giovedì 27 marzo 2014

Un "Alveare" operoso che produce solidarietà

Tanti api operose che producono solidarietà per far fronte all'emergenza di chi è emarginato, non trova lavoro o l'ha perso. Questo lo scopo dell'Associazione Alveare, costituita presso la parrocchia di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa (via Neera 24, tel. 0289500817), quartiere Stadera, una delle zone critiche di Milano, dove situazioni di povertà e degrado sono all'ordine del giorno.
"Siamo nati nel settembre 2012", dice Luca Maiocchi, responsabile dell'associazione, "e a oggi abbiamo aiutato circa 180 persone senza lavoro, italiani e stranieri, di cui poi una ventina ha trovato un'occupazione stabile, ma soprattutto li abbiamo aiutati a incontrarsi, a conoscersi, a sentirsi parte della comunità superando l'isolamento sociale in cui ci si viene a trovare quando non si ha un'occupazione".
Il progetto funziona così: chi ha bisogno di aiuto chiede un colloquio e, a seconda di quel che sa fare, viene messo in contatto dall'associazione con  chi ha bisogno di quelle prestazioni ma ha pochi soldi per pagare. Per esempio, una nonnina vorrebbe rinfrescare la sua casa ma non ce la fa a pagare un imbianchino, ecco che l'associazione le trova chi fa il lavoro. Il compenso sarà dato con i "buoni lavoro" (voucher) dell'Inps per il lavoro "accessorio", che il lavoratore andrà a riscuotere (a fronte di un compenso di 25 euro lorde al lavoratore ne resteranno in tasca 18,75) in un qualunque ufficio postale.
L'associazione, che si autofinanzia con donazioni (si stanno cercando mille famiglie che si impegnino a donare cinque euro al mese per sei mesi, un anno....), è anche molto attiva nel recuperare e mantenere il decoro del quartiere e vi promuove lavori socialmente utili (sempre pagati con i voucher) come la pulizia dei marciapiedi, la sistemazione di aule e giardini della scuola Cesare Battisti, l'eliminazione dei graffiti dai muri, la sistemazione di locali per le attività di volontariato.

mercoledì 26 marzo 2014

Armarsi per essere liberi. Ma era Obama o Bush?

Il presidente Obama, da Bruxelles, prima tappa del suo viaggio di domani verso Roma, ha raccomandato: "Non tagliate i fondi alla difesa. La libertà ha un prezzo".
Come a dire che per essere liberi bisogna armarsi ben bene; certo, ci sono in giro diversi focolai di guerra sempre più minacciosi, ma forse prima è il caso di rafforzare il lavoro delle diplomazie.
E poi, se la detenzione di questi costosissimi armamenti rende liberi ma sottrae risorse fondamentali per nutrire le popolazioni più bisognose e combattere miseria e povertà sempre più diffuse, che cosa ce ne facciamo? Liberi, ma morti di fame.

