagliato: Renzi ha sconfitto Zagrebelsky

Ho fatto un errore: ho valutato il confronto tra Renzi e Zagrebelsky col metro e il peso dell'immagine, parametro in cui è facile cadere quando si è pervasi, come avviene dagli anni '80, dalla cultura dell'immagine che, con un automatismo inquietante, ti avvia su percorsi inadeguati se non hai l'acutezza di saper distinguere subito la forma dal contenuto.
Benissimo ha fatto quindi Eugenio Scalfari nel suo commento su Repubblica di oggi a considerare solo quel che i due contendenti hanno detto, non come lo hanno detto. E qui non c'è stata storia: ha vinto Renzi.

sabato 1 ottobre 2016

Renzi-Zagrebelsky: un confronto né Si né No

Il confronto su La7 ieri sera fra Matteo Renzi e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky si è concluso, secondo me, senza vincitore né vinto. Il giovane premier adrenalinico parlava a raffica e l'anziano e colto professore, soprattutto all'inizio, faticava un po' a prendere l'abbrivio, complice il disagio che, aveva detto ai giornali, gli mettono le telecamere. Renzi credeva di averlo già "asfaltato" dopo i primi interventi, glielo si leggeva negli occhi e nella mimica facciale. Invece poco alla volta il professore si è ripreso e ha potuto sciorinare tutta la sua profonda conoscenza dell'argomento nonostante l'impazienza del moderatore Mentana che teneva d'occhio i tempi televisivi, molto più veloci delle reazioni del professore.
Le ragioni del Sì e del No sono state messe sul tavolo anche tra qualche intemperanza gestuale del premier e qualche malinteso del professore. A un certo punto mi sembrava di assistere a una discesa con gli sci: Renzi giù a capofitto come in una libera olimpica, Zagrebelsky impassibile nello scendere accarezzando la neve e curvando con l'eleganza e lo stile del Telemark.
Ciascuno ha gareggiato a modo suo perché i concorrenti avevano nulla in comune. Sono state messe a confronto due personalità troppo diverse nell'eloquio, nella preparazione e conoscenza dei temi trattati (enciclopedica Renzi, perfettamente a suo agio in uno studio tv: sapeva tutto, con tanto di dati, citazioni e riferimenti precisi; per nulla mediatico, accademico, anche un po' noioso, Zagrebelsky, molto istituzionale nell'andare a cercare il pelo nell'uovo dentro a ogni piega degli articoli della riforma) e questo ha fatto sì che i due andassero quasi sempre
ognuno per la propria strada nonostante i tentativi di Mentana di riportare il confronto tra i confini del Sì o No alla riforma costituzionale.

martedì 27 settembre 2016

Niente Olimpiadi? Allora voglio il Ponte!

Quanti voti vale il Ponte sullo Stretto? Oggi a Milano Matteo Renzi, orfano delle Olimpiadi di Roma, ha rilanciato il progetto del ponte sullo Stretto di Messina. "Centomila nuovi posti di lavoro!", ha sparato il premier.
Se non è una boutade elettorale, gli si ricordi che prima delle grandi opere bisogna bonificare l'intero
territorio nazionale dal rischio idrogeologico (molto alto, tra l'altro, proprio nel mare e nelle terre interessate alla costruzione del ponte), bisogna completare la rete ferroviaria là dove ancora c'è il binario unico, bisogna portare l'acqua potabile dove manca, bisogna bisogna bisogna........ Bisogna fare un mucchio di cose tra cui, anche, ricostruire le zone terremotate dell'ultimo (Umbria, Marche) e del penultimo sisma (nel Mantovano).
Un rilancio del progetto ponte sullo Stretto (" E' la Napoli-Palermo", dimenticando che siamo ancora aspettando il completamento della Salerno-Reggio Calabria) fatto con scarso senso di opportunità politica proprio in casa della Salini-Impregilo, l'azienda di costruzioni maggiormente interessata all'opera faraonica, che festeggiava a Milano i suoi 110 anni di attività.

