giovedì 27 dicembre 2018

Milano, qualche giorno prima di Natale tra intolleranza e solidarietà

Riprendo a scrivere dopo un lungo periodo di assenza da questo blog dovuto soprattutto alla passione per Twitter. Mi ha convinta a tornare soprattutto un episodio di cui sono stata testimone oculare pochi giorni prima di Natale, per raccontare il quale i 280 caratteri di Twitter non sarebbero bastati.

Milano, 20 dicembre, ore 10 circa. Mentre scendo i gradini della stazione Moscova della metro sento urla e forti schiamazzi provenienti dal mezzanino. Sulle scale e sul pavimento del mezzanino, gettati qua e là, berretti, sciarpe, guanti, ombrellini pieghevoli: faccio fatica a scendere evitando di inciampare nella merce di un giovane venditore extracomunitario che, là sotto, sta con le spalle contro il muro e si guarda attorno impaurito. Il mio arrivo coincide -scopro- con le battute finali di una lite furibonda tra un uomo in giaccone scuro, che sbraita come un ossesso contro quel ragazzo, e una giovane donna ("Così noi dobbiamo pagare più tasse, cogliona!"). La donna interviene con coraggio in difesa del ragazzo contro l'energumeno ("Ricordati che noi siamo stati come loro.... Basta con i fascisti. Siamo nel 2019!").
Che cosa abbia innescato questa vergogna non so con certezza, posso intuirlo dallo scenario che ho potuto osservare e da alcuni commenti dei passanti. Per un motivo che non conosco l'aggressore sembra aver afferrato la merce del giovane venditore e averla fatta volare via sulle scale e dispersa nel mezzanino.
Alla scena ha certamente assistito l'addetto ai tornelli dell'Atm, chiuso nel suo gabbiotto. Mentre non si è ancora conclusa la lite che ho descritto, un passeggero, in uscita dai tornelli, si imbatte in quel che sta succedendo e si rivolge alzando il tono della voce all'impiegato dell'Atm. "Ma lei cosa ci fa qui, non vede? Non controlla?", incamminandosi verso l'uscita dalla stazione. Allora l'uomo dell'Atm esce dal gabbiotto e urla con i pugni alzati: "Che cosa vuoi, coglione, vieni qui se hai coraggio....!". Di corsa il passeggero torna verso l'addetto dell'Atm con intenzioni bellicose. Il primo cerca riparo nel suo gabbiotto. Il diverbio si accende, i toni sono di due che starebbero per venire alle mani quando altri passeggeri si mettono in mezzo e lo scontro a poco a poco si stempera.
Nel frattempo, lungo una parete della stazione, il giovane extracomunitario in silenzio cerca di raccogliere la sua mercanzia in un grande sacco giallo; una ragazza lo aiuta; io lo avvicino con spirito di solidarietà.
Quando anche l'ultimo paio di guanti è stato rimesso nel sacco, la ragazza lo estrae e chiede al giovane: "Quanto costano?". Lui, rinfrancato, sorride e risponde: "Te li regalo".
Penso a quando il cuore di Milano era grande. Buon Natale.

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martedì 9 maggio 2017

Obama a Milano, turista non per caso

Barack Obama come turista di superlusso a Milano. Ho sempre avuto stima, e molta simpatia, per Barack Obama presidente degli Stati Uniti; un po' meno se, come ex presidente, intende seguire le orme di altri suoi illustri colleghi (vedi Bill Clinton, Tony Blair eccetera) che, spogliatisi delle vesti istituzionali del loro ruolo, vanno in tour per promuovere con conferenze strapagate il loro libro di memorie (magari già pagato a suon di milioni dalla casa editrice che se lo è aggiudicato).
Obama non ha ancora scritto il suo libro (ne sta comunque scrivendo uno "milionario" sua moglie Michelle sugli anni alla Casa Bianca); però da ieri è a Milano e, in un centro blindato, tra una visita alla Biblioteca Ambrosiana, una passeggiata tra le guglie del Duomo (foto La Presse), bagni di folla e una cena a Palazzo Clerici, sede dell'Ispi, oggi ha potuto ammirare il Cenacolo e ha fatto visita alla fiera internazionale Seeds & Chips per promuovere l'innovazione in campo alimentare con un discorso sul cambiamento climatico, la scarsità di cibo, la lotta agli sprechi alimentari.
Tutto bene, lui si porterà a casa circa 400 mila euro di ingaggio e le 3500 persone che hanno voluto ascoltarlo hanno pagato 850 euro di biglietto.
Naturalmente gli obamiani a prescindere sottolineano che questa visita (la prima all'estero da ex presidente) avrà anche un ritorno d'immagine per Milano. Sarà, ma non penso che Milano abbia un deficit di immagine da colmare, lanciata com'è per tutte le rassegne produttive di beni e idee, iniziative dai contenuti culturali e sociali, che infittiscono la sua agenda, oltre che naturalmente per il suo patrimonio artistico e architettonico. Viceversa mi sembra che la visita di Obama a Milano, al di là del giusto omaggio dell'amministrazione cittadina a una personalità che è stata il primo presidente di colore degli Stati Uniti, possa costituire soprattutto un'occasione per sé, per dire "guardate che ci sono ancora", in attesa di capire che cos'altro vorrà fare in futuro.