lunedì 24 marzo 2014

Lo stipendio di Moretti secondo Abravanel

Nel dibattito scatenato dall'improvvida prima dichiarazione di Mauro Moretti (nella seconda ha aggiustato un po' il tiro), amministratore delegato del Gruppo FS, sulla propria retribuzione, ho ascoltato quel che ha detto a Rainews 24 Roger Abravanel, manager, scrittore, ex director McKinsey, voce della meritocrazia, editorialista del Corriere della Sera.
Premesso che non bisogna punire i bravi manager, Abravanel ha affermato che un conto è tagliare i compensi nella pubblica amministrazione (da fare), altro è porre un limite alle retribuzioni dei manager nelle società a partecipazione pubblica, aziende che devono misurarsi col mercato.
Inoltre, ed è questo ciò che mi ha colpito di più nell'intervista, Abravanel ha detto che, tra gli elementi che formano le retribuzioni dei grandi manager delle aziende a partecipazione statale c'è anche una quota che compensa il rischio di perdere l'incarico quando cambia il governo che li ha nominati (spoil system). Però, ha aggiunto Abravanel, è difficile che questo accada.
Ricordo che talvolta è accaduto anche che un manager, responsabile di una gestione fallimentare (Giancarlo Cimoli nominato da Prodi alle Ferrovie dello Stato), invece di perdere il posto ben retribuito, fosse andato a far danni - e che danni - altrove (all'Alitalia, nominato da Berlusconi).
Bene, il principio è giusto: il rischio di perdere il lavoro va compensato. Anche la flessibilità del lavoro, proprio perché comporta un alto rischio di perdere il lavoro, dovrebbe costare di più alle aziende. Un principio che dovrebbe valere per tutti. Ma non è così.
Come la mettiamo infatti con tutti coloro la cui occupazione, per esempio, non ha alcuna garanzia di stabilità, come i lavoratori costretti, in violazione della legge, a fare i finti professionisti o i finti autonomi con stipendi che, se non venissero integrati dal welfare famigliare (le pensioni dei genitori o dei nonni), basterebbero loro solo per vivere con fatica alla giornata?  Non parliamo del futuro.
Nel nostro Paese c'è sempre qualcuno più uguale degli altri di fronte alla legge.

venerdì 21 marzo 2014

Moretti, ad Gruppo FS, non conosce vergogna


Mauro Moretti, amministratore delegato del gruppo delle FS, non conosce la vergogna. Se verrà fissato un tetto per le retribuzioni dei grandi manager pubblici, Moretti (che guadagna solo 850 mila euro l'anno) cercherà di espatriare e così, dice lui, faranno i suoi colleghi.
Bisognerebbe che qualcuno ricordasse a Moretti che è imputato per la strage ferroviaria nella stazione di Viareggio e nella zona circostante (20 giugno 2009) in cui morirono 32 persone e molte altre decine rimasero ferite a causa del deragliamento di un treno merci che provocò l'esplosione di un carro cisterna contenente gas GPL.
Pertanto, prima di fare qualsiasi progetto di espatrio, Moretti risponda in tribunale delle accuse pesanti che gli sono state rivolte.
Quelli come lui vadano pure all'estero. In qualsiasi Paese del mondo ci sarà senz'altro la fila per assicurarsi le loro supercostose prestazioni...... Ma facciano il piacere!

giovedì 20 marzo 2014

Eataly Smeraldo: la tradizione italiana a tavola

Da due giorni Milano ha la sua.... decima meraviglia. Sono esagerata? No, sono milanese.
Dopo il Duomo, la Galleria, il Cenacolo di Leonardo, il teatro alla Scala, la pinacoteca di Brera, l'abside della chiesa di San Satiro col  geniale inganno prospettico del Bramante, il ciclo degli affreschi nella chiesa di San Maurizio al Monastero, il "Pirellone" di Gio' Ponti, la torre Unicredit (di César Pelli, architetto argentino ma di origini italiane), è stato inaugurato "Eataly Smeraldo", tempio dell'enogastronomia, un vero paradiso del mangiare e del bere italiano (con qualche escursione nei prodotti di qualità di altri Paesi) nato da un'idea di Oscar Farinetti, realizzato all'interno dell'ex teatro Smeraldo: un pianoforte e una bella galleria di ritratti degli artisti che hanno calcato il suo palcoscenico tengono vivo il ricordo dei 70 anni di vita del teatro, dal varietà degli inizi, alle commedie, ai musical, alla danza, ai concerti.