Referendum: "Italiani, volete bene alla mamma?"

Appena Renzi ha mostrato in tv la scheda col quesito referendario l'opposizione ha levato gli scudi. Scorretto, certo: il testo della domanda che i cittadini italiani troveranno il prossimo 4 dicembre in cabina è veramente scorretto (anche se, si è giustificato il premier-furbetto, è il titolo della legge ed è ciò che formalmente va indicato sulla scheda).
Come quasi sempre, l'opposizione arriva ben in ritardo: conosceva da tempo il quesito ma non aveva sollevato eccezioni.
Ora ci dovremo misurare con una domanda che equivale a chiedere agli italiani: 1) se vogliono bene alla mamma; 2) se, invece di uno spettacolo di teatro Kabuki, preferiscono guardare una partita di calcio; 3) se mangiano gli spaghetti.
Risposta scontata.

lunedì 26 settembre 2016

Lega contro Lega. Svizzeri contro "lumbard"

Nel Canton Ticino la destra leghista
ha vinto con 58% dei voti il referendum "Prima i nostri" dando un duro colpo ai lavoratori frontalieri italiani che ogni giorno varcano il confine per andare al lavoro.
E' "commovente" che il governatore della Lombardia Roberto Maroni sia intervenuto subito in difesa dei lavoratori lumbard.
Per la serie "quando i discriminati siamo noi".

venerdì 24 giugno 2016

Gran Bretagna: paese spaccato e fuori dall'Europa

Non ci posso credere: benché a Londra abbia vinto Remain, nel resto del Paese hanno vinto populismo, egoismi e ignoranza. Situazione inedita, può succedere di tutto nel bene e nel male. Che Dio ce la mandi buona.
Giorno triste per le generazioni, come la mia, cresciute col desiderio (poi realizzato), di un'Europa unita e per quelle che avevano trovato l’Europa così com’era fino a ieri.

martedì 21 giugno 2016

Pensierino sui risultati elettorali

Sull'avanzata del Movimento 5Stelle alle elezioni amministrative e sulla sconfitta del Pd e del presidente del Consiglio è già stato detto e scritto tutto.
Resta l'amarezza per l'insuccesso di una politica che avrebbe dovuto imprimere al Paese quella marcia in più necessaria per farlo ripartire; politica che invece, ancora una volta, ha fatto aumentare il debito pubblico; non ha lottato con forza contro le disuguaglianze; non ha prodotto una legge contro la corruzione degna di questo nome; è stata debole con le banche che hanno truffato molti risparmiatori; ha approvato una riforma del lavoro che è piaciuta solo a Confindustria e benedetto i voucher che hanno creato altra precarietà nel lavoro, una politica improntata sul monologo e sull'arroganza del potere anziché sul dialogo. Tutto per fare in fretta. Si sa però che spesso la fretta è nemica della qualità.
Certo, almeno la legge sui diritti civili l'abbiamo avuta, ma non basta questa per trasformare un Paese immobile da molti anni, malato di burocrazia, di corruzione e di tutti quei vizi che hanno allontanato le realtà territoriali dal palazzo in un Paese civile, moderno, proiettato nel futuro.
Renzi ha perso (almeno per quel che si è visto finora) una grande occasione. Così hanno vinto le facce davvero nuove. Che Dio ce la mandi buona.

lunedì 13 giugno 2016

Anna Frank della Shoah batte "Mein Kampf"