Lavoro flessibile col Jobs Act? No, più rigido

Volevano un mercato del lavoro flessibile e non si sono accorti della possibilità concreta, col Jobs Act, di irrigidirlo. E' solo la mia opinione, ma faccio un semplice ragionamento. Il Jobs Act ha spaccato in due la platea dei lavoratori: da un lato i protetti, quelli con contratto a tempo indeterminato ante Jobs Act, quindi con art. 18; dall'altro i non protetti, quelli con contratto "a tutele crescenti" (dove si sa - ma non tutti lo sanno - che a crescere è solo l'indennizzo in caso di licenziamento non la tutela del posto di lavoro) che, dopo l'entrata in vigore del Jobs Act, non hanno la garanzia dell'art. 18.
A causa di questa spaccatura è molto facile che chi ha la protezione dell'art. 18 resti buono buono nel suo posto di lavoro e non si metta mai a cercare un altro posto anche più remunerativo perché, se decidesse di andare a lavorare presso un'altra azienda, gli verrebbe applicata la nuova normativa senza art. 18.

venerdì 5 maggio 2017

Dialogo di un venditore di "mugnag" e di un passeggero

Scambio di battute colto al volo sabato scorso al mercato di via Tabacchi, a Milano. Un ambulante magrebino che vende frutta e verdura, per attirare clienti alla sua bancarella grida i nomi dei suoi prodotti: "Zucchine belle, nespole, mugnag"! Si avvicina un milanese anziano; con garbo compiaciuto gli dice: "Ui tì, te parlet milanés.....?" L'ambulante si schermisce e sorride indicando le cassette di albicocche (Ndr  mugnag è una parola dialettale ormai in disuso e significa albicocca). Incalza il vecchietto: "Alura te set anca se voer dì la parola magiuster....." (tradotto: allora sai anche che cosa vuol dire la parola magiuster). L'ambulante esita... Non sa rispondere, allarga e braccia e sorride. In un soprassalto di orgoglio meneghino, l'anziano esclama: "Fragole!".
Chiedo scusa a Giacomo Leopardi per essermi ispirata nel titolo a quello di una delle sue celebri Operette morali ma non ho resistito alla tentazione.

mercoledì 3 maggio 2017

Primarie PD: Renzi "il rottamatore" salvato dall'establishment

E così "il rottamatore", che era stato disarcionato dalla clamorosa sconfitta nel referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, è risalito in sella grazie ai voti di quel largo establishment politico e sociale, che secondo lui paralizzava il Paese impedendogli di crescere, e che per questo era il suo nemico dichiarato. Dall'analisi del voto delle primarie realizzato da Candidate & Leader Selection (Società Italiana di Scienza Politica) e pubblicato su Repubblica di oggi, è emerso chiaramente che a votare per Matteo Renzi sono stati soprattutto gli over 55 mentre i giovani gli hanno preferito Andrea Orlando e Michele Emiliano.
Un dato che qualcosa vorrà pur dire. I giovani non hanno votato Renzi perché, al di là dei suoi slogan, Renzi ha continuato a ignorare i loro problemi: il lavoro innanzi tutto, e la conseguente mancanza di prospettive per il futuro.
Gli over 55 invece, almeno i tanti con la pancia piena, hanno visto in Matteo Renzi l'uomo della stabilità, il leader forte che, prendendo le distanze da parti sociali che avrebbero voluto politiche più eque e un rafforzamento del welfare, può permettere loro di mantenere le sicurezze conquistate.
Questa, secondo me, è anche la ragione per cui molti elettori (anche intellettuali incantati dal suono del "pifferaio magico"), un tempo elettori o militanti di sinistra o addirittura della sinistra radicale, che per ragioni anagrafiche non sono stati colpiti duramente dalla crisi e sono riusciti ad avere negli anni carriere lavorative regolari o carriere professionali che li hanno traghettati anche ai vertici di aziende e multinazionali (che prima combattevano a prescindere, aggiungo senza tono polemico ma come dato di fatto), da adulti si sono buttati alle spalle anni di onorato servizio a sinistra in difesa dei più deboli (do you remember Pci, Pds, Ds?). Certo, gli scenari sono molto cambiati, le ideologie sono tramontate, non siamo più sulle barricate ma i deboli, i poveri, i disoccupati ci sono ancora, anzi con la precarietà del lavoro sono aumentati e chiedono risposte strutturali ai loro bisogni, non bonus a pioggia solo per alcune categorie. Naturalmente Renzi, che aveva ereditato una situazione già pesante, non è il responsabile di tutto: le responsabilità vanno condivise (vero governi precedenti?, vero sindacato?, vero "poteri forti"?). Però Renzi è l'uomo che aveva promesso di cambiare verso al Paese con riforme che, signora mia......
Sorprende un po' anche la tenacia con cui, anche in presenza di un sensibile aumento delle disuguaglianze, Renzi e i suoi elettori continuano a rivendicare la loro appartenenza alla sinistra, anzi al centrosinistra. Ma quale sinistra o centrosinistra? Di fatto, in nome di un Pd nato già un po' malaticcio dall'unione tra Ds e Dc, molti elettori sono andati a ingrossare le fila del renzismo, teoria politica dell'uomo che vuole essere solo al comando, che ha già avuto un paio di gravi incidenti di percorso con la sconfitta referendaria e con la scissione nel partito e nel corpo elettorale, un uomo che nei fatti va a sinistra solo quando deve svoltare a sinistra a un incrocio.