Anch'io andavo allo Smeraldo ad ascoltare i concerti di Gaber e di Jannacci, di Ray Charles, di De André, Celentano, Mina (perfino un lungo monologo di don Gallo accompagnato dalla musica e applaudito da una platea piena di giovani in un tripudio di bandiere della Pace).
Mi sono emozionata vedendo i loro bei ritratti in bianco e nero sospesi nel salone d'ingresso. Forse è un po' troppo pensare che lo spirito del teatro possa sopravvivere tra tagli pregiati di carne piemontese, tortellini fatti a mano davanti ai clienti, vini D.O.C.G., ristoranti, laboratori di cucina e di cultura del cibo per bambini e pensionati, però mi piace augurarmi che sia così per non essere sopraffatta dal forte profumo di business (è lo spirito dei nostri tempi) che aleggia tra i banconi e gli scaffali dove cibi e bevande sono "impaginati" con una grafica allettante. Del resto il pianoforte che troneggia al centro della struttura non è lì per caso, ma perché vi si continuerà a fare musica.
La cultura del cibo e del vino al posto della cultura teatrale. In fondo, diciamo così, sempre di eccellenze si tratta, ognuna a suo modo spettacolare. Un dettaglio: la segnaletica interna è tutta in italiano; per le toilette dirigetevi verso la scritta "Gabinetti".

mercoledì 19 marzo 2014

Bonanni: su false partite Iva e Cocopro c'è omertà

Com'era ampiamente prevedibile, nessun giornale importante ha riportato la dichiarazione di un paio di giorni fa del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, quando ha detto, data l'assenza nelle nuove misure sul lavoro di attenzione anche per le false partite Iva e Cocopro, che sui precari c'è omertà.
Ha detto proprio omertà.
E' significativo che questa parola sia stata pronunciata proprio da un sindacalista, quando finora il sindacato ha sempre chiuso occhi e orecchie su questo grave problema.

lunedì 17 marzo 2014

Lavoro: può la riforma essere efficace ma ingiusta?

Giuliano Poletti, neoministro del Lavoro, a proposito dei due provvedimenti sul lavoro decisi dal governo Renzi (nuove norme su apprendistato e contratto a tempo determinato), che hanno avuto la totale approvazione degli imprenditori e il totale dissenso della Cgil, contraria perché producono altra precarietà, nell'intervista di ieri a Repubblica ha detto con garbo una cosa però molto grave. Questa: "Avere norme giuste che non producono effetti o ne producono di contrari è peggio....... Io sono più interessato al futuro dei ragazzi che alla perfezione della norma".
Apparentemente un'affermazione di buon senso ma, a leggerla bene, si capisce (se ce ne fosse ancora bisogno) qual è stato il principio al quale, a partire dalla legge Biagi/Maroni fino alla Fornero/Monti, si è uniformato il legislatore: creare occupazione purché sia.
Anche gli schiavi lavoravano. Anche chi ha un contratto atipico fasullo lavora (ma non può chiedere un mutuo, non ha Tfr eccetera). Non è questo l'obiettivo da perseguire.
L'obiettivo dovrebbe essere quello di fare una vera riforma del lavoro che elimini finalmente il dualismo perverso che norme ingiuste hanno creato, sanare tutti gli abusi esistenti creati dai contratti atipici (qualcuno mi dovrebbe spiegare in modo convincente perché una persona che lavora da tanti anni con la stessa azienda avendo rinnovato con continuità un sacco di contratti fasulli non dovrebbe avere un regolare contratto di lavoro da dipendente, cioè non dovrebbe avere anche giustizia.....). E poi riservare alla flessibilità due/tre tipologie contrattuali (non le attuali decine) indispensabili per regolare davvero altre eventuali esigenze produttive. La flessibilità non deve creare precarietà.
Lo so che non è facile far ripartire la crescita e creare così nuova occupazione. Ma il governo è lì apposta per studiare come fare: se si limita a trovare strumenti di intervento efficaci e discriminatori, a beneficio cioè solo dei lavoratori dipendenti (aumento in busta paga) e degli imprenditori (riduzione Irap) e demandando a un disegno di legge che verrà (campa cavallo...) tutto il resto della complessa materia, non ci siamo.
Avallando ancora una volta il principio che, in nome degli effetti "positivi" si può far a meno della giustizia si firma il certificato di morte di qualche generazione. Altro che futuro.