Molti milanesi hanno risposto ieri all'appello lanciato da Radio Popolare per una lettura collettiva di pagine del Diario di Anna Frank.
E' stata la risposta più bella e sentita, una grande reazione civica contro il nazifascismo, all'iniziativa del Giornale, quotidiano di Paolo Berlusconi diretto da Alessandro Sallusti, che sabato 11 giugno ha offerto ai suoi lettori il Mein Kampf di Hitler senza alcun commento critico.
I cittadini erano stati invitati, proprio nel giorno in cui ricorreva l'87° anniversario della nascita  di Anna Frank, a trovarsi in piazza San Fedele portando con sé una copia del diario della ragazza deportata dai nazisti e morta ad Auschwitz a 15 anni, per condividere la lettura di alcuni brani. I milanesi hanno risposto da città Medaglia d'oro della Resistenza. Grazie Milano!

domenica 12 giugno 2016

Quel gran pasticcio del Jobs Act

Due notizie sul fronte lavoro.
Nonostante l'opinione contraria del governo e dei giuslavoristi che lo appoggiano, la Cassazione ha stabilito che per i dipendenti pubblici continua a valere l'art. 18 sui licenziamenti fino a quando non verrà dichiarata formalmente la loro esclusione dall'applicazione della legge Fornero e dal Jobs Act.
A Reggio Emilia, il giudice del lavoro ha condannato il ministero della Pubblica Istruzione per "abuso dei contratti a termine" obbligandolo ad assumere un'insegnante precaria da 14 anni, e a risarcirla per le differenze retributive e contributive pregresse.
Per i dipendenti privati assunti col Jobs Act l'art. 18 non vale più e, beffa delle beffe, quando vengono assunti dopo anni di precariato, perdono il diritto a rivendicare dall'azienda che ha abusato del loro contratto quanto è loro dovuto per differenze retributive e contributive pregresse (e non solo, l'azienda disonesta è anche premiata con incentivi fiscali!).
Non faccio dell'art.18 una bandiera a tutti i costi. Dico, e l'ho ripetuto tante volte, che il Jobs Act è una riforma frettolosa che sta producendo nuove assunzioni senza tutele, e danni a chi sperava di veder riconosciuti diritti legittimamente maturati.

Poi non diciamo che Renzi non ci aveva avvisato...

Matteo Renzi continua a lanciare messaggi e messaggini sotto traccia agli italiani: "Se al referendum passa il No mi dimetto", "Se a Roma passa la Raggi addio Olimpiadi".
L'ultimo è di ieri durante il colloquio con Eugenio Scalfari agli incontri di "Repubblica Idee": "Se al referendum vince il No l'Unione europea non ci fila più".
Siamo in politica o all'asilo? I cittadini italiani sono un popolo adulto o dei marmocchi che, se fanno i capricci, non riceveranno più caramelle?

venerdì 10 giugno 2016

Voterò per Sala turandomi il naso

Tra dieci giorni, al ballottaggio, voterò anch'io per Beppe Sala. Ancora una volta voterò poco convinta, ma voterò. Questa sinistra non è più la mia, neppure il PD è più il mio, e non mi importa un accidente del lanciafiamme di Renzi.
Quello che temo è che non so più dove andare e questo sentimento di disorientamento e il senso di destabilizzazione che ne deriva, comune a moltissimi elettori, porterà altra acqua al mulino dell'antipolitica (ma se l'antipolitica diventa l'unico strumento che interpreta le aspettative del Paese perché deve essere così demonizzata? Con Altan dico: "mi stanno venendo pensieri che non condivido").
Che Dio (col quale, tra alterne vicende, ho continuato a mantenere un buon rapporto) ce la mandi buona!

