giovedì 22 dicembre 2011

Il lutto del mare per la morte dell'amico Renato

Ieri è morto un amico carissimo. Si chiamava Renato Giuntini, giornalista, marinaio (da giovane era stato ufficiale sulla Vespucci, quanti racconti di meravigliose avventure), coraggioso capo partigiano, "comandante Marco", appassionato di poesia, d'arte e di musica. Un uomo che aveva vissuto momenti molto duri, goloso della vita, generoso, un uomo che si commuoveva per la bellezza di una foglia. Un gentiluomo vero.
L'ho saputo in treno mentre da Monterosso tornavo a Milano. Con gli occhi umidi ho guardato fuori dal finestrino. Ieri, solstizio d'inverno, il giorno era il più corto dell'anno, alle cinque del pomeriggio un tramonto quasi tropicale incendiava il cielo e dava riflessi dorati all'increspatura delle onde. Renato adorava il mare e da anni, su una carrozzella, accompagnato dalla dolcissima Gigliola, sua moglie da quarantatre anni, d'estate guardava in silenzio e con intensità il mare dalla terrazza di un albergo in Riviera.
Anch'io fissavo il mare dal finestrino del treno. In cielo il sole si stava spegnendo (spengendo, avrebbe detto Renato, col suo fiero accento toscano mai guastato per fortuna da decenni di vita milanese), ma era ancora attraversato da pennellate di colore rosso-arancio. A un certo punto mi sono accorta che sulla linea dell'orizzonte si era come appoggiato uno strato orizzontale senza interruzione, lungo, di nuvole molto basse e nere. Era il lutto del mare.

lunedì 19 dicembre 2011

Precari: alla Camusso vorrei dire....

Lettera inviata a Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera.
Scusa direttore, sui precari vorrei dire qualcosa anche sulle dichiarazioni della Camusso (Corriere della Sera di oggi). Non è assolutamente vero che la precarietà esiste solo nelle piccole aziende (sono a conoscenza di molti casi di precarietà in grandi aziende che praticamente da molti anni utilizzano solo il contratto a progetto per assumere).
Quanto a combattere la precarietà rialzando l'obbligo scolastico, come dice il segretario della Cgil, non mi sembra una buona idea. Meglio sarebbe migliorare la qualità dell'insegnamento.
Poi, a Camusso che dice che bisogna puntare sull'apprendistato, vorrei replicare che dopo, però, il giovane deve avere prospettive di stabilità.
Infine, una domanda: come pensano i sindacati di sanare la precarietà esistente? Si parla sempre in prospettiva, ma i 3 milioni 700 mila precari attuali (magari da anni in servizio permanente nello stesso posto), qualora passasse il progetto della flexsecurity con una retribuzione minima garantita o un altro progetto che prevede tre anni di lavoro prima di poter essere stabilizzati, devono ripartire da zero?

domenica 18 dicembre 2011

Chi non vuole la riforma del lavoro

Lettera inviata a Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera.
Caro direttore, a proposito dell'intenzione del governo Monti di mettere mano al mercato del lavoro (intervista del Corriere della Sera di oggi al ministro Elsa Formero) leggo, sempre sul Corriere di oggi, anche una lettera dell'ex ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, e una dichiarazione del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.
Sacconi afferma, tra l'altro, che i giovani hanno più bisogno di opportunità formative e di esperienze pratiche che di reddito. L'ex ministro avrebbe ragione se, successivamente (cioè dopo uno stage o dopo un apprendistato), i giovani avessero almeno qualche prospettiva di stabilità. Non pervenuta.
Intanto gli anni passano, e i giovani degli ultimi otto/dieci anni (da tanto dura ormai questa situazione) sono già 30/40enni con alle spalle anni di "precariato stabile", magari hanno messo su famiglia con molti sacrifici, e magari con altri sacrifici stanno riscattando la laurea per una pensione non più degna di questo nome, ma per l'ex ministro continuano a non avere bisogno di reddito e di tutele.
Quanto alla dichiarazione di Emma Marcegaglia non faccio fatica a credere che Confindustria preferirebbe restare nel sistema attuale. Perché?
Perché ci sono aziende (anche grandi, contrariamente a quel che si crede) che sottopongono a chi vuole lavorare (indipendentemente dall'età, dal tipo di lavoro e dalle mansioni) un'unica modalità contrattuale, quella "a progetto", con clausole come questa (in cui paradossalmente il lavoratore è costretto a dettare per sé condizioni-capestro): "..... il collaboratore è interessato a collaborare con la società nella realizzazione del progetto, a condizione di poter rendere la propria prestazione con modalità tali da garantirgli autonomia operativa e flessibilità di orari e presenze e non essendo, al contrario, disponibile........ a porre in essere forme di collaborazione più vincolanti di quelle proprie di un rapporto di collaborazione autonoma libero professionale coordinata e continuativa".
Contratto che si rinnova ogni 3/4/6 mesi senza limiti di tempo. Prendere o lasciare. Lavorare o non lavorare. A questo punto una riforma del mercato del lavoro che ponga fine a reiterati abusi è urgente.
Grazie per l'attenzione.
Valentina Strada

venerdì 16 dicembre 2011

Gli italiani meno abbienti sono i primi a pagare

"L'Italia deve far fronte a grossi rischi per la propria finanza, per la propria economia. Deve riuscire a fare bene la sua parte per l'Europa e per se stessa, e quindi chiede sacrifici agli italiani di tutti i ceti sociali, anche agli italiani dei ceti meno abbienti....", ha detto oggi il Presidente Napolitano.
Articolo 53 della Costituzione: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività".
Caro Presidente, sul contributo dei ceti meno abbienti non c'è alcun dubbio, e lo dimostra la direzione impressa dal governo Monti alla sua manovra. E gli altri?

domenica 4 dicembre 2011

Monti e il sociale: mi sono sbagliata

Mi sono sbagliata. Monti ha badato esclusivamente al rigore. C'è nulla di equo nella manovra che ha presentato oggi alle Camere e che ha definito Salva-Italia. I bocconiani guardano alle cifre con freddezza, non tengono conto degli aspetti sociali di queste misure durissime. Sarebbe stato, questo, compito della politica. Ma la classe politica, soprattutto i governi degli ultimi vent'anni, ha dimostrato ampiamente la sua incapacità e incompetenza. Potevo immaginare che l'equità sarebbe stato l'ultimo pensiero del governo Monti, ma mi ero illusa che almeno i più deboli sarebbero stati risparmiati. Niente.
Certo, il governo ha in tasca la giustificazione: il momento è drammatico, bisogna colpire senza troppi riguardi e in fretta. Hanno neppure avuto bisogno di prendere la mira.