domenica 16 marzo 2014

A. Olivetti: storia d'amore tra impresa e cultura

Parole come: "Io penso la fabbrica per l'uomo e non l'uomo per la fabbrica" oppure: "Educare i giovani a conoscere i valori della cultura" non sono state pronunciate da un sindacalista arrabbiato degli anni '70 o da un preside di liceo. Sono parole di Adriano Olivetti, figura centrale nello scenario italiano degli anni '40 e '50. Quale scenario? L'intero scenario. Olivetti era imprenditore, scrittore, urbanista, raffinato intellettuale, politico, visionario, creativo e pragmatico insieme. Era l'uomo della comunità non dei partiti. Era l'uomo del futuro, non del presente. Accanto a sé
in azienda volle persone di cultura: scrittori, poeti, artisti, architetti, designer per realizzare quella sperimentazione tra impresa, arte e cultura che per lui rappresentava anche il miglior investimento produttivo.
Quando Olivetti cominciò il suo lavoro in azienda (ricordò egli stesso nel discorso a tutti i dipendenti della vigilia di Natale 1955) ricevette dalle mani del padre, Camillo, questo mandato: "Ricordati che la disoccupazione è una malattia mortale della società moderna; perciò ti affido una consegna: tu devi lottare con ogni mezzo affinché gli operai di questa fabbrica non abbiano da subire il tragico peso dell'ozio forzato, della miseria avvilente che si accompagna alla perdita del lavoro". Un compito impegnativo che Adriano ha onorato quando ancora non si parlava della "responsabilità sociale dell'impresa" (principio di cui oggi si parla molto ma quanto a praticarlo....).
Ad Adriano Olivetti si devono primati prestigiosi dell'industria italiana ancor prima che nascesse il made in Italy, come il primo elaboratore elettronico al mondo, l'Elea (realizzato da una squadra di giovani ingegneri guidati da Mario Tchou, ingegnere elettronico italiano d'origine cinese; design Ettore Sottsass, vincitore del Compasso d'Oro nel 1959). Un vantaggio che sembrava incolmabile per la pur agguerrita concorrenza americana, un vantaggio che invece venne colmato con sorpasso dopo la prematura (1960) morte di Adriano Olivetti quando l'azienda cominciò a passare attraverso diverse mani, tra cui quelle dei lupi della finanza.
Oggi Olivetti non è più una realtà produttiva, è sopravvissuto solo il marchio per le esigenze del marketing globalizzato. Fine di una grande storia d'amore tra impresa e cultura.
Alla figura di Adriano Olivetti è stato dedicato l'incontro "Fare cultura è un'impresa", organizzato dall'Associazione culturale Silvia Dell'Orso il 14 marzo scorso a Milano nell'ambito di "Visioni d'Arte", rassegna di film e documentari di divulgazione di beni culturali.
Silvia dell'Orso (sopra), milanese, era una saggista e giornalista molto attiva nella divulgazione di temi legati ai beni culturali, ambientali, artistici. A lei, morta nel dicembre 2009, è stata intitolata l'associazione che ha lo scopo di continuare il suo lavoro e lo fa con iniziative tematiche sempre di grande interesse: l'argomento di quest'anno era la relazione tra Arte e Impresa (prima dell'incontro su Olivetti ci sono stati appuntamenti sui pionieri del design e dell'architettura, sulla pubblicità dal cinema alla tv, sui materiali innovativi per la produzione seriale.
Per informazioni: Associazione culturale Silvia dell'Orso, via Andrea Ponti 20, Milano, tel. 0289123122, www.associazioneculturalesilviadellorso.org; info@a-sdo.org