giovedì 9 giugno 2016

Cercate lavoro? Invecchiate in fretta

Nuovo report dell'Istat sull'occupazione: incremento dei dipendenti a tempo indeterminato (+0,5%, + 75 mila) nel primo trimestre del 2016.
Più lavoro per i giovani? No, l'analisi dell'Istat ha evidenziato che i nuovi posti di lavoro sono stati occupati soprattutto dai 50-64enni. Per i lavoratori 15-34enni e per quelli della fascia d'età 35-49 anni i posti sono invece diminuiti.
Ai disoccupati e ai precari delle due fasce d'età ancora penalizzate non resta che invecchiare presto per poter aspirare a un posto di lavoro! Potenza del Jobs Act!
Chi riempie giornali e tivù  di commenti irrealistici o astratti sulla disoccupazione giovanile, consigli accademici alla "generazione perduta" e ha le ricette pronte per i giovani (tutti start-upper!), non ha avuto, e non ha, un figlio o un nipote disoccupato o precario.
E' sempre l'Italia delle diseguaglianze, sprofondata nelle diseguaglianze dalle riforme del lavoro che si sono succedute: per opera della sinistra (Treu), della destra (Maroni-Biagi) e ancora della sinistra (?) di Renzi.

sabato 4 giugno 2016

Politici e statisti

Domani si vota. Sono elezioni amministrative, ma hanno certamente anche un valore politico. E allora mi viene in mente la frase di un grande italiano, Alcide De Gasperi: "Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione".
Negli ultimi vent'anni abbiamo avuto, e abbiamo tuttora, tanti politici e nessun statista. Questo il male del nostro Paese, che da allora sacrifica i suoi giovani.

martedì 31 maggio 2016

sabato 7 maggio 2016

La Meloni sa che ha fatto una cosa di sinistra?

Giorgia Meloni, candidata sindaco di Roma per la destra, ha commentato così (Corriere della Sera 6 maggio 2016) la candidatura di Rachele Mussolini (sorella di Alessandra, nata dalle seconde nozze di Romano) in una lista che la sostiene: "Voglio candidare Rachele come persona, non il suo cognome. Una delle tante ragazze in Italia che non hanno un lavoro all'altezza della loro formazione".
Ma dai, ma cosa ha fatto la Meloni? Lo sa che questa è una cosa di sinistra?Altro che Jobs Act!

mercoledì 20 aprile 2016

"Generazione perduta"? Murgia: "No, depredata"

Da giorni l'espressione "generazione perduta", riferita ai nati negli anni a cavallo tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80, ricorre con frequenza sulle pagine dei giornali e in tv. A coniarla (diamogli il copyright) fu Mario Monti, presidente del Consiglio, nell'agosto 2012 quando, al meeting di CL a Rimini, riferendosi a quanto aveva detto in un'intervista a Sette ("una generazione è perduta, meglio dedicarsi ai più giovani"), affermò. "Ho solo constatato con crudezza una realtà che è davanti agli occhi di tutti: lo sperpero di un'intera generazione di persone che oggi giovani non lo sono più, alcuni di loro hanno superato i 40 anni di età, e che pagano le conseguenze gravissime della scarsa lungimiranza di chi, prima di me, non ha onorato il dovere di impegnarsi per loro".
Via via l'espressione è stata ripresa anche dal presidente dell'Inps, Tito Boeri, che ha cercato più volte di dare la sveglia al governo sulla condizione dei 35/40enni con un percorso lavorativo, quindi previdenziale, a singhiozzo (quando c'è) che metterà a rischio i loro trattamenti pensionistici quando mai li avranno maturati (75 anni?), e ultimamente anche dal presidente della BCE, Mario Draghi.
Tra i tanti che hanno parlato di "generazione perduta" una parola di verità (finalmente!) è venuta dalla scrittrice Michela Murgia che, su Repubblica di oggi parla di "generazione depredata".
Grazie a Michela Murgia. Questo il suo articolo:

Sono passati dieci anni da quando il precariato divenne un argomento di moda nei talk show e nei comizi, e ce li ricordiamo ancora tutti i politici nei salottini televisivi pontificare che non bisognava definire "precarietà" quel deflusso dei diritti legati al lavoro; dovevamo chiamarla "flessibilità", parola ambigua che evocava l'immagine di cose leggere e forti, il legno dell'arco e le chiome piegate dei giunchi al vento. Ma già a metà degli anni Novanta erano cominciate le prime leggi sul lavoro: ci dissero allora che quelle riforme erano moderne, poi che era l'Europa che ce le chiedeva, e che dovevamo essere contenti che le nuove generazioni avessero l'opportunità di vivere per anni motivate dalla prospettiva di non sapere se tre mesi dopo il loro contratto sarebbe stato rinnovato.
Nessuno con un briciolo di buon senso credette alla favola dell'aumento delle retribuzioni in cambio della perdita dei diritti e infatti qualche anno dopo arrivò la crisi e gli stipendi scesero alla stessa velocità con cui gli ultimi diritti rimasti se ne stavano andando. Furono gli scrittori tra i trenta e i quarant'anni - Nove, Bajani, Desiati, Platania, Baldanzi, Falco, Incorvaia e Rimassa - a raccontare per primi quello che stava succedendo, ma c'è voluto tanto tempo ancora perché un'istituzione, calcoli alla mano, si rendesse conto che il disastro che allora annunciavamo
 come possibile è già diventato probabile. I termini della denuncia del presidente dell'Inps sembrano persino ottimistici: è credibile che alla pensione non ci arrivino neanche migliaia di uomini e di donne degli anni '70 e '80, che si riconosceranno senza sforzo nella descrizione del percorso lavorativo a ostacoli che Boeri indica come tipico dei trentenni. Tutti loro, fratelli maggiori e minori, hanno avuto un futuro non più lungo dei loro rinnovi contrattuali e un presente fatto di stipendi a forfait, incarichi a progetto senza il progetto, collaborazioni permanentemente saltuarie, finte partite Iva e stage eterni mai retribuiti. Quegli uomini e quelle donne non sono una generazione perduta, come li ha definiti icasticamente Boeri, perché sono qui, sono vivi, ci camminano accanto e saranno sempre di più: ciascuno è lì coi suoi sogni non realizzati, le scelte che con più sicurezze lavorative si sarebbero potute fare, i figli mai generati per la paura di non avere abbastanza per crescerli e la pensione dei genitori come estremo paracadute.
In quella generazione depredata è l'Italia che si è perduta, sacrificando milioni di intelligenze, di idee e di potenzialità all'avidità di una parte del mondo industriale, quello che conta, convinto che la vita di quelle persone non sia una risorsa, ma un costo da abbassare fino a metterlo in concorrenza col più

basso salario al mondo. Non è la pensione la speranza perduta dei trentenni: è il futuro.















martedì 12 aprile 2016

Francia: la riforma del lavoro scatena la piazza

In poco più di un mese in Francia i giovani sono scesi in piazza tre volte a fianco dei sindacati contro la legge di riforma del mercato del lavoro. In Francia, ultimo baluardo europeo contro la flessibilità del lavoro che si traduce in precarietà, si fa sul serio. "Non è distruggendo lo statuto dei lavoratori che si creano posti di lavoro", ha detto Philippe Martinez, segretario generale della CGT, la maggiore confederazione sindacale francese rispondendo alle intenzioni del governo socialista di introdurre una legge liberista.
La protesta riguarda la legge della ministra del Lavoro Myriam El Khomri, una legge che ha molte analogie con il nostro Jobs Act e che, secondo i contestatori rende ancora più precario il lavoro dei giovani invece di tutelarlo.
In questa rivolta il sindacato non è compatto, c'è chi chiede di trattare delle modifiche e chi la respinge in toto (come le associazioni studentesche) perché la legge,
che verrà dibattuta il prossimo 3 maggio in Parlamento, introdurrebbe anche la priorità dei contratti aziendali su quelli collettivi (stesso discorso si sta facendo da noi) creando discriminazioni tra lavoratori di grandi aziende e quelli delle medio-piccole.