lunedì 1 maggio 2017

Primo Maggio, una festa non per tutti

Non c'è da festeggiare il lavoro in questo 1° Maggio. Per un senso di pudore nessuno dovrebbe celebrare la Festa del Lavoro. Il lavoro manca da anni a molti giovani e meno giovani che non sanno neppure che cosa si provi a essere assunti, ad avere diritti, contributi per la malattia e la pensione. Molte persone hanno perso il lavoro, altre rischiano di perderlo.
E' vero, la piena occupazione è un'utopia. Ma uno scenario in cui chi è rimasto indietro venga aiutato concretamente a ripartire non sarebbe cosa impossibile.
Ieri sera ho visto in tv un Matteo Renzi trionfante per la vittoria (purtroppo scontata: il conformismo, soprattutto quello dell'ex sinistra che ha perso il senso critico, è davvero una malattia incurabile) nelle primarie. Per l'ennesima volta Renzi si è appuntato sul petto la medaglia del Jobs Act con i suoi oltre 700 mila posti di lavoro creati. Si è guardato bene però, Matteo Renzi, dal ricordare che quei posti di lavoro li ha comprati a spese dei contribuenti con quasi 20 miliardi di defiscalizzazioni concessi a pioggia per tre anni a tutte le aziende che assumevano a tempo indeterminato (anche a quelle che magari per anni avevano sfruttato biecamente quei lavoratori precari nell'indifferenza del sindacato).
Si chiama "contratto a tutele crescenti" quello introdotto dal Jobs Act, ma ciò che cresce nel tempo è solo l'entità dell'indennizzo in caso di licenziamento. E la tentazione di licenziare qualcuno, trascorsi tre anni di defiscalizzazione, per qualche azienda poco seria sarà molto forte.
Infine, a Susanna Camusso segretaria nazionale della Cgil che, in occasione del 1° Maggio, ha lamentato che "per i giovani si fa troppo poco" chiederei dov'era il sindacato quando (oltre 15 anni fa) il lavoro veniva spogliato di dignità e diritti e nasceva il precariato.

martedì 28 marzo 2017

La provocazione di Francesco

C'è una domanda che mi gira per la testa dopo il saluto ai milanesi fatto da Papa Francesco affacciato alla finestra su piazza San Pietro al termine dell'Angelus di domenica scorsa.
La domanda l'ha sollevata la frase "E' vero, A Milan si riceve col cor in man", pronunciata per ringraziare la città che l'aveva accolto con tanto calore e che gli ha riservato un immenso bagno di folla esultante.
Ecco, ovunque vada Francesco viene sempre accolto con grande calore, entusiasmo, gioia e partecipazione. Questo credo sia inconfutabile. Allora, che cosa è successo di diverso a Milano? Quale misteriosa alchimia d'amore è scattata tra lui e la nostra città da farlo "sbilanciare" in modo così esplicito?
Non ho la presunzione di mettermi tra gli esegeti di Papa Francesco, faccio solo un modesto esercizio di riflessione che, anche se non fosse corretto, non fa male ad alcuno. Da quel che posso intuire, con quel saluto, al di là del sincero sentimento di riconoscenza per chi lo ha accolto così festosamente, credo che Francesco abbia voluto anche lanciare una provocazione, un incitamento a "rispondere" ancora. A che cosa? Ai grandi problemi sociali di questo tempo. Abbia voluto dire ai milanesi che, soprattutto a causa degli enormi problemi dovuti alle guerre e alla fame, devono impegnarsi e fare ancora di più per restare fedeli alla loro fama di popolo accogliente e solidale, fama che purtroppo ultimamente risente un po' della circolazione di idee discriminatorie nel confronti del diverso anche a Milano.