sabato 15 marzo 2014

Boccio senza pietà il piano lavoro di Renzi

La sinistra è finita quando ha smesso di tenere la barra dritta e salda sul lavoro. La prima uscita di rotta è ormai lontana (1997, il ministro del lavoro Treu - governo Dini - introdusse il lavoro interinale, prima falla del sistema lavoro).
Negli anni successivi si è andati solo peggiorando (leggi Biagi/Maroni e Fornero/Monti) e si è impressa un'accelerata incredibile ai contratti atipici che avrebbero dovuto favorire l'occupazione (figuriamoci!) invece l'hanno resa totalmente precaria, al servizio di imprese cui non pareva vero di potersi procurare legalmente (ma anche abusivamente) lavoro low cost, leggi che hanno creato il cosiddetto "dualismo del mercato del lavoro", la spaccatura tra protetti e non protetti.
Tutto questo è passato nella totale indifferenza, quindi inerzia, dei partiti di sinistra e del sindacato, le due parti sociali che avrebbero dovuto fare "cose di sinistra" e che invece hanno solo girato a vuoto, quando addirittura non hanno favorito Berlusconi (i partiti di sinistra), oppure hanno continuato a tutelare solo i propri iscritti (dipendenti e pensionati) trascurando le nuove generazioni, con una politica miope per la sopravvivenza stessa del sindacato.
Adesso non ci sono più sinistra e destra. C'é Renzi. E la sua prima mossa in materia del lavoro merita d'essere bocciata "a pieni voti"! Boccio senza pietà i due provvedimenti su apprendistato e contratti a termine, vantaggiosi solo per le aziende perché creano più flessibilità, cioè più precarietà. Tutto il resto della materia (ammortizzatori sociali anche per chi non ne aveva, contratto unico a tutele crescenti, salario minimo, sfoltimento della giungla dei contratti atipici) è stato demandato a leggi delega. Come a dire che, se Renzi resta al timone, ci vorrà qualche anno perché queste misure passino; forse per fine legislatura (2018). Campa cavallo.....

giovedì 13 marzo 2014

"Job Acts" e stop al lavoro precario. Chi l'ha visto?

Il tanto atteso Job Acts avrebbe dovuto contenere, secondo certe dichiarazioni di Renzi, anche provvedimenti contro il dualismo nel mercato del lavoro tra dipendenti (protetti) e precari ("sfigati", "bamboccioni", "choosy" e via straparlando) con l'introduzione del cosiddetto contratto unico a garanzie crescenti. Chi l'ha visto?
Nella manovra annunciata ieri, per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro ci sono solo nuove regole per l'apprendistato e per i contratti a termine (a esclusivo vantaggio delle aziende), non si accenna minimamente a questa misura rimandata invece a una legge delega.
Il nuovo codice del lavoro insomma è lontano. Quel che è certo ora è che il dualismo nel mercato del lavoro, alimentato da una inutile giungla di contratti atipici, resta, così come l'hanno istituito la legge Biagi/Maroni e la successiva Fornero, col silenzio-assenso del sindacato impegnato solo sul fronte lavoratori dipendenti e pensionati.
In questo Paese permane la regola del "chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto". I precari della "generazione perduta" (nati tra la fine degli anni '70 e i primi '80) non sono più giovani, non rientrano neppure nella categoria degli under 29 della Garanzia Giovani, sono rappresentati da nessuno e, anche se hanno un contratto (spesso illegale), restano semplicemente FUORI.

lunedì 10 marzo 2014

Lavoro: due casi di miopia "bipartisan"

Recentemente a Otto e mezzo l'ex ministro Mara Carfagna ha rivendicato tra le buone riforme fatte dai governi Berlusconi anche la legge Biagi perché avrebbe creato una moltitudine di posti di lavoro.
Io la penso in un altro modo, e cioè la legge Biagi (che sarebbe più corretto chiamare anche col nome del ministro del Lavoro che l'ha voluta, Roberto Maroni) è responsabile della crescita vorticosa e voluminosa della precarietà nel lavoro.
Un paio di giorni fa Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, riferendosi al Jobs Act di Matteo Renzi, ha affermato in un'intervista a Rainews che il lavoro non si crea "con uno schema di ragionamento che si ferma alle regole e non guarda invece a come creare uguaglianza e posti di lavoro".
Vero, signora Camusso; premesso però che del contenuto della nuova riforma del lavoro ancora si sa nulla, perché mai non si dovrebbero introdurre nuove regole quando quelle vigenti sono sbagliate (legge Biagi/Maroni) avendo creato e continuando a creare precarietà? Perché il sindacato continua a occuparsi solo di lavoratori dipendenti e di pensionati?

sabato 8 marzo 2014

Viva la mimosa. Purché non sia solo mimosa....