giovedì 7 aprile 2016

Omaggio alle donne coraggiose al volante di notte

Ieri sera verso le 22 in via Solari, a Milano, ho preso un taxi per tornare a casa. Sono salita e, con sorpresa, ho visto che al volante c'era una donna. Non mi era ancora accaduto di trovare una tassista in servizio la sera. Stavo per chiederle qualcosa del suo lavoro, che oltre allo stress comporta anche il rischio di imbattersi in qualche balordo notturno, quando vedo che si mette l'auricolare e risponde a voce bassa a una telefonata. "Si, si, bene. Hai mangiato? Ma tu amore vai a nanna...... ciao ciao, ci vediamo domani". Il tono era quello di una mamma affettuosa.
"Mi perdoni", le ho detto dopo un po', "involontariamente ho sentito la sua telefonata. Lei fa un lavoro pericoloso, io l'ammiro. Ma non ha paura di lavorare di notte sulla strada?"
"Eh.....certo. Faccio questo lavoro da molti anni; però io almeno termino il servizio all'una, ma ci sono ormai ben 35 colleghe che fanno il turno tutta la notte.... Smetto all'una, ma c'è una ragione: la mattina lavoro in ufficio. Sa, noi donne abbiamo tante responsabilità, molte più di un uomo, il lavoro, la famiglia, sappiamo fare anche diverse cose tutte insieme.....". Eh sì che lo sappiamo. Chissà se il suo bambino nel frattempo si era addormentato. Stavo per chiederle come vede la città in quello scampolo di notte, se le sembra più o meno sicura di un tempo.... Ma intanto eravamo arrivate davanti al mio cancello. Sono scesa e la tassista ha aspettato che io fossi entrata. Solidarietà femminile, ho pensato, anche se, ammetto, pure qualche tassista uomo ormai lo fa. Poi è andata via chiamata da un altro cliente.

lunedì 4 aprile 2016

Pensioni e lavoro: sindacati e governo imbarazzanti

Durante l'ultimo weekend la deflagrazione dello scandalo petroli, dopo le intercettazioni che hanno causato le dimissioni del ministro per lo Sviluppo economico Federica Guidi, ha un po' oscurato alcune dichiarazioni imbarazzanti del sindacato e di Matteo Renzi in tema di lavoro e pensioni.
Sabato 2 aprile i sindacati sono scesi in piazza contro la legge Fornero sulle pensioni per chiedere soprattutto flessibilità in uscita allo scopo di favorire l'entrata dei giovani nel mercato del lavoro, per dare ai giovani un futuro.
Quale futuro? Qualche emerito sindacalista si è mai accorto che c'è un'intera generazione (i nati a cavallo tra gli anni '70 e '80) che, penalizzata da riforme del lavoro che hanno saputo solo creare precarietà e sfruttamento, è stata dimenticata anche dal sindacato che ha sempre preferito tutelare dipendenti e pensionati?
Con un colpevole ritardo di almeno dieci anni il sindacato si è accorto che i giovani o sopravvivono con lavori precari o sono disoccupati. In ogni caso spesso a carico delle famiglie d'origine, in cui le pensioni dei nonni e dei padri cominciano a essere messe in discussione.....
Il Jobs Act non sta mantenendo le promesse del governo. Le nuove assunzioni, dopo un sensibile aumento entro dicembre 2015 "drogato" da un regime di agevolazioni fiscali fino a 8 mila euro l'anno per 3 anni, dal 1° gennaio 2016 (dati Istat) sono in discesa perché il bonus fiscale è stato dimezzato.
Per assumere le aziende vogliono continuare a essere "pagate". E che cosa fa Renzi? Ringrazia gli imprenditori perché secondo lui hanno creato posti di lavoro. "Per l'Italia Marchionne ha fatto più di certi sindacalisti", ha detto il presidente del Consiglio alla scuola di formazione politica del Pd.
Renzi ha memoria corta. Qualcuno gli ricordi che per la Fiat l'Italia ha fatto più che per qualunque altra impresa. Sarà stato certamente opportuno, ma si abbia la compiacenza di ammetterlo invece di rovesciare le carte in tavola.