Donare un rametto di mimosa alle donne per la festa dell'8 marzo è un gesto gentile e simbolico che dobbiamo a Teresa Mattei, partigiana genovese (scomparsa un anno fa), per tutta la vita impegnata nell'affermazione dell'uguaglianza dei cittadini e dei diritti civili; fu lei, direttrice dell'Unione Donne Italiane, a dare il via a questa tradizione nel 1946, in occasione della prima festa della donna dopo la Liberazione.
Nel corso degli anni il senso vero di quel gesto si è un po' smarrito lasciando spazio anche a significati che poco o nulla hanno a che fare con l'idea originale. Per questo oggi donare le mimose non basta per celebrare la festa. Le donne vogliono di più. Le donne meritano di più.
Le donne meritano una vera tutela della maternità (troppe lavoratrici precarie vengono licenziate causa gravidanza); meritano un lavoro stabile, che permetta loro di fare progetti di vita; meritano di non essere discriminate sul lavoro e nella carriera (a parità di mansioni, guadagnano meno dei colleghi maschi e raramente hanno le stesse opportunità); meritano servizi sociali adeguati per poter far fronte alle esigenze della famiglia e del lavoro (asili nido per i figli, aiuti nell'assistenza agli anziani) eccetera eccetera.
La mimosa mi piace moltissimo. E' profumata, è festosa, è allegra. Oggi me ne hanno regalato un mazzo vero e molti mazzetti virtuali. Ma questo arbusto delicato non deve diventare protagonista per un giorno solo. Quindi: la smettiamo, per favore (e lo dico soprattutto alla politica), di scaricarci la coscienza con un mazzolino di mimose l'8marzo?

Chi ha paura delle "quote rosa" in Parlamento?

Oggi, 8 marzo, festa delle donne, la politica paradossalmente è agitata dal dibattito sulle "quote rosa". Novanta donne di diversi partiti hanno chiesto un emendamento alla nuova proposta di legge elettorale (che la sintesi giornalistica ha battezzato Italicum) affinché la "parità di genere" entri nelle liste elettorali e poi negli scranni di Montecitorio. Le donne costituiscono la metà della popolazione italiana, ha detto Laura Boldrini, presidente della Camera, quindi devono avere il diritto a essere rappresentate.
Personalmente non sarei favorevole, penso che la parità non possa essere stabilita per legge, ma penso anche che le quote siano un
passo davvero indispensabile, in un Paese culturalmente maschilista e bloccato come il nostro, per favorire quella rivoluzione culturale e sociale necessaria perché le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini anche nella politica, tradizionale feudo maschile.
Fatto salvo che competenza e meritocrazia dovrebbero essere i requisiti fondamentali perché una persona (di qualunque genere) possa occupare posti di responsabilità, di fatto poi avviene che le leve del comando siano quasi esclusivamente in mano agli uomini, anche incapaci.
Le quote al momento sono in vigore per gli organi sociali delle aziende pubbliche e di quelle quotate in Borsa (legge Golfo-Mosca del 2011). Ben vengano, quindi anche in politica. Almeno spero.

lunedì 3 marzo 2014

Jobs Act: che fine fa il contratto a progetto?

Far ripartire l'offerta di lavoro e, contestualmente, combattere la precarietà dilagante dovrebbero essere i punti qualificanti del Jobs Act del governo Renzi, riforma di cui si parla molto senza ancora conoscerne però i contenuti.
Alcuni primi segnali emersi in questi giorni sembrano tuttavia un po' contraddittori. Intendiamoci, il governo ci sta ancora ragionando sopra, ma al momento mi sembra incompatibile che si voglia disboscare la giungla dei contratti atipici (tra i maggiori portatori di precarietà ci sono contratti a progetto e le partite Iva) e nello stesso tempo, per esempio, si voglia estendere proprio ai contratti a progetto il sussidio di disoccupazione a fine progetto.
Ma allora, questi contratti a progetto verranno cancellati o sopravviveranno?